Maxi inchiesta della procura di Genova sulle gare d’appalto truccate per la realizzazione del Terzo Valico ferroviario, soprattutto quelle dei tunnel tra la Liguria e il Piemonte.
Il gup, accogliendo la richiesta dei pm Paola Calleri e Francesco Paolo Cardona, ha appena rinviato a giudizio 30 persone, tra cui pezzi da novanta delle costruzioni e di tutta la nomenklatura che detta legge sul fronte dei lavori pubblici.
Incredibile ma vero, si tratta di quegli stessi personaggi che ritroviamo in altre maxi inchieste a partire da inizio anni ’90, i quali l’hanno regolarmente fatta franca in tutti i procedimenti giudiziari che li hanno visti coinvolti.
La prima inchiesta della Voce dove li possiamo trovare tutti insieme appassionatamente è di novembre 1993: la bellezza di 28 anni fa, nel corso dei quali lorsignori hanno potuto tranquillamente scorazzare nelle praterie dorate degli appalti, gestendo immense quantità di danari pubblici.
Lo stesso copione va in scena oggi, con le gare per il Terzo Valico tra la Liguria e il Piemonte. Anche stavolta gare taroccate, anche stavolta una maxi inchiesta che documenta fatti e misfatti, anche stavolta concreto rischio flop per la solita, miracolosa prescrizione, grazie alla quale, come al solito, saranno tutti felici e contenti. E soprattutto impuniti e liberi di continuare ad usare i danari dello Stato per i loro sporchi comodi.
PROTAGONISTI IN CAMPO
Partiamo dalle news. E ricorriamo a una delle rare fonti, l’Ansa, visto che la vicenda è stata snobbata dai media, ormai allineati e coperti nella più totale disinformazione.
“Tra i rinviati a giudizio – batte l’Ansa – Pietro Salini, Ad di Webuild (accusato di turbativa d’asta); Giandomenico Monorchio (turbativa d’asta e corruzione), imprenditore e figlio dell’ex ragioniere generale dello Stato Andrea(quest’ultimo inquisito per turbativa d’asta, avrebbe fatto da sponsor al figlio); Ettore Incalza (turbativa d’asta), storico ‘grand commis’ delle maxi opere, che si sarebbe speso per Monorchio. Tra gli altri imprenditori figurano Stefano Perotti e Duccio Astaldi”.
Continua il dispaccio Ansa. “Nel mirino della procura è finito il sistema con cui venivano smistati gli appalti da parte del general contractor individuato dallo Stato per la realizzazione dell’opera (53 chilometri di cui 37 sotterranei, valore superiore ai 6 miliardi di euro). Tutto ruota intorno al ‘Cociv’, consorzio formato in origine da Salini-Impregilo, Società Condotte d’Acqua e Civ, il general contractor che ha gestito un fiume di danaro pubblico”.
“Ad inguaiare Salini – viene chiarito – è in particolare una telefonata con l’ex presidente del Cociv Michele Longo (anch’egli rinviato a giudizio). Il primo chiedeva di escludere il cugino Claudio (Salini, ndr), che aveva lasciato nel 2005 l’azienda di famiglia per crearne una autonoma ed è poi morto in un incidente stradale, e il secondo lo rassicurava”.
TERZO VALICO & TAV, NON CAMBIA IL COPIONE
Nata a Genova, l’indagine si è poi ramificata anche in altre procure, come quelle di Roma e Firenze. Proprio come successe a metà anni ’90 con un’altra maxi inchiesta, quella sui lavori per l’Alta Velocità, salpata nel porto romano delle nebbie come troncone politico-amministrativo e sviluppatasi a Milano sul fronte degli appalti veri e propri: a un certo punto il pm milanese Antonio Di Pietro avocò a sé anche il filone capitolino: e, di fatto, insabbiò tutto, pur potendo contare su un super teste, il faccendiere Pierfrancesco Pacini Battaglia, “l’Uomo a un passo da Dio”, che tutto sapeva non solo sui segreti della madre di tutte le tangenti (quella Enimont), ma anche sui business della TAV. Ottimo amico, Pacini Battaglia, dei personaggi allora e oggi in prima fila, da Incalza a Perotti, per fare solo due nomi.
UNA ‘VOCE’ 28 ANNI FA
Vediamo allora, per sommi capi, quello che scrisse all’epoca la Voce, sollecitandovi a leggere con attenzione i due articoli alla fine di questo pezzo, cliccando sui link in basso: ne ri-troverete delle belle.
In quella inchiesta di novembre 1993, infatti, già emergevano non poche ‘relazioni pericolose’ e legami d’affari da novanta.
La trama partiva da un consorzio romano specializzato – guarda caso – proprio in lavori ferroviari, DFLC. Così scrivevamo: “Uno dei progettisti più gettonati per la TAV è il superlatitante Vincenzo Maria Greco, pomiciniano doc, a bordo della ‘Servizi Ingegneria’, sigla pilotata dal fido collaboratore Giuliano Morlando. Servizi Ingegneria, a sua volta, è presente nella compagine di un consorzio romano, DFLC, in cui si segnalano anche le presenze del faccendiere craxiano Gianfranco Troielli, altro latitante d’oro, il napoletano Antonio Grimaldi, il veronese Stefano Lonardoni e il romano Stefano Perotti. Quest’ultimo, all’interno di DFLC, rappresenta la società romana Inter.con, ovvero International Consulting. L’aveva fondata, dieci anni prima, con Pierfrancesco Pacini Battaglia”. Tutto torna.
Passano gli anni ma le amicizie continuano. Ed eccoci al 2016, quando a Firenze comincia un processo destinato, sulla carta, a sconvolgere il mondo dei ‘Grandi Appalti’. Alla fine il solito flop, perché in istruttoria vengono prosciolti i due principali protagonisti in campo, Stefano Perotti e Ercole Incalza, i sempre amici per la pelle.
E chi mai ritroviamo nella famosa “Lista Anemone”, densa di oltre 400 nomi tra vip & papaveri nel sempre dorato mondo dei lavori pubblici? Scrive la Voce ad ottobre 2016: “Tra i fortunati troviamo Alberto Donati, genero di Ercole Incalza; la ‘Sarappalti Alessandria’, società riconducibile a Giandomenico Monorchio, nonché lo stesso ex ragioniere generale dello Stato, Andrea Monorchio”. Tutti sempre uniti appassionatamente.
LE GRANDI MANOVRE GRIFFATE WEBUILD
Passiamo ad un altro dei protagonisti nel fresco copione dell’inchiesta genovese per il Terzo Valico, vale a dire Pietro Salini, l’amministrare delegato del colosso delle costruzioni ‘Webuild’, nato dalla fusione delle due star del settore – Salini e Impregilo – alle quali in modo rocambolesco se ne è appena aggiunta una terza, Astaldi.
Webuild è alle prese con l’assalto all’opera pubblica del secolo, il Ponte sullo Stretto, che oggi torna prepotentemente alla ribalta. Scrive il Fatto: “In Parlamento nasce la coalizione per il Ponte sullo Stretto: i renziani si alleano a Lega e Berlusconi. M5S: ‘E’ il gruppo del cemento’”. Più in dettaglio: “Dopo aver messo il Ponte sullo Stretto tra i motivi imprescindibili per cui far cadere il governo Conte 2, Matteo Renzi e Italia Viva hanno trovato in Parlamento gli alleati per portare avanti la loro proposta: Lega e Forza Italia. E’ nato infatti in queste ore l’intergruppo parlamentare dal nome ‘Ponte sullo Stretto. Rilancio e sviluppo italiano che parte dal Sud”.
Proprio in queste ore si sono svolti i consigli d’amministrazione di Webuild e Astaldi, destinati a sancire il passaggio definitivo della seconda sotto l’ombrello della prima. L’operazione porterà al cosiddetto ‘delisting’ delle azioni Astaldi e alla loro conversione in azioni Webuild.
Ma c’è un punto caldo: il rapporto di conversione stabilito è a tutto vantaggio di Webuild, perché è stato deciso dai vertici “un rapporto di concambio pari a n. 203 azioni ordinarie Webuild per ogni n. 1000 azioni ordinarie Astaldi”, come viene riferito nel comunicato stampa.
Denunciano i piccoli azionisti di Astaldi: “Una grande beffa per noi, ci ritroviamo con un pugno di mosche in mano. Finendo nel calderone di Webuild, ci avevano assicurato di recuperare almeno il 16 per cento del valore delle nostre azioni Astaldi. In questo modo se recuperiamo il 3 per cento è già molto”.
Battaglie legali in vista, dunque, contenziosi che vanno ad allargare il già vasto fronte giudiziario. Entro il mese di luglio, infatti, il tribunale di Roma dovrà pronunciarsi sull’intera operazione di fusione, confermando l’esecuzione del super contestato concordato preventivo. Non è finita: perché la Corte di Cassazione dovrà esprimersi sulla legittimità dell’intero impianto concordatario, che fa acqua da tutte le parti e presenta vistose anomalie, nonché – tanto per non farsi mancare niente – dei palesi conflitti d’interesse.
Girano voci in tribunale: “La partita è troppo grossa, certo non la fanno saltare i piccoli azionisti incazzati di Astaldi. L’operazione Webuild è troppo importante a livello nazionale per i grossi affari che comporta e soprattutto comporterà in futuro. Certo non può essere messa in discussione per beghe da poche centinaia di milioni di euro, a fronte dei miliardi in ballo”.
Ma a volte – si sa – pochi granelli di sabbia possono inceppare anche i più sofisticati meccanismi.
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