25 anni fa veniva ammazzato, in circostanze mai chiarite, il capitano Natale De Grazia, che stava indagando con grande efficacia sui traffici di rifiuti tossici e radioattivi.
Un uomo che ormai sapeva troppo, collaborava con gli inquirenti, e per questo di tutta evidenza “Doveva Morire”, come Ferdinando Imposimato e Sandro Provvisionato titolato il loro j’accuse per un altro dei più grossi misteri di Stato, il caso Moro. La procura di Catanzaro, alcuni mesi ha, ha riaperto il giallo della morte di De Grazia, per via di alcune novità emerse e di alcuni nuovi testi, pur ad un quarto di secolo di distanza.
Decisivo l’intervento del ministro per l’Ambiente Sergio Costa, che ha stanziato 1 milione di euro per effettuare nuove ricerche e rilevazioni.
Torniamo a quel tragico 12 dicembre 1995. De Grazia sta compiendo una delicata missione, sempre sulle tracce dei carichi di veleni. Una missione eseguita per conto della procura di Reggio Calabria, dove è al lavoro un procuratore che sta portando avanti da mesi un’inchiesta molto delicata proprio sul fronte dei traffici di rifiuti tossici, Francesco Neri.
De Grazia sta percorrendo l’autostrada Reggio Calabria-Salerno, per andare al Nord, alla centrale nucleare di Bosco Marengo, in provincia di Alessandria.
Si ferma con i due carabinieri con i quali sta viaggiando per cenare al ristorante “Da Mario”, nella zona di Mercato San Severino. De Grazia si assenta per un po’. Ritorna e riprendono il viaggio, ma poco dopo si sente male, sono costretti a fermarsi in un’area di servizio, chiamano i soccorsi.
A questo punto la confusione è totale. E non riesce a far chiarezza né l’inchiesta né tantomeno l’autopsia. Affidata alla dottoressa Simona Del Vecchio, una perizia del tutto anomala perché non fornisce alcuna spiegazione delle numerose ferite e tumefazioni – compreso un naso rotto – sul corpo di Natale.
In seguito il medico legale verrà condannato, per un’altra vicenda, a 2 anni e 11 mesi, per aver taroccato gli esiti di una quarantina di perizie, ben compresa, naturalmente, quella del capitano coraggioso.
Alcune spiegazioni poi fornite parlano dei tentativi dei due carabinieri, Domenico Scimone e Niccolò Moschitta, di rianimare De Grazia, rivoltandone il corpo. Ma niente giustifica quei segni, che inducono addirittura il cognato del capitano, Francesco Pastorino, a parlare di “segni di tortura”, come del resto fa il medico legale di famiglia, Alessio Asmundo, che ha scattato al cadavere delle foto più che eloquenti.
Di tutta evidenza il capitano doveva incontrare qualcuno, probabilmente per delle notizie scottanti. Ma quel qualcuno – o quei qualcuno (almeno due) – non avevano intenzione di lasciarlo andare via libero.
Siamo alle solite, come per i misteri meglio confezionati. Una sfilza di depistaggi e di punti interrogativi ai quali non è stata data alcuna risposta.
Come mai non è stato mai effettuato un sopralluogo in quel ristorante? E la stessa piazzola di servizio mai perlustrata? Quali versioni hanno mai potuto fornire i due carabinieri che si ritrovano con un corpo ferito in quel modo?
Da rammentare che il pm Neri stava indagando, come detto, su colossali traffici di rifiuti tossici, soprattutto via mare: come per i casi Jolly Rosso e della motonave Rigel. Molti di quei traffici conducevano anche nel Corno d’Africa, in Somalia, dove qualche hanno prima avevano acceso i riflettori Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.
Verrà profuso un impegno serio, adesso, dalla procura di Catanzaro per arrivare alla verità sulla tragica fine di Natale De Grazia?
O siamo in presenza di una delle troppo frequenti, tragiche sceneggiate?
nella foto Natale De Grazia
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