A sette anni la forza della disperazione

È affidato alle professionalità dei carabinieri il delicatissimo incarico di confermare o smentire se la mano di un bambino piccolo quanto si è a sette anni si è armata di coltello e l’ha piantato nella pancia di un pregiudicato, compagno violento della madre, che picchiava senza risparmiarlo. Provate a ‘vedere’ la figurina del presunto autore di un omicidio. Fosse accertato, il caso disegnerebbe plasticamente l’esasperata disperazione che avrebbe dato a una creatura ancora fisicamente e psicologicamente fragile l’energia muscolare e mentale per vendicare i soprusi di un delinquente. La ‘vittima’, tornato a casa ubriaco, ha picchiato ancora una volta la compagna e ha ferito il bambino al volto, ai denti. Eseguito l’identikit virtuale del bambino, subentrerebbe lo stupore per un gesto che sarebbe incompatibile con la sua condizione anagrafica. Subito sarebbero forte la tentazione di assolverlo (quasi certamente non voleva uccidere, ma solo interrompere le violenze del persecutore manesco), la spinta a divulgare il significato di quel gesto, per ricordare, che nell’Italia del maschilismo violento, quasi ogni giorno una donna è vittima di mariti, fidanzati, compagni, sequenza evitata drammaticamente da un bambino di sette anni, che si porterà nelle mente per tutta la vita i terribili momenti vissuti a difesa della madre e di se stesso. Ometto intenzionalmente nomi e luoghi del ’fatto’: l’episodio ha valenza universale.

Capito il furbastro? Il fellone che ha sgovernato per quattro anni quello a cui in molti, per storica empatia, riconoscono il titolo di esemplare democrazia, indotto dall’esito dei sondaggi, era cosciente di essere destinato allo sfratto dalla Casa Bianca, senza aspettare il conteggio dei voti. La manfrina dei ricorsi ha poi svelato la finzione di contestare l’esito delle urne per contrattare il via libera a Biden, con la promessa di impunità giudiziaria dei propri reati. Fallito questo obiettivo, lo sconquassato mentale, ancora restio a riconoscere Biden neo presidente, prima di comparire davanti alla magistratura (qualcuno gli ricorda la condanna di Al Capone per evasione fiscale) gioca un’ultima disperata carta di baro. Affida la presidenza al suo vice Pence, perché decreti la grazia a proprio favore e sia al riparo da condanne. Il “trucco”, se riuscisse, darebbe ancor più ragione a chi nega a questi Stati Uniti, il crisma di Paese più democratico del mondo.

Quasi lo avevamo dimenticato. In sordina, perché sovrastato da rilevanti emergenze, scopriamo che è in pieno svolgimento il ‘processo Rubi Ter’, con imputato Silvio Berlusconi. Considerati il default progressivo di Forza Italia, ridimensionato a ‘partitino’ e il tentativo di sopravvivere con strizzatine d’occhio al governo giallorosso per sottrarsi al tutoraggio strangolatore della destra, l’ex cavaliere ordisce una trama che per abilità strategica farebbe apparire un dilettante allo sbaraglio il genio investigativo di Poirot. Il sospetto è che Berlusconi, o comunque il suo entourage, potrebbero aver indotto e lo staff medico che lo ha in cura a prescrivergli riposo assoluto ‘domiciliare, di non muoversi, di non svolgere attività”. Così si legittimerebbe l’assenza in tribunale, al processo, che in un momento per lui politicamente precario, lo avrebbe esposto a visibilità controproducente. Fosse attendibile il referto medico: ‘patologia cardiaca, fibrillazione atriale’, altro che riposo a casa, dovrebbe essere ricoverato nel reparto cardiologico del San Raffaele.


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