Non solo vorticosi giri finanziari dal Vaticano alla Sardegna e verso i paradisi off shore nel pedigree del dinamicissimo Cardinal Giovanni Angelo Becciu.
Ma anche i depistaggi per il rapimento di Emanuela Orlandi.
Come mai papa Francesco, che oggi assume il giusto e drastico provvedimento nei confronti di Becciu, non si era accorto di niente tre anni fa sulle “ultime” relative al caso Orlandi? O forse era stato “indotto” a non accorgersi di niente?
Come mai a giugno 2018 addirittura lo nomina Cardinale?
Chiuse un occhio, all’epoca, Bergoglio?
Subì pressioni?
O cosa?
Gli interrogativi sorgono spontanei, basandosi su una ricostruzione temporale di alcuni fatti base.
IL CASO E’ CHIUSO
Fu proprio ‘O Monsignore, oltre tre anni fa, metà giugno 2017, a sbattere definitivamente (secondo lui) porte e portoni vaticani in faccia ai familiari della ragazza sparita nel nulla.
Lapidarie quelle sue parole: “Abbiamo già dato tutti i chiarimenti che ci sono stati richiesti. Non possiamo fare altro che condividere, simpatizzare e prendere a cuore la sofferenza dei familiari. Però per noi è un caso chiuso. Non so se la magistratura ha qualcosa, ma noi non abbiamo niente da dire in più rispetto a quanto detto tempo fa”.
Proprio in quel periodo facevano capolino dei documenti esplosivi, di cui scrisse in anteprima la Voce, una cover story di settembre 2017 che potere leggere a seguire: ossia carte top secret e conservate nella super cassaforte vaticana.
In quelle carte esistevano le prove della permanenza di Emanuela in una abitazione gestita da alcune suore a Londra. Ed emergeva una precisa rendicontazione, relativa alle spese sostenute dalla Santa Sede per il mantenimento della ragazza nel periodo che andava dall’83 al ’97. Quei rendiconti erano stati confezionati ad inizio ’98.
I documenti segreti vennero subito bollati dalla Santa Sede come “falsi e ridicoli” e “privi di fondamento”.
Ma nessuna contestazione nel merito. Né alcuna spiegazione alternativa.
I SILENZI DI PIGNATONE
Come mai la magistratura capitolina, all’epoca guidata dal procuratore capo Giuseppe Pignatone, non mosse un dito?
Come mai, un paio d’anni dopo, il vertice della Procura vaticana, guarda caso retta proprio da Pignatone, fresco di pensione, ugualmente non ha mai mosso un dito?
E sempre avvolte nei misteri le indagini di un anno fa sui resti trovati nel cimitero Teutonico, all’interno delle mura vaticane. Un esame del tutto superficiale e frettoloso, poche ore per esaminare reperti di estrema complessità.
Il legale della famiglia Orlandi, Laura Sgrò, ha espresso una profonda amarezza circa quella pseudo-indagine E proprio per questo ha chiesto di poter far esaminare i materiali da un team di esperti, a spese della stessa famiglia.
Ed ora, alla luce del fresco giallo Becciu sui vorticosi giri di danari, l’avvocato Sgrò rinnova quella richiesta già presentata tre anni fa al Segretario di Stato Pietro Parolin. Ed alla quale fece riscontro la beffarda risposta firmata Becciu.
Laura Sgrò torna alla carica, rinnova quella richiesta e si augura che finalmente da papa Francesco arrivi una risposta positiva: per mettere una buona volta a disposizione della famiglia i documenti vaticani sul giallo della sparizione.
LA BENEDIZIONE DEL QUASI CARDINALE
Una carriera tra le discrete ombre vaticane, quella di Monsignor e poi Cardinal Becciu.
La Voce ne scrisse anche in un’altra occasione.
Una visita fuor dalle mura vaticane, per rendere omaggio ai caritatevoli sforzi dei fratelli Chiorazzo, la dinasty umanitaria lucana che ha dedicato la sua vita ai migranti.
A gennaio 2018, pochi mesi prima di diventar cardinale, e quindi ancora in veste di “Sostituto per gli Affari generali della Segreteria di Stato vaticana”, Becciu incontra Angelo Chiorazzo, il capostipite della dinasty, nella fresca struttura per migranti inaugurata dal “Mondo Migliore” a Rocca di Papa, pochi chilometri dalla capitale. La struttura ospita una cinquantina di migranti provenienti dalla Libia.
La corazzata di casa Chiorazzo sul fronte dei Cara – così venivano chiamati i centri di accoglienza – è Auxilium, il cui nome è finito tra le carte dell’inchiesta “Mafia Capitale”.
Così come era finita undici anni prima tra i fascicoli dell’allora pm della Procura di Potenza, Henry John Woodcock. Carte bollenti, in cui faceva addirittura capolino il nome di Gianni Letta, il gran ciambellano di Silvio Berlusconi; e quello del super prefetto per tutte le immigrazioni, Mario Morcone.
A giugno 2009 la Voce scrive una cover story sull’inchiesta potentina; e su quella vicenda apre “il Fatto” nel suo primo numero in edicola, 15 settembre 2009. Tutto finirà poi in una bolla di sapone.
E candidi come gigli escono dalle pagine di Mafia Capitale i profeti della misericordia, Angelo Chiorazzo & C.
Le benedizioni fanno sempre effetto.
L’INCHIESTA DELLA VOCE DI SETTEMBRE 2017
GIALLO DI EMANUELA ORLANDI / IL VATICANO SAPEVA, ECCO LE PROVE
17 Settembre 2017
C’è la prova che il Vaticano sapeva. Finalmente, dopo 34 anni di attesa, si sta per squarciare il velo sul giallo di Emanuela Orlandi, la ragazza sparita nel nulla a 15 anni di età. Secondo fonti attendibili, è imminente la ‘bomba’: ossia la rivelazione di documenti custoditi nella super cassaforte della Prefettura della Casa pontificia che svelano non poche trame. E soprattutto dettagliano per filo e per segno le spese sostenute dal Vaticano in una serie di vicende oscure, compresa la permanenza di Emanuela per un certo periodo a Londra.
A riprova, appunto, che il Vaticano sapeva, non parlava, non ha mai collaborato con la giustizia e non ha mai pensato per un istante di restituire la figlia ai genitori disperati, che ancora adesso non sanno darsi pace.
DAL DOSSIER ALLE CARTE IN CASSAFORTE
La prima svolta a metà giugno di quest’anno, quando la famiglia Orlandi avanza una clamorosa richiesta: ossia un’istanza di accesso, rivolta al Vaticano, per poter visionare atti e documenti relativi al giallo, il cosiddetto ‘dossier‘ di cui da anni si parla – almeno dal 2012 – e di cui nulla è mai trapelato.
Il dossier conterrebbe notizie fino a tutto il 1997. E’ proprio l’istanza della famiglia a indicare la pista giusta: in particolare quando viene fatto riferimento ad “alcune fonti che riferiscono dell’esistenza presso la segreteria di Stato del dossier con dettagli anche di natura amministrativa dell’attività svolta dalla segreteria di Stato ai fini del ritrovamento”.
Ecco cosa racconta un esperto di fatti & misfatti vaticani: “nella cassaforte sono contenuti tutti i documenti più delicati del Vaticano circa le spese effettuate nel corso di tantissimi anni. Una sorta di libro mastro delle uscite. A cominciare dai delicatissimi trasferimenti dei fondi dalla banca privata vaticana, lo IOR, verso istituti lussemburghesi, fino alle spese per la sicurezza vaticana. Tra queste note di spesa c’è un preciso riferimento alla vicenda Orlandi. Ci sono le pezze d’appoggio, tutti i riscontri”.
Precisa la fonte: “In particolare, la nota vaticana conservata nella super cassaforte si riferisce alle spese sostenute per il mantenimento di Emanuela Orlandi in una casa di cura privata a Londra, ovviamente sotto falso nome. La circostanza è di enorme rilevanza, perchè si tratta di fondi segreti vaticani. Ma soprattutto perchè è la prova provata che dentro quelle mura pontificie ai livelli più alti sapevano e hanno taciuto. Hanno coperto e non hanno collaborato con la magistratura e soprattutto con la famiglia che cercava disperamente Emanuela da anni. E che ancora oggi continua a cercarla”.
TUTTE LE PORTE IN FACCIA
E caso mai si sente sbattere la porta in faccia, come pochi mesi fa, appunto, è successo dopo l’inoltro della richiesta di accesso agli atti, e cioè al misterioso dossier.
Ecco cosa scrive una nota d’agenzia del 27 giugno scorso. “La madre di Emanuela, tramite i suoi legali Annamaria Bernardini de Pace e Laura Sgrò, aveva chiesto di vedere il dossier su sua figlia conservato alla Santa Sede (la ragazza è cittadina vaticana). Una domanda legittima per una mamma che ha passato la vita a combattere contro mille depistaggi e insabbiamenti e soprattutto contro la sospetta indifferenza della Santa Sede. Dopo 34 anni di silenzio assordante, passa poco meno di un’ora dalla presentazione della domanda ufficiale di visionare il fascicolo e il sostituto della segreteria di Stato, monsignor Angelo Becciu, si affretta a rispondore: ‘Il caso è chiuso‘. Quattro parole per liquidare un calvario di 34 anni. Il linguaggio burocratico per liberarsi diplomaticamente di un caso per cui non si è riusciti neanche a confezionare una verità su misura. Archiviato”.
Così proseguiva quella nota d’agenzia: “Emanuela Orlandi non si cerca più. Non è viva e non è neanche morta: è un caso chiuso. Chiuso? E come? La famiglia aveva chiesto al Vaticano di vedere il dossier perchè recentemente alcune fonti, ritenute molto attendibili, hanno riferito informazioni importanti sul destino della ragazza che loro vogliono verificare consultando quel fascicolo. Perchè questo rifiuto così duro?”.
MIA FIGLIA NON E’ UN CASO CHIUSO
Con grande dignità, e al tempo stesso con grande dolore, ha osservato la madre: “Emanuela Orlandi non è un caso chiuso. E’ mia figlia. E io la cercherò finchè il Signore mi terrà in vita”.
Pochi giorni dopo la sua ascesa in Vaticano, alla fine della messa celebrata nella chiesa di Sant’Anna, Papa Francesco, rivolto al fratello di Emanuela, Pietro Orlandi, pronunciò queste parole: “Lei sta in cielo”.
Sarebbe il caso, adesso, che il nuovo corso intrapreso da Bergoglio, deciso a far piazza pulita di vecchi segreti & sepolcri imbiancati, desse un segnale di forza: riconsegnando alla famiglia Orlandi e alla memoria collettiva quella verità. Anche se tragica.
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Un commento su “GIOVANNI BECCIU / IL “DEPISTAGGIO” ORLANDI E LA STRANA NOMINA A CARDINALE”