Ilicic e Taccini: come Giano bifronte

La cronaca, una delle madri più prolifiche della storia, che l’umanità vive senza trarne grande profitto, in questo sabato che inaugura il mese del solleone, con temperature da Sahara, offre l’input per confrontare due stridenti contrasti. Ne sono interpreti un calciatore ammiratissimo di una squadra ammiratissima, l’Atalanta guidata da Gasperini (purtroppo sostenuta da tifo razzista), bella da vedere quasi come il Barcellona di Guardiola o il Napoli di Sarri, e una suddita di Salvini, che si va cercando con cura meticolosa i peggiori soggetti della politica nazionale e locale.
Non è ancora compiutamente compresa la conseguenza della pandemia in corso sul subconscio di uomini, donne e bambini meno dotati dello scudo che protegge da paure e ossessioni. Si può e di deve indagare lo stato di sofferenza che opprime la loro mente, la loro l’anima. Josip Ilicic, bosniaco ingaggiato dalla squadra bergamasca per chiara competenza e lungimiranza dei suoi dirigenti, ha illuminato il gioco spettacolare della sua squadra. Si assegnasse lo scudetto ‘ai punti’, come nella boxe, l’Atalanta avrebbe strameritato di vincerlo anche per lo strepitoso contributo di Ilicic. Nel cuore e nella testa di Josep abitano doti rare: sensibilità e affinità elettive per i meno fortunati. Nel suo tormentato immaginario si sono affollati i drammatici fotogrammi della Bergamo aggredita più di ogni altro luogo d’Italia dal Covid, dei terrorizzanti cortei di bare, degli anziani intubati, tagliati fuori dalla vita di relazione e dal rapporto con i loro cari. L’insieme di questa devastante tragedia lo ha evidentemente sconvolto, reso ansioso al massimo livello, anche per il possibile pericolo di contagio dei figli. Il giocatore si è rifugiato in un dolente silenzio e ha rifiutato la normalità di ‘giocare’, fino alla decisione estrema, ardua per un serio professionista qual è, di tornare in Slovenia per rigenerarsi con una pausa chissà quanto lunga. Sarà la psicanalisi a fornirgli la terapia per dimenticare il suono ravvicinato delle sirene, dei cassoni dei camion carichi di bare?
L’antitesi proposta dalla cronaca ha un nome: Maria Cristina Taccini, donna in politica per demerito del razzismo leghista. Ricopre indegnamente il ruolo di vice presidente del consiglio comunale di San Giuliano Terme, in provincia di Pisa. In tempo di pandemia si è tenuta la videoconferenza dell’ente di cui fa parte ed ecco, virgolettato il clou del suo ignobile intervento: “Questi bambini rom sono un po’ come animaletti che alzano la gamba e fanno la pipì sotto un albero, strisciano per terra e si tirano la roba da mangiare”.  La ‘nobildonna’ si riferiva a bambini di nomadi presenti nel parcheggio di un supermercato. La Taccini ha provato a negare di averlo detto, prontamente smentita dalla registrazione della seduta comunale.  Se pensate che l’episodio deplorevole sia raro, di più, unico, ricredetevi: di ‘politici’ come la consigliera di San Giuliano Terme Lega ne vanta una collezione, ovviamente ignorata da quanti si affollano attorno al faccione di Salvini per un selfie-ricordo, da appiccicare con un magnete sul frigorifero.
Nel coro solidaristi destrorsi, che negano i reati di Salvini avviato a processo, spicca la voce stonata di Tria, ex ministro del primo governo Conte. Come tutti i ‘trombati’, ha finalmente concluso l’attesa della vendetta covata a lungo con la dichiarazione di ‘innocenza’ del capo leghista e l’adozione della sua tesi sulla correità dell’intero governo nel reato di sequestro di persona. Dovesse verificarsi la sciagura del centrodestra al governo, per Tria il mandato bis è garantito.

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