Mele marce quelle della caserma degli orrori di Piacenza? Solo un episodio isolato?
Non pare proprio così. Ormai si comincia a parlare – anche a certi livelli istituzionali – di un degrado che si è allargato a macchia d’olio negli ultimi anni, senza che nessuno abbia mosso un dito. Facendo crescere, nei cittadini, un senso di rassegnazione sempre più marcato, perdendo progressivamente fiducia in fondamentali apparati dello stato che non sembrano più servire gli interessi collettivi ma spesso e volentieri quelli personali, nonché di corrotti e malavitosi che invece dovrebbero combattere.
Cadono le braccia a scorrere le news da Piacenza, a botte di traffici di droga, riciclaggi, conti correnti, barche: da veri farabutti super organizzati.
Quasi tutti napoletani o campani gli “uomini” (sic) della stazione di Piacenza. Come erano napoletani gli altri “uomini” della Benemerita a Sant’Antimo, che invece di servire lo Stato erano al servizio dello storico clan Puca, da trent’anni allegramente dominante nell’area, feudo politico della dinasty che fa capo al parlamentare forzista Luigi Cesaro, alias ‘a purpetta. Cinque carabinieri ai domiciliari a fine gennaio 2020, altri tre sospesi dal servizio.
QUEI FIUMI DI DROGA AD ACCIAROLI
Ma la storia di Piacenza riporta a galla un’altra vicenda di sangue & droga, che tra un paio di mesi compie dieci, tragici anni. Si tratta dell’omicidio del sindaco-pescatore di Pollica Angelo Vassallo, che ancora non riesce a trovare uno sbocco giudiziario, nonostante un mare di inchieste, in mezzo ad un altro gigantesco mare, fatto di depistaggi.
Seguite decine di piste, ma mai sul serio battuta quella autentica, che porta ai traffici, al controllo e all’espansione dei traffici di droga nel salernitano e certo non solo. Una piazza all’epoca “nascente”, quella cilentana, e chi cercava di opporsi poteva subire gravi conseguenze. E anche incontrare la morte, come è successo quella notte al sindaco.
Periodicamente i fratelli e i parenti di Angelo Vassallo puntano l’indice contro una giustizia che non funziona, che fa solo finta di indagare, che insabbia. Forse perché tirar fuori quelle verità, alzare il velo su quelle connection può far molto male, e assestare un fortissimo colpo a chi “sta in alto”.
La Voce ha più volte scritto di quel giallo, ricostruito gli scenari, seguito alcune piste. Ma non abbiamo mai scritto (o meglio, potuto scrivere) di due testimonianze da due fonti molto attendibili, due funzionari dello Stato di rango elevato.
Una fonte non conosceva l’altra; e abbiamo sentito prima una fonte, poi dopo diversi mesi la seconda. Eppure il racconto coincideva, fin nei minimi dettagli.
Non abbiamo mai potuto raccontarle per non coinvolgere le due fonti, che ci avevano raccontato la storia in via del tutto confidenziale.
Oggi, a distanza di anni, quelle parole risuonano nella nostra mente con forza. E ci chiediamo come sia possibile che un simile muro di gomma sia in grado resistere tanto a lungo. Più impenetrabile che mai.
Entrambe le fonti parlavano del traffico di droga come unico movente dell’omicidio: perché si trattava di un sindaco che sapeva troppo e “doveva morire”.
Entrambe le fonti facevano riferimento a figli di personaggi eccellenti coinvolti, come “utilizzatori” della droga, in quella storiaccia.
Entrambe le fonti si riferivano ad un coinvolgimento di “carabinieri”. E i nomi tirati in ballo erano gli stessi.
LE “IENE” SVELANO
Del giallo se ne sono occupate più volte le “Iene”. L’ultimo reportage di Giulio Golia e Francesca Di Francesco è del 20 novembre 2019.
Ecco cosa veniva scritto sul sito del programma. “L’inchiesta continua con una nuova e possibile rivelazione. Dopo il racconto di tutto quello che sembra non tornare nella ricostruzione, sul numero stranamente alto di carabinieri a vario titolo coinvolti nella vicenda, sul giro di droga ad Acciaroli di cui Vassallo si era lamentato più volte con la locale Stazione dei Carabinieri e sul possibile ruolo della famiglia del generale Pisani in questa storia. Nella nuova puntata si parte da una lettera che la redazione delle ‘Iene’ ha ricevuto. Una persona che chiede di restare anonima e si qualifica come carabiniere, fornisce delle informazioni sul caso. Si concentra su due carabinieri, Lazzaro Cioffi e Fabio Cagnazzo. All’epoca della morte del ‘sindaco-pescatore’ erano brigadiere e comandante del nucleo investigativo della Stazione di Castello di Cisterna”.
Così continua il report: “Cioffi è l’unico indagato per l’omicidio di Vassallo. L’estate della morte, Cagnazzo era in vacanza ad Acciaroli e avrebbe preso iniziative investigative senza informare gli inquirenti titolari dell’indagine. Secondo i magistrati, Cioffi sarebbe un carabiniere infedele e attualmente si trova in carcere con l’accusa di essere connivente con il clan Fucito di Napoli. Per l’omicidio Vassallo, Cioffi è stato indagato l’anno scorso. Nel 2013 un testimone oculare avrebbe fatto un collegamento tra Cioffi e la morte del sindaco di Pollica”.
E ancora: “Nella lettera ricevuta dalla redazione, si legge che il clan avrebbe regalato a Cioffi un’auto costosa per presunti servizi forniti al gruppo criminale ed il suo nome sarebbe già emerso nel 2005 in procura a Napoli durante un’indagine sul traffico di droga a Caivano quando sarebbero risultati alcuni rapporti intrattenuti tra carabinieri e pregiudicati. Secondo l’autore della lettera, Cioffi sarebbe stato accompagnato dagli inquirenti proprio da Fabio Cagnazzo, che lo avrebbe difeso a spada tratta”.
Non è finita. “Nella lettera si parla di un uomo chiave dell’omicidio Vassallo, che sarebbe Pasquale Fucito, capoclan che avrebbe favorito Cioffi. Fucito avrebbe colto l’opportunità offertagli dal carabiniere di espandere i suoi affari nella piazza di spaccio di Acciaroli sfruttando un camper. Una sera sarebbe stato effettuato un controllo alla roulotte parcheggiata in zona e in quella circostanza sarebbe stato trovato Cioffi con altre persone. Il militare avrebbe fatto intervenire Cagnazzo che avrebbe garantito per lui. Ma questo nega categoricamente l’avvenimento”.
Un dinasty davvero Benemerita, quella dei Cagnazzo.
Un padre generale in pensione, il quasi ottantenne Domenico, protagonista ai vertici del ROS negli anni bollenti della mafia stragista: tramandate alla storia, ormai, le ‘imprese’ portate avanti in perfetta sinergia con il suo diretto superiore di allora, il generale Antonio Subranni.
In basso potete leggere l’inchiesta della Voce sulle acrobatiche vicende dell’allora colonnello Cagnazzo.
A popolare le alte gerarchie della Benemerita, poi, ci sono il generale di brigata Salvatore, comandante dei Carabinieri alla Banca d’Italia. Poi il colonnello Massimo, attualmente capo del comando di Avellino. Oltre ovviamente a Fabio, numero uno a Frosinone.
Per fortuna la figlia Donatella non indossa la divisa e non si occupa di faccende militari. Proiettata, invece, nel mondo dorato dell’organizzazione degli “Eventi”.
Tornando al giallo Vassallo.
Come mai la procura di Salerno continua a dormire?
Perché non riesce a partorire neanche un topolino?
E il CSM sta sempre a guardare?
Interrogativi ai quali la magistratura deve rispondere.
Con i fatti. Non a chiacchiere o con il silenzio tombale.
LEGGI L’INCHIESTA DELLA VOCE DI APRILE 2012
DA SUBRANNI A CAGNAZZO – PROFONDO ROS
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