A 28 anni dalla strage di via D’Amelio.
28 anni di misteri, di sporchi depistaggi che hanno fino ad oggi impedito di accertare la verità su quell’eccidio e anche su quello di via Capaci. Perché sollevare il coperchio sulle connection istituzionali attivate per ammazzare Paolo Borsellino significa anche scoprire i mandanti dell’assassinio di Giovanni Falcone.
E quindi alzare il velo sui fino ad oggi sempre “indicibili” rapporti tra mafie, politica & imprese con la copertura di pezzi dello Stato. Che un tempo si dicevano deviati…
Qualcosa, comunque, pare finalmente muoversi nella fino ad oggi stagnante palude.
Buio totale a livello di inchieste da parte della magistratura, nonostante qualche “sceneggiata” che pare profilarsi all’orizzonte. Tanto per gettare fumo negli occhi.
Piuttosto, qualche segnale di arriva dalla famiglia Borsellino. Ed in particolare dall’avvocato Fabio Trizzino, che sta seguendo – come parte civile – un processo da non poco, quello a carico dell’eterna primula rossa, Matteo Messina Denaro, imputato davanti al tribunale di Caltanissetta come responsabile per le stragi del 1992.
LA PISTA INDICATA DAL LEGALE DEI BORSELLINO
Ecco le significative parole pronunciate da Trizzino nel corso della sua arringa. “Finalmente abbiamo un’occasione unica, cioè di processare il vero capo che ha totalmente aderito alla strategia stragista di attacco al cuore delle istituzioni nazionali”.
Aggiunge il legale: “Noi dobbiamo fare l’analisi delle parole di Borsellino che ha lasciato detto qualcosa che potesse guidare gli investigatori verso la possibilità di scoprire i motivi della sua morte. Evitando di contaminare le sue conoscenze prima di Capaci e ciò che acquisì in quei 57 giorni nei quali trovo una plausibile spiegazione nell’accelerazione della strage di via D’Amelio”.
Trizzino parla delle “collaborazioni tardive di Claudio Martelli, Liliana Ferraro, Alessandra Camassa e Massimo Russo, da cui abbiamo saputo delle cose che creano un rinnovato dolore”.
Dopo l’eliminazione di Falcone la mafia aveva deciso di eliminare Calogero Mannino, per dare un segnale politico dopo l’omicidio di Salvo Lima. Ma in brevissimo tempo cambiò il suo obiettivo, che divenne Borsellino.
Ecco come ricostruisce i fatti l’avvocato Trizzino. “Da quanto ci raccontano i collaboratori di giustizia, la virata avviene tra il 3 e il 20 giugno 1992. Cosa succede? L’autorità giudiziaria di Catania, con il sostituto procuratore Felice Lima, stava interrogando Giuseppe Li Pera, siamo al 13-124-15 giugno ’92. Noi dobbiamo capire se alcune di quelle informazioni possano essere finite a Borsellino. E questo è importante, perché potremmo iniziare a vedere la finalità preventiva di bloccare Borsellino sul fronte del dossier Mafia-Appalti”.
Vediamo di ricostruire le tessere del mosaico.
Per farlo ci serviamo della ricostruzione effettuata nel volume scritto da Ferdinando Imposimato e Sandro Provvisionato oltre vent’anni fa, ma oggi sempre più attuale. Si tratta di “Corruzione ad Alta Velocità” (edizioni Koinè, 1999) che permette di ricostruire per filo e per segno non solo i depistaggi giudiziari messi in campo dal pm Antonio Di Pietro per affossare le indagini sul TAV e il suo grande sponsor occulto, Pier Francesco Pacini Battaglia; ma anche di capire quanti ostacoli istituzionali (e di matrice giudiziaria) ha trovato sul suo corso l’accertamento della verità per le stragi di Capaci e, soprattutto, di via D’Amelio.
In un denso capitolo titolato “Uno scenario allucinante”, Imposimato e Provvisionato dettagliano la più che tribolata storia del dossier “Mafia-Appalti”, redatto dal ROS dei carabinieri su imput di Falcone.
Una vera enciclopedia dei rapporti tra politica, imprese e mafie, 980 pagine zeppe di nomi, sigle, intrecci, appalti che coprivano mezza Italia e già allora trovavano il punto focale nella nascente Alta Velocità.
L’ESPLOSIVO RAPPORTO DEL ROS
Un rapporto esplosivo, che aveva tutti i crismi per far saltare mezza Italia.
Una autentica Tangentopoli ante litteram, che andava di tutta evidenza stoppata.
Scrivono Imposimato e Provvisionato: “Proprio mentre i carabinieri del ROS consegnano alla magistratura un nuovo rapporto che amplia il precedente, ecco il colpo di scena. La procura di Catania invia a quella di Palermo un fascicolo di indagini preliminari, scaturite dalle confessioni di un imputato del processo in corso a Palermo. Si tratta di Giuseppe Li Pera, il geometra capo area in Sicilia della Rizzani De Eccher di Udine, che ha deciso di vuotare il sacco. La stranezza sta nel fatto che, non fidandosi – a suo dire – dei magistrati palermitani, Li Pera da cinque mesi sta parlando con lo stesso ufficiale dei carabinieri autore del rapporto ‘Mafia-Appalti’, il capitano Giuseppe De Donno, e con un sostituto procuratore di Catania, Felice Lima. Oltre a svelare il meccanismo degli appalti truccati, che coinvolgono politici e mafiosi vicini ai corleonesi dell’allora latitante Totò Riina, Li Pera ha fatto anche il nome di cinque magistrati del capoluogo siciliano, che avrebbero avuto riunioni con gli avvocati difensori dei suoi coimputati, prima ancora degli arresti, ai quali sarebbe stato consegnato da uno di loro una copia del rapporto dei ROS, per concordare una linea processuale. Lima invierà parte delle dichiarazioni di Li Pera, contenente le accuse ai magistrati di Palermo, alla procura di Caltanissetta”.
Così continuano i due autori: “Le confessioni di Li Pera sono esplosive, anche se tutte da verificare: il geometra ricostruisce il funzionamento del sistema degli appalti in Sicilia, e rivolge accuse ai magistrati, chiamati in causa con nomi e cognomi. Essi sono: il procuratore capo di Palermo Pietro Giammanco, oltre a quattro suoi sostituti: Guido Lo Forte, considerato vicinissimo al procuratore; Roberto Scarpinato, ritenuto un magistrato al di sopra di ogni sospetto e molto amico di Giovanni Falcone; Giuseppe Pignatone e Ignazio De Francisci, entrambi da anni alla procura di Palermo”.
QUEL MAGISTRATO TRASFERITO PER “INCOMPATIBILITA’”…
Continua la minuziosa ricostruzione effettuata da Imposimato e Provvisionato: “Le confessioni di Li Pera sono del maggio ’92, ma vengono rese note nell’ottobre. Il 23 dicembre il sostituto procuratore di Catania Felice Lima viene trasferito, su sua richiesta, al tribunale civile della stessa città. Un processo per incompatibilità (ambientale, ndr) era stato avviato dal CSM. Il 22 aprile del 1993 la procura di Caltanissetta chiede al gip di archiviare l’inchiesta a carico dei cinque magistrati palermitani per manifesta infondatezza”.
Ma “quell’inchiesta contro i magistrati di Palermo, già archiviata da Caltanissetta, riemerge nel 1997. E questa volta ad opera dello stesso capitano De Donno. A fare da sfondo a questa improvvisa resurrezione di un’inchiesta ormai conclusa, c’è una guerra senza esclusione di colpi tra la procura di Palermo e il ROS dei carabinieri. Ma c’è anche – a detta di alcuni organi di informazione – un possibile scenario che vedrebbe in primo piano proprio il mai del tutto sconfitto sistema degli appalti, nel quale sarebbe maturata almeno una delle stragi che insanguinarono il 1992: quella in cui morì, 57 giorni dopo Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, quasi ossessionato, nei giorni immediatamente precedenti la sua tragica fine, proprio da quel dossier, il dossier ‘Mafia-Appalti’. Ma i sospetti contro i pm di Palermo vengono ancora una volta dichiarati infondati dal gip di Caltanissetta”.
E aleggia infatti un gigantesco interrogativo sulle ultime ore di Paolo Borsellino.
La sua “ossessione” degli ultimi mesi, ossia l’inchiesta legata al dossier “Mafia-Appalti”, stava infatti per finire sotto una montagna di naftalina. Seppellita sotto le fresche ceneri di Capaci. Archiviata.
E tutto a sua (di Borsellino) totale insaputa!
Incredibile ma vero.
La notizia dell’archiviazione decretata dai “colleghi” e “amici” (sic) magistrati gli arriva a 48 ore dal tritolo di via D’Amelio.
Una doppia “fine”, quindi, quella decretata per Paolo Borsellino. Per via giudiziaria, con la morte della sua (e di Falcone) maxi inchiesta che avrebbe fatto saltare i Palazzi del Potere; e per mano mafiosa, esecutrice di progetti “istituzionali” ben più alti, elaborati da “menti raffinatissime”.
Ma prima di chiudere il cerchio mortale, torniamo a Giuseppe Li Pera. E alle sue infuocate verbalizzazioni.
Non solo quelle rese, come abbiamo visto, al pm Felice Lima. Ma anche quelle rese, anni dopo, ad Antonio Di Pietro. Che guarda caso lo interroga, a Roma, sul filone “Sistema Appalti”.
DI PIETRO, DOPPIO DEPISTATORE
Li Pera parla a ruota libera, svela tutti i meccanismi degli appalti non solo in Sicilia, ma in tutta Italia, per vie istituzional-ministeriali, anche via ANAS. Una monumentale ragnatela di interessi, affari, appalti. Una miscela altamente esplosiva. Anche questa da far crollare i Palazzi più alti.
Come mai il pm senza macchia e senza paura, Di Pietro, se ne frega delle verbalizzazioni di Li Pera e mette tutto a marcire nei cassetti?
Proprio come aveva fatto il giallo di Pierfrancesco Pacini Battaglia, “l’Uomo a un passo da Dio”, come lui stesso lo etichettò. Libero come un fringuello, per volontà del Grande Moralizzatore (sic) Di Pietro. Che affossò anche quella maxi inchiesta milanese sull’Alta Velocità, dopo aver avocato a sé il filone romano. Chicchi Pacini Battaglia – patrocinato dal suo amico e avvocato Giuseppe Lucibello – non passò neanche un giorno in gattabuia.
Due depistaggi in piena regola: per l’Alta Velocità – come dettagliano Imposimato e Provvisionato nel loro j’accuse – e per il “Sistema Appalti” descritto da Li Pera ma del tutto ignorato.
Quel “Sistema” criminale che fu alla base delle stragi di Capaci e via D’Amelio.
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11 Giugno 2020
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