L’esame per diventare giornalista professionista: citandolo balza in primo piano il nome illustrissimo di Alberto Moravia, perché bocciato. Come dicono a Roma allo scrittore “glien’è potuto frega de meno” e poco ha influito sulla fama acquisita la mancanza di laurea per Enrico Mentana, Piero Angela, Eugenio Montale, Roberto Benigni, Dario Fo, Federico Fellini, e ancora per Galilei, Benedetto Croce, Angelo Rizzoli, Arnaldo Mondadori, Vittorio De Sica, Giovanni Borghi, Mark Zuckerberg (Facebook), Steve Jobs (Apple), Bill Gates (Microsoft), Walt Disney, Coco Chanel, Henry Ford, per scrittori famosi: Dickens, Mark Twain, G:Bernard Show, Jack London, William Faulkner .
Per analogia si può immaginare con quale nonchalance deputati, senatori, leader di partiti, uomini delle istituzioni, siedono in Parlamento o su altri scanni e poltrone, benché privi di laurea. Di uomini così ne contano tutti i partiti ed ecco qualcuno dei più noti: Giuliano Poletti, Beatrice Lorenzin, Andrea Orlando, Valeria Fedeli, Michaela Biancofiore, Maurizio Gasparri, Antonio Razzi, Luigi Di Maio e Vito Crimi, Guido Crosetto, Oscar Giannino, Umberto Bossi, Salvini, che ha abbandonato l’Università dopo dodici anni di fuori corso, la Meloni.
Niente di male, non fosse per noti inciampi e gaffe da analfabeti in carriera, disagi reiterati nell’uso del congiuntivo, assenza di fondamentali conoscenze storiche, geografiche, di politica internazionale, di leggi e articoli della Costituzione. Al lungo elenco di antichi e recenti strafalcioni si agganciano due episodi ‘freschi, freschi’. La commissione sanità del parlamento si avvale del dotto contributo di tale Francesco Zaffini, capogruppo di Fratelli d’Italia. L’‘onorevole’, discettando nel corso di una videochat sul giornale online ‘Umbria 24’, ha confuso la pillola abortiva (Ru486) con la ‘pillola del giorno dopo’. Corretto dal medico Tommaso Bori, consigliere regionale del Pd, gli si è rivolto contro in modo arrogante. In tema, per non farsi mancare nulla, ecco un altro incidente di percorso della destra. Tg Zero, programma radiofonico di Radio Capital, co-condotto dalla scrittrice Michela Murgia, che si è collegata via telefono con Donatella Tesi, governatrice leghista dell’Umbria, che ha imposto tre giorni di ricovero ospedaliero per le donne che assumono la pillola abortiva. Altrove viene somministrata in daily hospital. Perché tre giorni di degenza ha chiesto la Murgia: “Avevate forse evidenza di donne che sono state male o che sono morte a casa perché non facevano il ricovero?”. La Tesei: “No”. Murgia: “Perché avete pensato che possa essere più tutelata la salute se mi avete detto che non ci sono evidenze del fatto che la donna corra più rischi a casa?” Tesei: “Non ne abbiamo, ma non è detto che non ci siano”. Una tutela ipotetica, dunque. Murgia: “Ci sono situazioni in cui tre giorni di ricovero non sono possibili per prendere la pillola abortiva. Ragazze rimaste incinte che non vogliono dirlo ai genitori, situazioni in cui il partner interferisce. La libertà di scelta delle donne è limitata dall’obbligo di ricovero di tre giorni”. La conversazione degenera. Murgia continua a fare appello a quello che viene detto dagli specialisti, Tesei insiste sul fatto che l’Umbria è in linea con quello che stabilisce la nazione (ma si tratta solo di un consiglio non di un obbligo, ndr).
Detto francamente, nelle due ‘lacune’ di esponenti della destra il titolo della laurea non c’entra proprio, è solo la testimonianza di incongruenza con ruoli istituzionali di personaggi ‘fuori corso’ rispetto al dovere di essere informati.
Chi non ha commesso peccati di assembramento scagli la prima pietra: ne abbiamo visti ovunque: movide senza alcuna precauzione, raduni di piazza, spiagge affollate, mercati idem. Ultimo episodio a Napoli di ‘esultanza popolare’ per la vittoria in Coppa Italia contro la Juventus, nemica sportiva per eccellenza.
Chi non aspettava altro per ribaltare le critiche alle regioni del Nord in tema di pandemia, ha enfatizzato il rischioso comportamento dei tifosi e di qui il duello verbale a distanza Salvini-De Luca. Il via è del leghista: “Dov’era De Luca?” La replica: “Salvini un cafone somaro. I commenti polemici hanno portato alla luce una propensione sotterranea incancellabile allo sciacallaggio, perfino al razzismo nei confronti di Napoli. In altre città, penso a Milano e a Vicenza, sono avvenuti episodi di assembramenti dovuti alla movida senza che nessuno chiedesse ai governatori lombardi e veneti dove fossero. Se uno (Salvini, ndr) organizza una manifestazione il 2 giugno e a farlo non è un tifoso, ma un segretario di partito, in totale inosservanza delle norme di distanziamento…”. L’ex ministro valpadano: “E’ un poveretto. L’unico razzismo che emerge è quello del signor De Luca nei confronti dei suoi cittadini, che a decine di migliaia ogni anno sono costretti ad andare a farsi curare e operare in ospedali di altre Regioni, 14.000 solo in Lombardia nel 2019, pagando di tasca propria l’incapacità di chi governa”. De Luca: “In Veneto, regione del nord che ha retto meglio, si sono registrati il quadruplo dei contagi rispetto alla Campania, in Lombardia venti volte di più. La regione Lombarda ha registrato 40 volte in più di decessi rispetto alla Campania. Avremmo potuto scatenare una campagna di aggressione mediatica, ma siamo persone civili e ribadiamo la nostra solidarietà per le regioni che hanno sofferto”.
Ovvero, prove riuscite di bon ton istituzionale
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