IL DOSSIER “MAFIA-APPALTI” / LA CHIAVE PER CAPIRE LE STRAGI DI CAPACI E VIA D’AMELIO

Il rapporto “Mafia-Appalti” come movente base per le stragi di Capaci e Via D’Amelio. L’assalto delle “imprese di partito” – anzi di corrente – ai mega appalti pubblici, a cominciare da quelli dell’Alta Velocità, che rappresentava la grande torta. La mafia come collante e come braccio armato.

Ferdinando Imposimato. Nel montaggio di apertura, Giovanni Falcone e, sullo sfondo, i primi cantieri dell’Alta Velocità

La Voce ne ha scritto fin da inizio anni ’90, così come ha fatto uno dei nostri autori più prestigiosi, Ferdinando Imposimato, che a metà anni ’90 ebbe il coraggio di firmare una “storica” relazione di minoranza all’interno della Commissione Antimafia per puntare l’indice su quell’esplosivo dossier finito sulla scrivania di Giovanni Falcone alcuni mesi prima di essere trucidato. Un lavoro condiviso subito con Paolo Borsellino e portato avanti fino all’eccidio di via D’Amelio.

Una pista – quella Mafia Appalti – sempre “osteggiata” dai papaveri della magistratura. E che invece, di tanto in tanto, torna a turbare i sonni dei potenti, molti pezzi da novanta travestiti da politici, imprenditori o in toga.

 

 

LA VERA MAFIO-TANGENTOPOLI

Adesso succede con le fresche dichiarazioni di Basilio Milio, avvocato, figlio di un altro avvocato storico, Pietro Milio, radicale, per anni braccio destro di Marco Pannella in tante battaglie sul fronte dei diritti civili.

Ha sempre lottato, Pietro, per far emergere la verità su quelle “Stragi di Stato”, ed ha sempre indicato quella pista, l’esplosivo dossier “Mafia-Appalti”, redatto dal Ros dei carabinieri all’epoca guidato da Mario Mori e dal suo allora braccio destro, Giuseppe De Donno.

L’avvocato Basilio Milio

980 pagine davvero “al tritolo”, come quello che ha fatto saltare per aria le vetture di Falcone e Borsellino. Verità all’epoca, appunto, esplosive, perché facevano già luce su una maxi Mafio-Tangentopoli, uno tsunami ben più gigantesco di quello innescato, mesi e mesi dopo, dal pool di Milano.

Perché in quelle carte e in quei documenti da quasi mille pagine erano dettagliate tutte le connection tra le big dell’imprenditoria di casa nostra, soprattutto sigle del nord, e vip di riferimento della politica, i legami con le cosche di mafia e di camorra. Ancora: le ragnatele dei subappalti, la mappa delle commesse, le infrastrutture pubbliche nel mirino. A cominciare, appunto, dai super appalti per l’Alta Velocità, 27 mila miliardi di lire allo start, nel ’90, una torta lievitata a dismisura.

Tanto che nel loro mitico libro-j’accuse – “Corruzione ad Alta Velocità” scritto nel 1999 – gli autori Ferdinando Imposimato e Sandro Provvisionato già all’epoca scrivevano di una cifra mostre, 150 mila miliardi di lire. Che nell’arco di questi oltre vent’anni hanno raggiunto vette stratosferiche, ormai incalcolabili, un pozzo senza fine per lobby d’ogni sorta e politici d’ogni risma.

Torniamo alle parole di Basilio Milio – oggi legale di Mario Mori per il processo sulla “Trattativa” – nel corso di un’intervista rilasciata a “il Riformista”.

 

PARLA BASILIO MILIO

“Le ragioni dell’accelerazione della strage in cui persero la vita Borsellino e gli uomini della scorta furono altre (non quelle che riportano alla ‘Trattativa’, ndr). Si temeva che Borsellino fosse nominato Super Procuratore Antimafia. E soprattutto c’era il timore che Borsellino proseguisse con De Donno, avvalendosi della collaborazione del Ros, l’inchiesta iniziata da Falcone sulla correlazione mafia-appalti, che coinvolgeva anche uomini politici”.

Milio rammenta anche “una riunione avvenuta il 14 luglio 1992, cinque giorni prima della morte di Borsellino, tra gli appartenenti alla procura della repubblica di Palermo. Nella quale Borsellino chiese conto e ragione del fatto che i carabinieri si erano lamentati degli esigui sbocchi processuali di quell’inchiesta su mafia e appalti”.

“Borsellino chiese conto e ragione del perché l’indagine Mafia-Appalti procedesse così a rilento. Manifestò interesse e protesse i carabinieri, chiedendo di quella indagine ai suoi colleghi”.

Roberto Scarpinato

Di lì a qualche ora due colleghi rispondono con i fatti. Anzi con un ceffone in faccia a Borsellino. Si tratta di due icone (sic) antimafia, Giuseppe Lo Forte e Roberto Scarpinato che – udite udite – chiedono nientemeno che l’archiviazione – poi regolarmente arrivata – di quella inchiesta bomba!

Ai confini della realtà. Come buttare sotto montagne di naftalina e cenere un tesoro di notizie, di reati pesantissimi, di fatti che avrebbero fatto crollare i Palazzi, rappresentando una super Tangentopoli con condimento mafioso, disvelando la più grande associazione di stampo mafioso mai scoperta in Italia!

Ma è meglio chiudere gli occhi, non vedere. E affossare.

Rammenta Milio: “Borsellino, davanti al feretro di Falcone, disse che le ragioni della morte di Falcone andavano ricercate nell’ambito dell’indagine Mafia-Appalti”.

E aggiunge: “non mi spiego come, a distanza di quasi trent’anni, si continua a non prendere nella dovuta considerazione quell’indagine del Ros e anzi a non attribuirle alcuna importanza”.

 

LA PISTA PERICOLOSA

Nel corso dell’ultima commemorazione delle vittime di Capaci, il coordinatore nazionale dei ‘Familiari delle vittime di mafia’ e dell’associazione ‘I cittadini contro le mafie e la corruzione’, Giuseppe Ciminisi, ha sottolineato: “Il valore della memoria sta nell’aiuto che dobbiamo trarne per costruire, mattone su mattone, una società più sana. Oggi più che mai il nostro impegno deve essere quello di chiedere a gran voce che venga strappata quella ragnatela che continua ad avvolgere i tanti misteri delle stragi del ’92, a partire dal dossier mafia-appalti, l’indagine voluta da Falcone e che Borsellino avrebbe voluto venisse portata avanti, e che in molti ormai ritengono sia stata la vera causa degli attentati”.

Antonio Di Pietro

Una pista più volte indicata con vigore – carte alla mano – dall’uomo che conosce tutto di quel mondo delle commesse pubbliche, a proposito del Sistema degli Appalti su cui la politica a fine anni ’80- inizio anni ’90 aveva messo le mani, per controllare i giganteschi flussi di danari pubblici.

Si tratta del geometra Giuseppe Li Pera, il quale ha puntato l’indice contro quelle toghe che hanno affossato l’inchiesta scaturita dal rapporto “Mafia-Appalti”. In quegli anni bollenti è stato il rappresentante di una grossa impresa edile del nord, la friulana Rizzani-De Eccher: il cui nome faceva capolino nel lotto delle sigle baciate dalla fortuna per i maxi appalti siciliani. Tra le altre star c’era l’Icla molto cara ad ‘O Ministro Paolo Cirino Pomicino e la Calcestruzzi di casa Ferruzzi.

Ha reso anche una lunga e articolata verbalizzazione su quei fatti bollenti, Li Pera, dettagliando proprio quel Sistema criminale.

Ma non è scaturito mai niente.

Neanche un battito d’ali.

Il pm che lo interrogò si chiama Antonio Di Pietro.

 

 

Cliccando sui link in basso, potete leggere alcune inchieste scritte dalla Voce sulle connection Mafia-Appalti.

 

 

BORSELLINO / LA PISTA “MAFIA-APPALTI” DENUNCIATA DA GIUFFRE’ 13 ANNI FA

8 Febbraio 2019 di PAOLO SPIGA

 

TAV & MAFIE / DALL’INCHIESTA DI FALCONE E BORSELLINO AI VERBALI DI ANGELO SIINO

 di Andrea Cinquegrani

 

BORSELLINO / IL MOVENTE “MAFIA-APPALTI” & TAV INSABBIATO E LO SPATUZZA DIMENTICATO PER 21 ANNI  

 di Andrea Cinquegrani


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