La politica a dimensione internazionale è sostanzialmente un mix tra le parole emissario e immissario, cioè tra fiume che alimenta le buone relazioni multilaterali e lago che si alimenta dell’interscambio economico-sociale-culturale. Il loro contrario sono le forme più o meno aggressive di sovranismo. La reciproca, proterva autarchia, è fondamento della dichiarata ostilità di un paio dei poli dominanti la Terra ora e molto probabilmente nel futuro dell’umanità. L’uno contro l’altro armato, l’incredibile Trump e il dispotico Xi Jinping confliggono con pari spocchia e a fasi alterne usano le armi del ricatto incrociato. Dazi sull’import, embargo, stop ad acquisto e vendita di beni prodotti dal ‘nemico’. Il tycoon, fenomeno da baraccone che prestato a un Luna Park farebbe la sua fortuna, è terrorizzato dall’incedere a grandi falcate del gigantismo cinese. Il suo antagonista mostra i muscoli e risponde colpo su colpo. I due ‘compari’ hanno estimatori-imitatori ovunque. Uno fra tutti è il turco Erdogan, uno che il dissenso lo vede come la peste e per ridurlo a zero riempie le carceri, esattamente come opera Trump, che tappa la bocca ai contestatori con migliaia di arresti e nel corso della protesta per l’omicidio brutale di un nero minaccia la polizia “Chi non arresta è un idiota”, o come Xi Jinping, che si oppone con violenza inaudita a chi rivendica l’autonomia di Hong Kong.
Perché sorprendersi se risulta un appello accorato quanto vano l’invito di Mattarella perché l’Italia professi concretamente l’idea di unità, fondamentale per aver ragione della crisi figlia della pandemia? Nel giorno delle nozze di platino dal Paese con la democrazia della Repubblica antifascista, orde di disfattisti manifestano nelle piazze del Paese, rappresentazione in sedicesimo del sovranismo, in parallelo con disaggreganti autonomie regionali, che alimentano una forma di caos istituzionale.
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