Ennesimo j’accuse dai microfoni di “Chi l’ha visto” lanciato da Pietro Orlandi contro le alte gerarchie vaticane, colpevoli di aver affossato l’inchiesta su ossa e frammenti del cimitero teutonico.
Parole pesanti come macigni, all’indomani dell’archiviazione di un’indagine partita un anno e mezzo fa e poi culminata in un superficiale esame durato appena un giorno e mezzo. Esame addirittura “ad occhio”, senza il ricorso ad alcuna tecnica specifica, come sarebbe stato di tutta evidenza necessario.
Ma non per il “perito” vaticano, tale Arcuti, che in poche battute ha etichettato frammenti, ossa e reperti come molto antichi dopo un frettoloso esame visivo: la bellezza di 26 sacchi nel giro di poche ore.
Ora quelle ossa sono a disposizione dei familiari di Emanuela Orlandi, che però non hanno i mezzi per affrontare spese del genere. Forse qualche laboratorio si prenderà cura dell’esame, si è augurata Federica Sciarelli.
Come mai i tribunali vaticani fanno acqua da tutte le parti?
E recitano una simile, vergognosa sceneggiata?
Eppure oggi al vertice ci sono pezzi da novanta della magistratura e dell’avvocatura capitoline.
Sullo scranno massimo, arrivato un anno fa dopo aver lasciato la poltrona di procuratore capo a Roma, ora siede Giuseppe Pignatone, reduce dal mezzo (o tre quarti) flop del maxi processo Mafia Capitale.
In qualità di super procuratore per ironia della sorte è arrivato un avvocato di grido, Alessandro Diddi. L’ultimo successo professionale per Diddi è stata la difesa dell’imputato numero uno proprio di Mafia Capitale, Salvatore Buzzi.
Come dire: adesso in Vaticano lavorano fianco a fianco – ma a ruoli praticamente invertiti – i due “nemici” di quel maxi processo. Dio li fa – come si suol dire – e poi li accoppia.
Il pedigree griffato Diddi, comunque, è affollato di clienti eccellenti. Per citarne uno solo – Buzzi a parte – Giancarlo Tulliani, il fratello di Elisabetta e cognato dell’ex ducetto di An Gianfranco Fini. Tutti sotto processo per riciclaggio internazionale davanti alla quarta sezione penale del tribunale di Roma in cui è coinvolto il re delle slot, Francesco Corallo.
Ma il rampante Giancarlo per ora se la gode nell’esilio dorato di Dubai, tra le piscine del mitico grattacielo Burj Khalifa. In attesa che il recalcitrante – e fino ad oggi sordo – Emirato conceda finalmente l’estradizione.
Nella foto Pietro Orlandi
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