HARVARD / IL LEGAME TRA INQUINAMENTO E COVID-19

Uno studio appena elaborato dall’Università di Harvard dimostra che il coronavirus ha un impatto ancora più pericoloso e letale nelle aree già pesantemente inquinate.

In particolare, la ricerca degli scienziati statunitensi documenta come l’esposizione all’inquinamento da particolato fine (PM2.5) può aumentare in mondo drammatico la mortalità del Covid-19.

Su questo fronte si stanno muovendo i ricercatori del Dipartimento di Biostatistica della Harvard T.H. Chan School of Public Health, i quali stanno investigando sulla concreta ipotesi che gli effetti a lungo termine dell’inquinamento da polveri sottili (PM 2.5) possano aumentare drasticamente il rischio di morte da coronavirus.

Il presupposto dello studio – ora in fase di pubblicazione – è la notevole sovrapposizione tra le cause di decesso dei pazienti Covid-19 e quelle correlate all’esposizione al particolato fine. Gli esperti hanno confrontato i dati di mortalità e contagio negli Usa, depurati da molti fattori che possono creare confusione.

I risultati del documento suggeriscono che l’esposizione a lungo termine all’inquinamento atmosferico aumenta in modo consistente la vulnerabilità al Covid-19: un aumento di 1 mg/m3 nell’esposizione a lungo termine di PM2,5 – secondo le acquisizioni scientifiche – aumenta del 15 per cento il tasso di mortalità Covid-19.

Gli autori fanno l’esempio di Manhattan, attuale epicentro della pandemia negli Usa, dove i valori di PM2.5 variano da circa 7 a 11 mg/m3 negli ultimi anni e i decessi segnalati per coronavirus fino al 4 aprile sono 1904.

Se i livelli di particelle fossero stati in media solo di un’unità inferiori negli ultimi due decenni, i ricercatori calcolano che 248 persone in meno sarebbero morte delle ultime settimane.

Cosa mai potrebbe significare un analogo sistema di analisi se applicato alla nostra Lombardia e alle super inquinate province di Bergamo e Brescia?


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