Udienza clou al tribunale di Frosinone per il giallo Mollicone. Il giudice dell’udienza preliminare, Domenico Di Croce, ha consentito l’uso processuale di una dichiarazione molto significativa per suffragare la colpevolezza degli imputati accusati della morte di Serena, ammazzata 19 anni fa.
Un caso mai fino ad oggi risolto – a testimonianza che la giustizia di casa nostra fa acqua da tutte le parti – ma giunto ad una svolta, perché nel corso delle prossime udienze, previste per il 13 e il 20 marzo, il gup dovrà decidere finalmente sul rinvio a giudizio degli imputati principali, ossia Marco Mottola, all’epoca fidanzato di Serena Mollicone, i genitori Franco Mottola, comandante della stazione dei carabinieri di Arce, e la moglie Anna.
Vediamo subito le news.
La testimonianza base, che può rappresentare appunto la svolta, è del brigadiere Santino Tuzi, il quale era a conoscenza di molti dettaglia sul crimine, e per questo è stato “suicidato” sette anni dopo l’omicidio. Sapeva troppo, e per questo “doveva morire”.
Ma adesso il gup del tribunale di Frosinone ha stabilito che le parole pronunciate da Tuzi prima d’essere “suicidato” possono entrare a pieno titolo nel processo.
Ecco la frase oggi sotto i riflettori degli inquirenti: “Ho visto Serena Mollicone entrare in caserma alle 11 del mattino dell’1 giugno 2001 e fino a quando sono rimasto in servizio, erano le 14 e 30, non l’ho vista uscire”.
Queste le parole che, con ogni probabilità, gli sono costate la vita: un giallo nel giallo, anche questo fino ad oggi mai chiarito, con una dinamica del “suicidio” che fa a pugni contro ogni logica.
Nella terza delle udienze preliminari il gup Di Croce ha respinto la richiesta avanzata dalla difesa degli imputati di rendere inutilizzabile la dichiarazione. Respinta anche l’eccezione di “indeterminatezza dell’imputazione” perché per sostenere l’accusa di concorso in omicidio – secondo il gup – non è decisivo definire le singole condotte materiali degli imputati.
La “vecchia” ma più che attuale – per i’iter processuale – testimonianza di Tutino è strategica perché colloca Serena Mollicone sulla scena del crimine, in quella caserma.
Ma c’è un altro mistero. Quello della firma sui registri della caserma. Il nome “in entrata” dell’allora diciottenne, infatti, risultata “sbianchettato”: in quel registro il brigadiere Tuzi aveva annotato con cura il nome della ragazza.
Non è finita. Perché nel corso dell’ultima udienza davanti al gup è emerso un altro elemento non da poco. Vale a dire il testo di una intercettazione telefonica, in cui parla un dipendente dell’azienda guidata dal fratello della signora Anna Mottola: le parole risultano non poco confuse, ma il senso risulta chiaro. Si tratta di alcuni dettagli relativi all’occultamento del cadavere di Serena, in un boschetto non lontano.
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