Signor presidente, partire dal Sud…

Dalla bocca della mia sardina parlante, giorni addietro, le nuvolette hanno segnalato l’emergenza operativa di “Il Sud è Italia” e la sollecitazione   “Ora il Sud”. Ci mancherebbe, la regia del movimento non ha certo preso lo spunto da quell’appello partito da  Napoli per porre al governo, nella persona del premier Conte, il tema di una priorità tenuta in sordina da gialloverdi e demostellati, a rimorchio dei decenni di disattenzione dell’Italia per la sua metà a sud di Roma. Il tema del Paese a due velocità è antico e recupera nella memoria responsabilità individuali e collettive della marginalità inflitta al Mezzogiorno dai governi che si sono succeduti, perfino da quelli presieduti da politici meridionali o comunque con la presenza corposa di deputati  e senatori del Sud.
Non è secondario ricordare l’inversa disparità Sud-Nord a ridosso dell’Unità d’Italia, allorché l’intraprendenza operosa della città faro qual era Napoli, esibì oltre cento primati conquistati nell’intero panorama dell’economia, della scienza, della cultura, dell’innovazione. Sgretolato dagli eventi del ‘900, il ‘fenomeno’ è confinato nell’archivio mnemonico di Internet.
Il titolo “Mezzogiorno” è stato in evidenza negli anni successivi al dopoguerra, ma solo nel racconto della strategia assistenzialista della Dc, culminata in politiche di incentivazione del comparto industriale, concepite per operazioni  sovrastrutturali, economicamente effimere, a tempo, prive della  progettualità di lungo respiro che avrebbe dovuto valorizzare il potenziale e le vocazioni dell’Italia meridionale.
Il massimo impegno a proiettare il triangolo industriale del Nord nella dimensione competitiva con l’Europa  forte e l’incipiente globalizzazione, ha indotto l’Italia a privilegiare il work in progress delle regioni confinanti con l’economia sovrana, in particolare della Germania e la questione meridionale è progressivamente sparita dall’agenda di governo, perfino dei sindacati e della sinistra, ridotta a titolo privo di contenuti.
È chiaro e comprensibile, la priorità delle sardine di impedire che l’aggressività sovranista di Salvini avesse la meglio in Emilia-Romagna con il voto del 26 Gennaio. L’esito politico del voto attenua, parzialmente,  il rammarico per aver abbandonato al suo destino la Calabria, dove l’inesistente Forza Italia, con l’elezione di Jole Santelli, ha provato a lenire il vulnus del 2 virgola qualcosa racimolato in Emilia. La maggiore responsabilità del regalo al centrodestra è fuori di dubbio del Pd, che ha provocato la dispersione di molte liste civiche e ha investito l’imprenditore Pippo Callipo, chiamato in causa in extremis, dell’onere di competere in solitudine contro il centrodestra e i suoi radicamenti in territori ‘anomali’ della Calabria. Sciagurata anche la corsa solitaria dei 5 Stelle, finita con un sonoro default, ma merita un’onesta riflessione anche il mancato impegno delle sardine, che smaltita la giusta euforia per il voto in Emilia, ripartono dal Sud guardando dritto negli occhi il presidente del consiglio: “Noi di reti ci riteniamo abbastanza esperti e ci piacerebbe trovare con Lei i fili giusti, per tessere percorsi e provare a sciogliere nodi. A partire dal Sud, un filo un po’ maltrattato, ma che malgrado tutto conserva la sua dignità e aspetta solo di divenire rete, parte di un coraggioso e fiero intreccio finalizzato alla crescita e alla cura. Il luogo scrivono in cui tante giovani menti, e persone nella loro interezza, crescono, si formano, ma poi vanno via”.
Niente male come esordio meridionalista e punto di partenza di proposte organiche, da costruire e condividere.

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