Non solo la maxi intervista genuflessa dell’Espresso. C’è un Di Pietro bis a stretto giro, un secondo endorsement da novanta: quello che gli dedica il Fatto quotidiano dell’amico di sempre, Marco Travaglio. Altro inchino in piena regola.
Riprendiamo il filo del ragionamento dell’ultima puntata dedicata a don Tonino Di Pietro e alla Mani pulite story.
Ci eravamo lasciati con le parole di pietra scritte da Ferdinando Imposimato e Sandro Provvisionato, esattamente 20 anni fa, nel j’accuse contro Antonio Di Pietro, “Corruzione ad Alta Velocità”. Tra le cento altre cose, anche la responsabilità storica – per ‘O Pm e per il pool di Milano – di aver provocato la morte per suicidio di Gabriele Cagliari e Raul Gardini.
Nel corso della super intervista da 7 pagine rilasciata all’inviata speciale dell’Espresso a Montenero di Bisaccia, Susana Turco, il fondatore/affondatore di Italia dei Valori si sofferma sul giallo della morte di Gardini.
GARDINI, UN ERRORE
Ecco le sue parole: “Tutti dicono che ho fatto Mani pulite per mettere sotto processo la prima Repubblica. Io invece ho processato una persona sola: Cusani. Gli altri erano indagati per reato connesso. Il vero casino nasce quando io faccio il grande errore di non fidarmi di Gardini. Perché io capisco – lo capivo perché già lo sapevo – che dovevo arrivare a Gardini: con lui avrei chiuso il cerchio”.
Invece, nessun cerchio mai chiuso e un “errore” che costa una vita. Bazzecole, per il pm senza macchia e senza paura. E, oggi, senza vergona.
Prosegue ‘O pm davanti al taccuino Turco: “L’interfaccia tra me e Gardini è un ex procuratore aggiunto di Milano, che era diventato suo co-difensore. Concordiamo tutto. Cosa Gardini dirà, e il fatto che se ne andrà con le sue gambe, cioè non sarà arrestato. L’accordo è che lui viene alle otto di mattina. Abbiamo la certezza che è all’estero, in Svizzera, quindi per venire da me deve andare a dormire da qualche parte. Per cui faccio mettere carabinieri, finanza, polizia a Milano, Roma, Ravenna. Non faccio capire nulla a nessuno. Quello per venire da me deve necessariamente rientrare in Italia: e da allora non mi deve scappare più. Perché anche io lottavo contro il tempo, c’era anche l’ipotesi di farmi fuori, non dimentichiamo. Comunque, a mezzanotte mi chiamano i carabinieri e mi dicono: è arrivato a piazza Belgioioso, lo prendiamo? E io: no, mantengo la parola sennò non mi parla più. Poi mi chiedono, e io do, l’ordine formale di non arrestarlo. Se l’avessi arrestato ora sarebbe ancora vivo. Ora non so più quello che avrebbe messo per iscritto davanti a me. Alle otto mi telefona l’avvocato di Gardini, dice ‘stiamo arrivando’. Lui era già vestito. Da quanto riferisce il maggiordomo, si affaccia e vede i carabinieri. E pensa che io l’ho tradito. A quel punto: bum, è un attimo. Si è ammazzato perché era convinto che lo stavo arrestando”.
Un errore? Bum! Ma che cavolo di racconto è mai? E con quale tono oltraggioso per ogni vita umana?
C’è da rabbrividire. Quello stesso brivido che ha percorso Ferdinando Imposimato quanto scorreva la lista delle vittime del “rito ambrosiano” officiato e brevettato da ‘O Pm.
Torniamo, a questo punto, al formidabile j’accuse di Imposimato e Provvisionato, scritto 20 e passa anni fa e oggi più che mai “ottimo e abbondante” per costituire un vero e proprio capo d’accusa contro Di Pietro.
ALTA VELOCITA’, COME TI INSABBIO
Passiamo ai raggi x il secondo maxi bubbone al centro dell’inchiesta dei due autori: oltre al giallo della Madre di tutte le Tangenti, ENIMONT, l’affaire dell’Alta Velocità, TAV per gli aficionados: sotti i riflettori, in particolare, ci sono le vicende giudiziarie.
Così scrivono: “La vicenda dell’Alta velocità ferroviaria, l’affare TAV, è un vero guazzabuglio. Non è solo un affare da migliaia di miliardi lucrati da loschi figuri, secondo i calcoli di alcuni esperti addirittura 140 mila miliardi”.
E figurarsi a quanto potrà mai ammontare oggi, dopo vent’anni, quel bottino! Incalcolabile.
E poi: “E’ un intreccio di nomi, fatti, cifre, episodi che si avviluppano in maniera quasi inestricabile. Ma com’era veramente cominciata l’inchiesta sull’Alta velocità ferroviaria?”.
Ecco la minuziosa ricostruzione. “Tutto comincia nella prima metà del 1993, quando l’ex ministro socialdemocratico Luigi Preti presenta un esposto alla Procura di Roma nel quale vengono censurate le procedure seguite per la costituzione della società TAV spa, amministrata da Ercole Incalza. La denuncia viene affidata al sostituto procuratore Giorgio Castellucci. Ma ecco che accade subito qualcosa di inusuale. Nel corso di un vertice per chiarire alcune sovrapposizioni, vertice che si svolge nel palazzo di giustizia della capitale e al quale partecipano diversi sostituti procuratori di Roma e di Milano, viene deciso lo sdoppiamento dell’appena nata inchiesta sull’Alta velocità. Al vertice partecipano tra gli altri anche Castellucci e Antonio Di Pietro”.
Ecco dunque affacciarsi la sagoma di ‘O Pm sulla scena dell’affaire TAV. Continua la ricostruzione storica: “E’ stato lo stesso Castellucci, nell’ottobre del 1996, a spiegare come andarono le cose. Il magistrato romano – è bene evidenziarlo – nel 1993 aveva appena aperto il fascicolo sull’Alta velocità, ma Di Pietro – racconta Castellucci – gli confidò che su quell’argomento aveva cominciato a parlare l’imprenditore Vincenzo Lodigiani, secondo il quale intorno al progetto TAV c’era una vera e propria ‘programmazione tangentizia’. Fu così che a Roma rimase l’inchiesta sulla correttezza nelle procedure con cui era stata costituita TAV spa di Incalza, mentre quella sugli appalti per l’Alta velocità ferroviaria finì a Milano nelle mani di Di Pietro”.
Come dire: io (Di Pietro) mi becco la tranche fondamentale, la ‘ciccia’, voi beccatevi le bucce.
Ottimo e abbondante programma!
LO SCIPPO ROMANO
Ancora. “Già nel 1993, quindi, c’è chi indaga sull’Alta velocità. Per la verità esistono ben due inchieste: una milanese e l’altra romana. Ma fino al 1996, quando interverranno gli ordini d’arresto di La Spezia, non succede nulla. Come mai?”.
Ecco la spiegazione del mistero. “La tranche d’inchiesta presa in carico da Di Pietro a tutt’oggi non si sa che fine abbia fatto. Di Pietro se ne spoglia quando nel dicembre abbandona la toga (per la ‘sceneggiata’ che abbiamo dettagliato nelle puntate precedenti, ndr). Nell’inchiesta romana, invece, Castellucci prima gioca sui tempi lunghi. Il 28 dicembre 1993 chiede una proroga, che il gip Augusta Iannini (la moglie di Bruno Vespa, ndr), esattamente un mese dopo, gli concede disponendo che però lo stesso Castellucci iscriva sul registro delle notizie di reato i rappresentanti legali delle società Italferr e Tav, cioè Ercole Incalza ed Enrico Maraini. Ma Castellucci continua a mantenere il procedimento a carico di ignoti”.
La vicenda va avanti tra i continui tentativi di Castellucci d’insabbiare tutto, nel porto delle solite nebbie romane.
Ma a questo punto “sono delle intercettazioni ad inguaiare Castellucci, accusato di aver preso denaro per far archiviare a Roma l’inchiesta sull’Alta velocità”.
Così, “sospeso Castellucci dal suo incarico, la tranche dell’inchiesta ancora nelle mani dei magistrati romani passa ad un altro pm, Giuseppe Geremia, che per prima cosa vuol vederci chiaro in quella strana spartizione di atti giudiziari avvenuta nel 1993 tra Castellucci e Di Pietro. Alla Geremia non era scappato un particolare: non era la prima volta che Di Pietro si appropriava di un’inchiesta nata a Roma. Era già accaduto. Era successo con l’inchiesta sui soldi spariti della cooperazione, di cui era titolare il sostituto procuratore di Roma Vittorio Paraggio”.
COOPERAZIONE & MILIARDI
La narrazione di Imposimato e Provvisionato prosegue come in un thriller mozzafiato, dettagliando i profili di un’altra maxi indagine, quella sulla quale stava lavorando anche Ilaria Alpi, alle prese con i maxi fondi pubblici gestiti soprattutto in Africa. Un’inchiesta nella quale è coinvolto il faccendiere Francesco Pacini Battaglia, l’Uomo a un passo da Dio inquisito per “finta” da Di Pietro – come abbiamo visto nelle puntate precedenti – sulla maxi tangente Enimont.
Dettagliano i due autori: “L’11 giugno 1993 Paraggio aveva ricevuto un fax da Di Pietro – ma l’ex pubblico ministero ha negato questa circostanza – nel quale lo invitava a trasmettergli gli atti relativi alla posizione di Pierfrancesco Pacini Battaglia, che Paraggio aveva iscritto nel registro degli indagati assieme, tra gli altri, all’allora segretario del Psi Bettino Craxi, all’ex ministro degli Esteri, anche lui socialista, Gianni De Michelis e al finanziere Ferdinando Mach di Palmenstein. Nell’abitazione parigina di quest’ultimo, intestata all’attrice Domiziana Giordano, erano stati trovati documenti, alcuni dei quali si riferivano proprio ad Antonio Di Pietro”.
Eccoci al cuore dell’intreccio affaristico. “Paraggio aveva indagato Pacini Battaglia a proposito di un progetto di cooperazione che si sarebbe dovuto realizzare in Africa e di cui si occupava l’imprenditore Paolo Ciaccia, titolare di CTIP. Ma nel fax – stando alla versione di Paraggio – Di Pietro insisteva per avere le carte relative al banchiere italo svizzero (Pacini Battaglia, ndr). Il motivo: Pacini Battaglia, indagato anche a Milano nell’ambito del processo Enimont, sta collaborando. Era quindi opportuno evitare qualsiasi forma di sovrapposizione. A quel punto Paraggio aveva deciso di stralciare la posizione del finanziere e l’8 luglio 1993 l’aveva inviata per competenza alla Procura di Milano”.
Proseguono Imposimato e Provvisionato. “Basterebbe questa nuova invasione di campo di Di Pietro per far drizzare le orecchie a chiunque. Prima la faccenda dell’Alta velocità in cui Pacini Battaglia ha avuto un ruolo determinante, poi quella della cooperazione dove il pubblico ministero punta la sua attenzione proprio su di lui, sul tanto discusso banchiere. Se una coincidenza è una coincidenza, due diventano un indizio. Almeno così ragionava Di Pietro quando faceva il magistrato”.
Non è certo finita qui, perché le anomalie in questa incredibile story che meriterebbe oggi una rilettura non più storica, ma giudiziaria, sono una caterva.
Sottolineano infatti gli autori: “Ma c’è di più, molto di più. Che Roma stesse indagando su Pacini Battaglia fin dal 1993 lo scoprono i sostituti di La Spezia Alberto Cardino e Silvio Franz. Sono loro a chiedersi che fine avrà fatto quell’inchiesta. Prendono quindi contatto con la Procura di Roma, scoprendo che quegli atti sono stati inviati da Paraggio a Milano. Cercano allora i colleghi di Milano. Di Pietro non è più ormai da tempo magistrato, è vero, ma quelle carte su Pacini dove sono mai finite? I magistrati di Milano cadono dalle nuvole. Qui da noi sul faccendiere e sui suoi affari con la cooperazione non c’è proprio nulla”.
ATTI SPARITI. VOLATILIZZATI
Incredibile ma vero, “si scopre così che quegli atti, quelle carte, sono scomparsi. Spariti. Volatilizzati. In altre parole non si trovano più. Risultato: certamente il più gradito a Pacini Battaglia. Per tre anni nessuno ha indagato su di lui. I magistrati di Roma perché avevano stralciato la sua posizione, inviandola a Milano. Quelli del capoluogo lombardo perché Pacini Battaglia era indagato nell’inchiesta sulla cooperazione e dell’inchiesta sulla cooperazione si occupava Roma”.
Ancora delle belle (e delle balle). “Ci sono altri atti che sono spariti. A Roma non si trovano più alcuni documenti sequestrati a Mach di Palmenstein. Già, proprio così, alcuni documenti facenti parte del dossier in cui si parla ancora di lui: Antonio Di Pietro”.
Poi. “Intanto, sempre a causa di alcune intercettazioni, nei guai sono finiti anche due ufficiali di polizia giudiziaria: il maggiore dei carabinieri Francesco D’Agostino, braccio destro di Paraggio ma vicino anche a Di Pietro ai tempi in cui quest’ultimo conduceva l’inchiesta ‘Mani pulite’; e il capitano della Guardia di finanza Mauro Floriani, marito della deputata di Alleanza Nazionale Alessandra Mussolini, già collaboratore a Milano dello stesso Di Pietro. Entrambi – stando alla magistratura di La Spezia – sono in strettissimo contatto con Pacini Battaglia e il secondo anche con Lorenzo Necci. Forse sarà solo un caso, ma una volta dimessosi dalle fiamme gialle, Floriani è stato assunto dalle FS dello stesso Necci”.
Ma Di Pietro per ‘miracolo’ se la cava, come abbiamo visto nella precedente puntata. Infatti “i sospetti su Di Pietro finiranno a Brescia. Archiviazione anche per lui. A scoprire l’arcano sono i pm di Perugia che scrivono: ‘Gli atti relativi a Pacini (in tema di cooperazione) sono stati effettivamente trasmessi a Milano’ dopo che, su istanza di Lucibello, il pm Di Pietro chiese al collega Paraggio di non svolgere indagini su Pacini in quanto stava offrendo rilevante collaborazione nelle indagini svolte dalla procura di Milano”.
L’AMICO DI GRANDI MERENDE
Si tratta di Giuseppe Lucibello, Peppino, il grande amico di Di Pietro e arrivato all’ombra della Madunina con una valigia legata di spago dai fori del Sud, introdotto da don Tonino negli ambienti della Milano da bere.
E tanto da patrocinare come legale – incredibile ma vero – nientemeno che l’Uomo a un passo da Dio, Pacini Battaglia!
Rieccoci ad un altro passaggio clou di “Corruzione ad Alta Velocità”. “Riprendiamo il filo della nostra storia. Come abbiamo visto c’è qualcuno che quei fatti su Di Pietro vorrebbe verificarli e approfondirli. Per questo il 7 aprile 1997 il pm di Roma Giuseppa Geremia lo convoca a Roma. Di Pietro, dopo aver misteriosamente lasciato la magistratura alla fine del 1994, era ormai un personaggio lanciatissimo in politica. L’ex pm però non ci pensa due volte e, ignorando la convocazione, fa la cosa più semplice: non si presenta. Quale indagato di reato connesso, si avvale della facoltà di non rispondere. E perché mai, se non aveva nulla da nascondere?”.
Con amarezza Imposimato e Provvisionato concludono: “Nessuno, quindi, finora è ancora riuscito a fare chiarezza sulla strana sovrapposizione tra Roma e Milano, tra Castellucci e Di Pietro, tra Paraggio e Di Pietro. E quegli atti giudiziari su Pacini Battaglia sono stati fatti sparire a Milano oppure – come dice Di Pietro – la procura della capitale non li ha mai mandati a quella del capoluogo lombardo? Mistero”.
Uno dei tanti, troppi misteri.
Una delle cento e passa anomalie.
Ma non è arrivato il momento di scrivere – una volta per tutte – la vera storia di Mani pulite, al di là delle cialtronerie che ‘O Pm racconta ieri all’Espresso, oggi al Fatto e domani chissà a chi?
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