MANI PULITE / LA “SCENEGGIATA” DELL’EX SUPER PM ANTONIO DI PIETRO – PRIMA PARTE

La sceneggiata. O, se preferite, la messinscena.

E’ quella recitata con quel “suo modo un po’ buffo e stratificato di parlare” da Antonio Di Pietro davanti al trepidante taccuino dell’inviata speciale dell’Espresso a Montenero di Bisaccia, Susanna Turco, autrice di una mega ricostruzione da sette pagine (7) – compresa una gigantografia – sulla “Vera Storia di mani pulite”, raccontata dall’allora pm di punta del pool di Milano.

Una autentica buffonata, un calcio alla verità storica e giudiziaria di quel periodo che avrebbe potuto cambiare l’Italia ed invece ha rappresentato il totale inizio dello sfacelo.

Con una caterva di depistaggi.

Tanto più grave – la ricostruzione taroccata – perché arriva dal numero uno di quella operazione, con un burattinaio nelle mani degli Usa e della Cia che si traveste da pecorella smarrita nei mari delle mafie e delle corruzioni, il Moralizzatore che da poliziotto semplice passa ai vertici della più strategica procura italiana.

Ai confini della realtà.

Ma andiamo subito al cuore di quella ricostruzione che fa acqua da tutte le parti, zeppa di errori, orrori e soprattutto omissioni e capovolgimenti della realtà.

Vere acrobazie da circo.

 

IL SUPER DOSSIER “MAFIA-APPALTI”

Uno dei nodi centrali è rappresentato dal dossier Mafia-Appalti, 980 pagine redatte dal ROS dei Carabinieri. Rammenta l’ex pm: “Doveva andare a Giovanni Falcone, ma lui viene trasferito”, ossia al ministero della Giustizia, quando titolare era il socialista Claudio Martelli, oggi tornato sulla cresta dell’onda.

Claudio Martelli. In apertura Di Pietro come appare nell’articolo dell’Espresso e, a sinistra, in una foto del 1992

Prima gaffe storica. Quel fascicolo viene accuratamente esaminato da Falcone (prima di andarsene a Roma) che salta sulla sedia, ne parla con l’amico e collega Paolo Borsellino, ordina le prime indagini.

E’ il vero primo basilare tassello – quel rapporto – per ricostruire tutti i rapporti, le sporche connection che legano già allora la mafia con le più grandi imprese non solo siciliane, ma nazionali: nel mezzo, come perfetto trait d’union, c’è la politica, anche i vertici nazionali.

Una bomba, altro che Mani pulite. Il vero movente per l’esplosivo di Capaci e via D’Amelio.

Racconta Di Pietro: “Il rapporto del ROS rimane lì, a Palermo, in mano a Pietro Giammanco (l’allora procuratore capo, ndr), che lo mette in cassaforte”.

Un rapporto – precisa Di Pietro – “dove veniva raccontato quello che io ho scoperto dopo anni”. Boh. Vedremo tra poco.

Di Pietro sostiene di essere stato fermato quando era ad un passo da quelle verità, e per questo dovette lasciare la toga. Ossia quando l’inchiesta di Brescia sulle malefatte da pm a Milano lo stava passando ai raggi x e lui temeva per sé: addirittura quelle manette che aveva spesso usato con tanti imputati!

Una sceneggiata nella sceneggiata.

Ricostruisce il fondatore (e affondatore) di Italia dei Valori: la bufera, attivata dalla procura di Brescia (in cui opera il pm Fabio Salamone), mi colpisce “proprio mentre io stavo arrivando alla cupola mafiosa grazie alle dichiarazioni che mi aveva fatto il pentito Li Pera su un certo Filippo Salamone (fratello del magistrato, ndr), imprenditore agrigentino intermediario tra il sistema mafioso e il sistema imprese-appalti, il nord che veniva gestito soprattutto da Raul Gardini e dalla Calcestruzzi di Panzavolta. Insomma, Palermo arriva prima di me, nel 1992”.

Sì, spiega, perché il capitano del ROSGiuseppe De Donno un bel giorno mi porta a Regina Coeli, a parlare con l’ex capo della Rizzani De Eccher in Sicilia, Giuseppe Li Pera, il quale mi tira fuori il nome di Filippo Salamone”.

 

RIVELAZIONI BOMBA

Per districarci nel labirinto e cominciare a capire qualcosa, partiamo proprio da Li Pera, una figura base.

Si tratta di un allora dirigente della friulana Rizzani De Eccher, capo area in Sicilia. E’ il primo uomo a parlare con i magistrati siciliani del sistema mafioso negli appalti, delle commesse taroccate, delle connection politico mafiose proprio per assicurarsi una montagna di lavori pubblici.

L’avvocato Pietro Milio

Ma nessuno gli crederà, in Sicilia, tranne un magistrato catanese, Felice Lima, il quale – proprio per questo – viene trasferito per “incompatibilità ambientale”: ovvio, se scopri ‘O Sistema muori (come è successo per Falcone e Borsellino, certo non per Di Pietro, che a suo tempo andò in vacanza in Centro America) o vieni delegittimato, comunque neutralizzato, reso del tutto inoffensivo.

Fa di più, Li Pera: chiama in causa con pesanti accuse magistrati del calibro dello stesso Giammanco e di quattro sostituti di peso (Lo Forte, Scarpinato, Pignatone, De Francisci).

Ma nessuno, pur tirato in ballo, oserà mai querelarlo o citarlo in giudizio.

Diverso il discorso con il pm da Montenero. Che lo incontra a Roma. A questo punto è basilare rammentare le parole di una fonte super attendibile, l’avvocato Pietro Milio, figura storica sul fronte antimafia, una vita da radicale al fianco di Marco Pannella: “Le rivelazioni-bomba di Li Pera su determinati appalti al Centro e Nord Italia, confessati ad Antonio Di Pietro, non hanno avuto seguito – chiarì Milio – semplicemente perché, con somma sorpresa dell’interessato, Li Pera non venne più invitato ad approfondire i temi della confessione a Di Pietro né dallo stesso pm milanese, né da altri suoi colleghi settentrionali ai quali il pm molisano potrebbe aver trasmesso il verbale per competenza, e nemmeno venne mai chiamato a testimoniare nei processi dedicati in tutto o in parte alle circostanze da lui riferite il 9 novembre 1992”. Una rivelazione – questa sì – da scoop.

 

AUTOSTRADE & TANGENTI

Ma come era nato quell’incontro tra Di Pietro e Li Pera?

E’ quest’ultimo a fornire i dettagli: “Ho chiesto di parlare con un pm di Milano perché, per esperienza diretta, ho avuto modo di constatare alcuni meccanismi di suddivisione degli appalti al Nord, specie con riferimento a quegli Enti che si occupano di autostrade: mi riferisco alla società Autostrade, ai consorzi autostradali (Consorzio Val di Susa per l’autostrada del Frejus, Consorzio Torino-Savona etc.) e, in particolare, l’Anas”.

Di Pietro al processo Enimont

Proprio Autostrade per l’Italia, oggi nell’occhio del ciclone per la tragedia del ponte Morandi e la revoca della concessione; proprio quei consorzi mangiasoldi che agiscono nell’ombra; proprio quell’Anas tanto cara a don Tonino soprattutto nei mesi – governo Prodi, 2007 – in cui è stato ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture, combinandone di cotte e di crude proprio sul versante degli appalti (per poi tornare, dieci anni dopo, sul ‘luogo del delitto’ al timone della altrettanto mangiasoldi Pedemontana Lombarda).

Riprendiamo con quel maledetto Sistema degli Appalti, che il ROS dei carabinieri (ma anche lo SCO della polizia, come vedremo nella prossima puntata) dettaglia tassello per tassello. E come poi farà proprio Li Pera, invano, con tanti magistrati sordi e muti della procura palermitana (tranne il sostituto catanese Felice Lima). Precisa l’ex geometra della Rizzani De Eccher: “Faccio riferimento alla costruzione di quelle strade di cui l’Anas ha preso la gestione o l’alta sorveglianza”.

A suffragare tutto ciò c’è un illuminante articolo scritto da Gianmarco Chiocci (oggi direttore dell’Adn Kronos, all’epoca redattore de ‘Il Giornale’) esattamente dieci anni fa, il 19 gennaio 2010, nel quale ricostruisce la Mafia-Appalti story e intervista Li Pera.

 

CARA ANAS, NON TI INDAGO

Scrive ad un certo punto Chiocci: “Prima di elencare a Di Pietro gli appalti viziati dal pagamento di tangenti, da accordi tra società solo in apparenza concorrenti, dalle percentuali alle imprese riconducibili a Cosa nostra, Li Pera spiega come funzionava ‘il sistema delle imprese’ che ‘si accordano tra loro in una specie di cartello avente lo scopo di controllare e precostituire il buon esito della gara’. Ogni società, a turno, con un ‘sistema di rotazione’ attraverso ‘un sorteggio a eliminazione’, si aggiudicava l’appalto. Per i lavori autostradali era lo stesso e attraverso progettisti compiacenti si arrivava a ‘far lievitare ad arte il valore di un appalto a un prezzo tale che gli potesse permettere di creare un surplus di guadagno tale anche da ricompensare quegli organi delle istituzioni che le hanno permesso simili operati’”.

Il geometra Li Pera fa l’elenco degli studi di progettazione puntualmente beneficiati dalle commesse, parla di ‘prezzario dell’Anas’ che è ‘una specie di Vangelo che non corrisponde ai reali valori di mercato ma serve a creare utili non giustificati’, si dilunga sugli escamotage per creare il nero e finanziare i partiti o la mafia.

Parla per esperienza diretta, Li Pera, durante quel colloquio a Roma, e a Di Pietro rivela: “Sull’autostrada Val di Susa la mia ed altre imprese assegnatarie degli appalti pagavano una somma di circa il 7 per cento del valore dell’appalto ai politici”.

Segue un dettagliato elenco dei politici pagati, dei funzionari a conoscenza delle corruzioni e aggiunge: “Poi c’è la questione dell’autostrada Roma-Napoli dove ho appreso del pagamento delle tangenti all’Anas, idem per l’ospedale di Torino”: quel raddoppio della corsia Roma-Napoli di metà anni ’80 che vide, oltre all’Anas, come protagonisti i mattonari nazionali e campani, nonchè la partecipazione attiva dell’emergente clan dei Casalesi, che faceva già allora man bassa di subappalti e movimento terra.

 

SALVO LIMA, LO SCOOP TAROCCATO DELL’ESPRESSO

In quell’articolo di 10 anni fa esatti, Chiocci rivelava quello che oggi l’Espresso spaccia per uno scoop.

Raul Gardini

Nel sottotitolo dell’intervista al settimanale, infatti, troviamo la oggi la notiziona del secolo: “La maxi tangente Enimont andò anche a Salvo Lima. Per conto della mafia e di Andreotti. Che sarebbe stato arrestato se Raul Gardini non si fosse ucciso. Le rivelazioni dell’ex pm”.

Accipicchia, quali rivelazioni! E che scoop!

Ascoltato come teste al processo Borsellino Ter, il 21 aprile ’99, Di Pietro s’è ricordato di Li Pera, soffermandosi sul filone siciliano del comitato d’affari. Ecco le profetiche (sic) parole del pm senza macchia e senza paura: e senza vergogna ora di ripetere cose già dette vent’anni fa: “Nel settembre ’92 mi arrivò, non ricordo se dal ROS o dal nucleo operativo di Milano, suggerimento di sfruttare un certo Li Pera per avere delle notizie ed aprire un troncone ‘Mani pulite’ in Sicilia. Ascoltai Li Pera e indagando sul comitato d’affari indicato dal geometra scoprii che Salvo Lima, 15 giorni prima di essere ucciso, ricevette dall’Enimont un miliardo in Bot e Cct”.

Una vicenda, Enimont, sulla quale torneremo in una seconda puntata.

Ma ora spunta un interrogativo alto come un grattacielo e inquietante come un pozzo che più nero non si può.

Pier Francesco Pacini Battaglia

Come mai Antonio Di Pietro non approfondì quel gigantesco, stra-clamoroso filone investigativo? Per quale motivo mai non andò lui stesso avanti, invece di abbandonare la toga come nella più classica delle sceneggiate? O altrimenti: perché non affidò nelle mani di colleghi milanesi, romani o della procura che più gli andava a genio quella bollentissima inchiesta?

Succede lo stesso con la maxi inchiesta sull’Alta Velocità, prima scippata e poi insabbiata, nonostante già allora si trattasse di una evidente storia di “Corruzione ad alta velocità”, come denunciarono in un profetico – quello sì – libro uscito 20 anni fa esatti Ferdinando Imposimato e Sandro Provvisionato, un autentico j’accuse nei confronti di Di Pietro.

Succede con l’Uomo a un passo da Dio, Francesco Pacini Battaglia, che tutto sa su Enimont, TAV e altri buchi neri, e con cui il pm usa un insolito guanto di velluto. Anzi lo lascia subito libero, come vedremo nella prossima puntata.

Due coincidenze possono capitare per caso.

Ma tre – come sa bene ‘O Pm – fanno una prova.


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