GIALLO PANTANI / E’ STATO UCCISO, VERBALIZZAZIONE CHOC ALL’ANTIMAFIA

Marco Pantani non è morto per cocaina. E’ stato ucciso”.

Fabio Miradossa

Rivelazione choc davanti alla Commissione Antimafia impegnata ad affrontare il giallo del campione di ciclismo che il 12 gennaio prossimo avrebbe compiuto 50 anni.

Choc fino ad un certo punto, tale comunque da far trasecolare i componenti della Commissione, ed in particolare l’interrogante, il senatore 5 stelle Giovanni Endrizzi.

Invece ben nota a magistrati e inquirenti, impegnati con perizia ad insabbiare il caso: fino ad oggi hanno solo fatto finta di indagare, archiviato il caso e sostenuto in pieno la tesi del suicidio, senza se e senza ma. E senza fregarsene delle cento e passa anomalie presenti sia nell’inchiesta per la morte di Marco avvenuta il 14 dicembre al residence Le Rose di Rimini; che per il Giro d’Italia del 1999, taroccato e comprato dalla camorra, la quale aveva scommesso una montagna di soldi sulla sconfitta del Pirata.

 

IL J’ACCUSE DEL PUSHER

Partiamo dalle news. E soprattutto dall’autore della verbalizzazione da novanta, il pusher Fabio Miradossa, uno dei fornitori di coca a Pantani e che al processo ha patteggiato. In sede di interrogatori aveva più volte affermato che “Pantani è stato ucciso”, spiegando anche per filo e per segno il perché di quelle sue dichiarazioni.

Ecco cosa ha detto in Antimafia (e, appunto, in gran parte aveva già detto agli inquirenti della procura di Rimini) il pusher, che nel giorno dell’omicidio, quel tragico 14 febbraio, si trovava a Napoli. Di seguito le principali frasi.

“Marco l’ho conosciuto poco prima che morisse (al club ‘Pineta’ di Milano Marittima, ndr), non mi è sembrata una persona che si voleva uccidere. Marco è stato ucciso. Lui era perennemente alla ricerca della verità sui fatti di Madonna di Campiglio (la tappa nella quale il campione venne stoppato, ndr), ha sempre detto che non si era dopato. E qualcosa stava facendo per arrivare alla verità, questa è una mia convinzione”.

La commissione parlamentare antimafia

“Io sono stato costretto al patteggiamento dalla Procura. La verità non la volevano, hanno beccato me ma io già sedici anni fa dicevo che Marco non è morto per droga, è stato ucciso. Lui ne usava quantità esagerate e quella volta ha avuto una quantità minima di cocaina rispetto a quello a cui era abituato. E l’ha avuta cinque giorni prima della morte. Qualsiasi drogato la usa subito”.

Sul patteggiamento precisa: “Quando ho visto che il pm non mi credeva ho chiesto al mio avvocato di patteggiare”.

Ribadisce: “L’ho detto sedici anni fa (agli inquirenti, ndr), l’ho detto alle Iene e lo dico anche oggi: io sono convinto che Pantani è stato ucciso”.

“L’elemento base, che dirò sempre, è la mancanza dei 20 mila euro che Pantani aveva prelevato. Se ero a conoscenza del fatto che Pantani fosse in possesso di 20 mila euro in contanti presso il residence Le Rose? Sì, e non sono mai stati trovati. I soldi Marco me li doveva portare. Io non ero a Rimini, e i soldi non li ho avuti. Io l’ho sempre detto al pm, ‘Cercate i soldi’. Non sono stato mai creduto. Hanno sempre detto, ‘I soldi li hai presi te’”.

“Ero l’unico fornitore di droga a Pantani? Credo di sì, almeno per i cinque-sei mesi che l’ho frequentato. Altri fornitori sulla piazza di Rimini? Ce ne erano tanti. Marco prima di rifornirsi da me andava da altre persone, quindi non so se ha chiamato qualcuno perché io non c’ero”.

 

MARCO QUELLA SERA ERA LUCIDO

Prosegue la verbalizzazione di Miradossa. “In base alla mia esperienza e da quello che ho visto, Marco non ha consumato droga in quella camera del residence dove è morto. Io non ho visto tracce, ho visto quelle che hanno messo. Cosa mi porta a dire che le hanno messe? Perché Marco non sniffava. Se aveva ricevuto la cocaina alle sei di sera, alle dieci era già finita. A quali ambienti potevano far riferimento le persone che hanno alterato la scena dove è morto Pantani? Penso ad ambienti della droga, se Marco ha chiamato qualche altro spacciatore”.

Sulla scena del crimine e le sniffate, precisa. “Marco non sniffava cocaina, era una cosa che gli faceva schifo. Lui la fumava solo e in quella stanza c’era traccia di cocainomani che sniffavano. Chi ha creato quella situazione non era ben informato sulle abitudini di Pantani”.

L’Hotel Le Rose come è adesso

E ribadisce: “Marco non è morto per cocaina, è stato ucciso. Magari chi l’ha ucciso non voleva farlo, ma è stato ucciso. Non so perché all’epoca giudici, polizia e carabinieri non siano andati a fondo. Hanno detto che Marco era in delirio per gli stupefacenti, ma io sono convinto che Marco quando è stato ucciso era lucido. Marco è stato al Touring, ha consumato lì e quindi è ritornato allo chalet (Le Rose, ndr). Marco era lucido”.

I pusher fino ad oggi venuti alla ribalta sono tre: oltre a Miradossa, Ciro Veneruso, il quale – secondo le ricostruzioni ufficiali – avrebbe portato a Marco l’ultima dose ed ha anche lui patteggiato; e Fabio Carlino, che divideva con Miradossa un appartamento vicino al residence Le Rose dove Marco ha trascorso gli ultimi giorni.

Ma vediamo più in dettaglio le due inchieste flop sulla morte di Marco e sul Giro taroccato del 1999.

 

LE CENTO ANOMALIE

Partiamo da quella scena del crimine. Che presenta una marea di anomalie, un centinaio almeno, secondo la minuziosa memoria redatta dall’avvocato Antonio De Rensis, il legale della famiglia Pantani.

Una stanza sottosopra, distrutti letto, armadi, sedie, tavolino, evidenti segni di colluttazione. Colluttazione evidente anche sul viso e sul corpo di Marco, che presenta numerose abrasioni, ferite, contusioni e segni di palese trascinamento. Poi una pallina di coca, fondamentale per capire la dinamica dell’omicidio: altre gliene vennero fatte ingerire, per fargli scoppiare il cuore. Un giubbotto fantasma all’attaccapanni, mai appartenuto a Marco. L’involucro di un cornetto Algida, gelato che mai il campione aveva consumato: diranno gli inquirenti, forse lo ha mangiato per distrarsi (sic) un agente durante il sopralluogo.

L’avvocato Antonio De Rensis

Una scena del crimine, di tutta evidenza, palesemente alterata.

Quindi la misteriosa – ma non poi tanto – telefonata di Marco alla reception per segnalare che alcune persone lo stavano disturbando. Il clamoroso ritardo nella successiva telefonata dalla reception ai carabinieri. Un ulteriore clamoroso ritardo nell’arrivo delle forze dell’ordine al residence.

La facilità di accesso allo stesso residence per una entrata secondaria, sgusciando all’interno senza essere notati. Le ore precedenti al crimine, ancora avvolte nel mistero, con un paio di testimoni oculari che avrebbero visto il campione in un bar delle vicinanze.

Ma cosa fa la procura di Forlì, nonostante la mole di prove? Chiede l’archiviazione del caso, perché non vi sarebbero elementi sufficienti per provare che non si tratti di suicidio.

E la Cassazione, tre anni e mezzo fa, archivia. Ai confini della realtà.

 

QUEL GIRO COMPRATO DALLA CAMORRA

Passiamo all’inchiesta sul Giro ’99. Che prende il via in modo rocambolesco grazie a Renato Vallanzasca, all’epoca in galera: tra i compagni di prigione anche un camorrista. Entrano in confidenza, i due, ed il camorrista gli suggerisce di puntare sulla sconfitta di Pantani al Giro, perché “così hanno deciso i clan”.

Sarà Vallanzasca, dopo anni, a scrivere alla mamma di Pantani, Tonina, rivelando la circostanza. Tonina riferisce il fatto e consegna la lettera ai pm di Rimini che fanno partire le indagini. Le quali ottengono subito un esisto clamoroso: individuato e rintracciato il camorrista, che conferma i fatti, saputi da uomini dei clan. E la ri-conferma arriva da altri camorristi detenuti nelle carceri campane, i quali all’unisono riferiscono di quegli accordi scellerati, dovuti ad una montagna di scommesse clandestine: tutte puntate sul fatto che mai e poi mai Pantani sarebbe arrivato al traguardo.

E così fu. Ma come venne raggiunto quell’obiettivo? Taroccando le provette con il campione di sangue di Pantani, ossia ‘convincendo’ in modo non proprio british i medici dell’equipe ad alterare quel contenuto e quindi facendo risultare l’ematocrito del campione al di sopra dei valori consentiti.

Tonina, la madre di Marco Pantani

All’esito di quelle analisi, infatti, il capo equipe Wim Jeremiasse sbottò: “Oggi il ciclismo è morto”. E dopo tre mesi muore anche il super esperto Jeremiasse, che aveva guidato altri team medici per Tour, Vuelte e Giri: finisce con la sua vettura – lui, guidatore provetto – dentro un lago ghiacciato austriaco. Così ‘perde la vita’ il teste chiave!

Una vera montagna di prove, ottima e abbondante per istruire un vero processo e scoprire gli uomini che per la prima volta hanno condannato a morte il nostro campione di ciclismo, il quale da quella sconfitta inventata comincerà a drogarsi (anche se al Giro non aveva assunto mai alcuna sostanza dopante).

E cosa fanno, per la secondo volta, le toghe riminesi? Chiedono l’archiviazione, pur avendo in mano tutti quegli elementi, che anche stavolta non sono – a loro giudizio – sufficienti per istruire un processo.

Ai confini della realtà.

Solo un estremo intervento dell’avvocato De Rensis riesce a tenere ancora in vita l’inchiesta. Succede due anni e mezzo fa, quando il legale chiede alla procura di Napoli di riaprire il caso, proprio per il fatto che nel giallo è coinvolta la camorra e che molti uomini dei clan sono già stati sentiti dalla Direzione Distrettuale Antimafia.

Il fascicolo, così, passa alla DDA e smistato al pm Antonella Serio. La quale, in una breve intervista alla Voce, afferma che il caso è in prima fila sulla sua scrivania e che effettuerà tutti i riscontri necessari.

Ma durante tutto questo periodo il silenzio è completo. Tombale. Nessuna notizia dall’Antimafia partenopea.

Servirà a svegliare tutti dal letargo la fresca – anche se non nuova – rivelazione di Miradossa non al suo tabaccaio, ma davanti ai membri della Commissione Antimafia?


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