Un danno alle casse della Regione Campania da 423 milioni di euro. Cascate d’acqua dorata per ben 10 anni, senza che nessuno se ne accorgesse e alzasse un solo dito. Ai confini della realtà.
Succede nei rapporti tra la Regione guidata prima dal Governatore PD Antonio Bassolino, in sella dal 2005 al 2010 e poi dal neo ri-candidato per il centrodestra Stefano Caldoro, al timone dal 2010 al 2015; e dall’altra parte GORI, l’ente la sigla messa in piedi da 76 comuni vesuviani e sarnesi (quindi una piccola parte di quelli regionali) e dal colosso romano Acea, controllato dal gruppo mattonaro dei Caltagirone.
Ma vediamo la story, che ora viene alla luce per la lunga inchiesta della Corte dei Conti che si è valsa di un meticoloso lavoro svolto dal nucleo ‘tutela pubblica’ della Guardia di finanza.
Si tratta di “un singolare esborso di denaro pubblico” del valore di 50 milioni di euro l’anno per garantire “acqua e depurazione” a 1 milione e mezzo di campani, distribuiti in 76 comuni vesuviani e sarnesi (vale a dire la cinta intorno al Vesuvio e l’area che confina con il salernitano).
Il periodo incriminato copre un intero decennio, dal 2005 al 2015.
Quei soldi – fanno notare le Fiamme gialle – non dovevano essere versati da palazzo Santa Luciama dal gestore che si era aggiudicato il servizio nel 2001: GORI, sigla messa in piedi dai Comuni e da Acea, il colosso pubblico capitolino controllato dal gruppo mattonaro dei Caltagirone.
Si scrive acqua pubblica ma si legge sistema “al di fuori del quadro normativo” in Campania. Dove la Regione ci ha rimesso una valanga di soldi, al posto di un’azienda mista pubblico privata che “decideva anche cosa rimborsare a palazzo Santa Lucia”, secondo la dettagliata ricostruzione effettuata dai finanzieri del nucleo tutela spesa pubblica.
Centinaia di pagine che sono finite sul tavolo del vice procuratore capo della Corte dei Conti partenopea, Ferruccio Capalbo.
Il “Sistema Gori” – secondo gli 007 delle Fiamme gialle – “ha costretto l’ente regionale a ricorrere all’utilizzo anche di fondi a destinazione libera oppure vincolata, con grave pregiudizio sugli altri servizi offerti alla cittadinanza”.
Per la serie, ti pago l’acqua – indebitamente – a peso d’oro e poi me ne fotto degli altri servizi da erogare ai cittadini, che pure pagano per quelle forniture mai effettuate. Da gestioni del quinto mondo.
“L’acqua è uno dei servizi di pubblica utilità da garantire assolutamente”. Ma in base alle norme nazionali dovevano essere i gestori del Gori ad accollarsi l’intero ciclo, dalle fonti all’approvvigionamento fino alla depurazione, sostenendone i costi.
E’ successo invece il contrario. E cioè che “la Regione ha sopportato i costi che a fine 2015 ammontavano a 632 milioni 425 mila euro”. Il motivo? Gran parte degli impianti idrici non sono mai stati trasferiti da palazzo Santa Lucia a Gori. E di quei 632 milioni di euro Gori ha riconosciuto alla Regione solo una parte dei costi, versando – come dettagliano le Fiamme gialle – solamente “una piccola quota rispetto a quanto dovuto, sebbene riscuotesse dai cittadini la tariffa idrica”.
Risultato: per coprire tali spese la Regione ha dovuto accendere dei mutui pagando interessi per quasi 20 milioni di euro. E ancor di più: la Regione ha utilizzato “le risorse finanziarie di altri capitoli di bilancio, non ha potuto onorare i propri debiti relativi ad altri servizi come trasporti, scuola, sanità, subendo decreti ingiuntivi e pignoramenti che hanno costretto l’ente regionale a pagare 54 milioni a titolo di interessi, rivalutazioni e altre spese sui debiti maturati”.
Sorge spontanea la domanda: come mai la Regione non riusciva a disfarsi di quegli impianti? In una nota, agli atti dell’indagine, inviata cinque anni fa al questore e al prefetto dal dirigente di palazzo Santa Lucia Michele Palmieri, veniva scritto: “Il passaggio del personale dalla Regione al gestore Gori è stato una delle cause che ha impedito il trasferimento delle opere. La Regione si è avvalsa di diverse ditte appaltatrici per la conduzione delle centrali idriche che hanno utilizzato il loro personale, progressivamente aumentato, fino ad arrivare ad un numero complessivo di circa 430 unità, cioè un numero superiore a quello occorrente per assicurare una corretta gestione”.
Un volume di assunzioni del tutto gonfiato, che ha mandato in tilt un intero sistema. Basti pensare che il piano per la gestione idrica dell’area vesuviana-sarnese prevedeva a regime un organico di 692 unità; ma già nel 2006, senza il passaggio delle opere, Gori aveva 669 unità. E palazzo Santa Lucia “continuava ad assumere. Per cui, con il trasferimento del personale regionale, l’organismo di Gori è passato da 648 unità a 1.041 unità”.
Non è finita, perché per anni (per la precisione dal 2006 al 2013) Gori “ha deciso anche il parametro da applicare al volume di acqua erogato”: comprendeva i costi di approvvigionamento idrico e distribuzione, non di depurazione.
Venivano fuori “costi sottostimati – calcolano le Fiamme gialle – rispetto a quelli effettivamente pagati dalla Regione”. Al punto tale che nel 2013 palazzo Santa Lucia modifica il parametro, ricalcola il debito maturato da Gori e spuntano 282 milioni. Finiscono in una transazione firmata dalla giunta regionale guidata dal forzista Stefano Caldoro.
Una transazione che invece di rendere finalmente giustizia ai cittadini campani si rivelerà il frutto di una legge che la Corte dei Conti etichetta come “pro Gori”.
Il periodo incriminato, come detto, va dal 2005 al 2015, un intero decennio dove si sono alternati alla guida della Regione Bassolino (che era stato governatore anche per il quinquennio precedente 2000-2005) e Caldoro. Lo ‘sceriffo’ Vincenzo De Luca è stato eletto nel 2015 e verrà ricandidato dal Pd per le prossime regionali di primavera.
Come mai De Luca non si è accorto di niente?
E come mai, in tutti questi anni, la magistratura si sveglia solo adesso?
RICEVIAMO DA GORI E PUBBLICHIAMO LA SEGUENTE
NOTA STAMPA
Con riferimento agli articoli pubblicati sugli organi di stampa, GORI precisa, in primo luogo, che i titoli e i contenuti degli stessi contengono ricostruzioni che sembrerebbero effettuate sulla base di atti di indagine non in possesso della Società, per cui – allo stato – non è possibile verificarne l’attendibilità.
In ogni caso, si evidenzia che la GORI non è coinvolta nel procedimento della Corte dei Conti cui si fa riferimento negli articoli né comunque potrebbe esserlo, atteso che non è soggetta alla giurisdizione della medesima Magistratura Contabile.
Tuttavia, si rende quantomeno opportuno effettuare alcune precisazioni.
GORI, l’Amministrazione regionale e gli altri enti pubblici interessati – ciascuno nei rispettivi ruoli e competenze – hanno avviato sinergicamente un percorso per la risoluzione delle molteplici e complesse problematiche ereditate dal passato e che riguardano anche gli altri territori regionali non gestiti dalla GORI, alcuni dei quali con maggiori criticità, e di cui non si fa alcun accenno negli articoli.
Pertanto, non appena createsi le condizioni utili in conformità alle regole del settore, è stato avviato con successo il trasferimento alla GORI – oramai quasi concluso – delle opere regionali (centrali idriche e impianti di depurazione) gestite dalla Regione ed a cui si fa riferimento negli articoli.
Sussistendo i presupposti, GORI – uno dei primi e più autorevoli operatori a livello nazionale nel settore dei servizi idrici – ha dato e sta continuando a dare, nel rispetto della legge, il suo contributo per migliorare la gestione dei servizi idrici, in particolare in tema di interventi per il collettamento alla depurazione dei reflui, ed assicurare i migliori livelli di servizio possibili, mettendo in campo le sue competenze e la capacità realizzative per fornire, nel più breve tempo possibile, le giuste risposte al territorio.
Ercolano, 28.12.2019
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