L’ennesima faccia (tosta) del genio poliedrico di Veltroni Walter si manifesta agli uomini.
Adesso nelle vesti di giallista, Simenon trottola nella tomba.
Dopo il politico finissimo (ha un occhio sempre volto al più alto Colle, quello del Quirinale), arriva il cineasta da festival. Quindi la parentesi sportiva, come firma di punta per le grandi interviste alla Gazzetta dello Sport: tanto per distarsi dalle routine politiche.
Poi i romanzi, adesso il thriller. Un percorso da Pulitzer. E caso mai nel frattempo chissà che non arrivi un messaggio dalla Scandinavia, un Nobel per il Genio totale, per l’intellettuale a tutto tondo e a tutto campo: ricordate un certo Pasolini?
Ma arriviamo al clou, il giallo fresco fresco come l’uovo di nonna Papera, edito da Marsilio.
Degno di Agatha Christie il titolo, che rammenta l’Oriente Express, “Assassinio a Villa Borghese”. E’ il primo passo per Fiumicino, direzione Stoccolma.
Nello stesso giorno, il 7 novembre, i due primi quotidiani italiani, Corsera e Repubblica, dedicano una paginata all’Evento dell’uscita in libreria.
Per le colonne di via Solferino si esibisce un giallista doc, Maurizio De Giovanni. Una penna immersa nel calamaio vesuviano dalla quale sgorgano Alte Riflessioni.
Dopo un chilometrico cappello, eccoci al sodo. “E’ un romanzo vero e incisivo, che racconta una storia e che non vuole, come una storia deve fare, enunciare messaggi: eppure ne esce un quadro di devastata modernità che tanto e forse troppo assomiglia all’aria che si respira camminando per la città”. Mitico.
“Il lettore potrà gestire i propri indizi e custodire la propria soluzione, ma saremmo curiosi di sapere in quanti riusciranno a trovare il bandolo fino alle ultime pagine, in una rapida corsa senza fiato verso un finale che si parerà subito dietro l’ultima curva, quando sarà ormai troppo tardi per rallentare”. Da un copione di Briatore?
Nascosto tra i cespugli, eppure un messaggio c’è. E lo troviamo proprio prima di imboccare il rettilineo finale. “Nella scrittura limpida, nella definizione dei ruoli e nella descrizione dell’ambientazione, l’enunciato di questo racconto è semplice e terribile: camminiamo per una strada nel bosco, e crediamo di conoscere quel bosco. Ma non abbiamo la minima idea di chi si nasconda negli anfratti, né di quello che cammina dentro i tombini: quelle belve non solo altro che una faccia di noi stessi”.
Ma Cappuccetto rosso lo ritroviamo prima o poi tra gli anfratti del bosco? O un telefono Brondi?
L’altra imperdibile recensione è griffata Michele Serra, che coglie l’anima filosofica e pura del giallo, una lotta metafisica dolce-amara sullo sfondo di una Roma decadente. Disvelando fino in fondo l’anima buonista dell’Autore, quell’I Care che riecheggiò all’epoca per il mondo, ricordi kennedian-obamiani di un passato da incorniciare.
Un’opera – rumina Serra – che “piano piano rimette in riga il Male e il Bene facendo – ovviamente – trionfare il secondo. E pazienza se la vittoria dei buoni rischia di confermare la fama di ‘buonista’ dell’autore”.
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