“Corteggiati” dalle forze politiche di ogni colore per il vasto consenso popolare, i sindaci di frontiera sono già diventati il simbolo della politica capace di voltare pagina.
L’incredibile successo di Donatella Tesei alle Regionali umbre sta facendo scaldare i motori alle forze politiche. Balzata in pochi mesi da sindaco di Montefalco, piccolo comune della provincia di Perugia, alla presidenza della Regione, Tesei incarna la figura di primo cittadino partito “dal basso” ed arrivato a sconfiggere le alchimie partitiche che, alla prova dell’urna, non reggono più.
Ma ben oltre l’effetto Tesei, già da tempo maggioranza e opposizione avevano intuito le straordinarie potenzialità sul consenso degli elettori dei volti nuovi provenienti dalla prima linea. A cominciare proprio dal manipolo dei “sindaci di frontiera” che si sono resi protagonisti di manifestazioni a carattere nazionale legate alla difesa del territorio.
Parliamo ad esempio di quei quasi 200 sindaci in trincea pronti a tutto pur di tutelare la salute pubblica dei cittadini contro le “onde pazze” in arrivo con le tecnologie del 5G. Dapprima sono partiti in 120, tanti quanti sono i piccoli comuni sorteggiati per la sperimentazione. Poi come un fiume in piena si è unita a loro la pattuglia delle altre fasce tricolori, non meno agguerrite, che sostengono la lotta per una valutazione preventiva degli effetti che le irradiazioni del 5G potranno avere sulle popolazioni “investite”.
«Non vogliamo essere considerati come i “topi bianchi” di questa sperimentazione», aveva tuonato a caldo Massimo Castelli, sindaco di Cerignale, in provincia di Piacenza e coordinatore nazionale Piccoli Comuni Anci, che riunisce 5000 campanili italiani. «Pretendiamo di capire – incalza – non solo perché le informazioni sono completamente mancate nei nostri confronti, ma anche quanto davvero questa tecnologia può essere invasiva nelle nostre vite». «Se anche rimanessi sola in questa battaglia non mollo, lo scopo di ogni sindaco è di essere utile, utile nel fare il bene comune», gli fa eco Franca Biglio, sindaco di Marsaglia in provincia di Cuneo.
A Sud la battaglia è guidata da sindaci preparati come Damiano De Rosa, penalista specializzato in Diritto ambientale e gestione del territorio, da maggio alla guida del suggestivo comune di Prata Sannita, nel cuore verde del Matese. Sulla scia delle battaglie vinte in tribunale oltre dieci anni a Napoli fa contro i mostri dell’elettrosmog, De Rosa è stato il primo sindaco del Casertano ad applicare il principio di precauzione sancito dall’Unione Europea nell’articolo 191 del Trattato, deliberando di vietare l’installazione, anche solo in via sperimentale, di apparecchiature del sistema 5G sul territorio comunale, in attesa della sperimentazione annunciata dalla International Agency for Research on cancer.
Ma non è solo la strenua difesa dei cittadini amministrati a creare oggi quella compagine dei cosiddetti “sindaci di frontiera” che rappresenta il volto nuovo della politica italiana, il modo autentico di voltare pagina rispetto alle logiche partitocratiche tuttora dure a morire, da nord a sud della penisola.
Un’altra prova di quanto questo tenace schieramento di fasce tricolori sia davvero il nuovo che avanza, la si è avuta qualche giorno fa a Roma durante l’evento “Sindaci d’Italia” organizzato da Poste Italiane. In prima fila proprio Damiano De Rosa a rappresentare le istanze del Comune e del territorio matesino, con la ferma intenzione di ottenere concreti miglioramenti dei servizi. Solo uno dei tanti passi compiuti da quando l’indipendente De Rosa, sbaragliando le vetuste logiche partitiche, è stato eletto a furor di popolo sindaco di Prata. Un personaggio amatissimo oggi, De Rosa, dai cittadini pratesi, grazie anche alla politica di condivisione delle scelte di governo realmente praticata, e non solo proclamata come avveniva in passato. Gli stessi fattori che pochi mesi fa hanno determinato la sua elezione anche ai vertici della Comunità Montana del Matese.
De Rosa, Castelli, Biglio, il sindaco di San Potito Sannitico Franco Imperadore, il non meno combattivo sindaco di Piedimonte Matese Luigi Di Lorenzo e, come loro, numerosi primi cittadini italiani fieri della propria indipendenza, artefici di dure battaglie contro i potentati feudali per decenni arroccati sui territori. Saranno questi i protagonisti della nuova politica, capace di restituire fiducia ad un’Italia sempre più in crisi? Di sicuro, è su di loro che si appuntano sguardi ed “appetiti” delle maggiori forze politiche in campo: tanto a livello nazionale, quanto in vista delle imminenti tornate amministrative, complice anche il marasma confusionale con cui sono alle prese le forze di maggioranza alla guida del Paese.
In Campania, dove si vota nella primavera del 2020 per il rinnovo della Giunta Regionale, le alleanze partono tutte in salita, con un tandem sempre più incerto fra PD e pentastellati, un governatore uscente Vincenzo De Luca posizionato “al di sopra degli schieramenti” (nonostante l’originaria appartenenza ai Dem), ed un centrodestra che resta ovunque in forte ascesa, ma ancora privo sul territorio di personalità realmente carismatiche.
Logico quindi che l’interesse dei partiti, abbandonato ormai il recinto delle lottizzazioni spartitorie sonoramente bocciate dagli elettori, si volga verso personalità, come De Rosa, capaci di magnetizzare il consenso popolare attraverso le promesse puntualmente mantenute e tradotte in fatti concreti, dopo battaglie vinte da primus inter pares al fianco dei concittadini.
Sconfitta definitivamente la logica delle contrapposizioni fra Stato e popolo, nelle enclave territoriali di questi sindaci vince una regola nuova della politica italiana: quella della condivisione vera, di una politica che si fa servizio, ascolto, capacità effettiva di trovare e di dare risposte. L’unica che sa premiare con il consenso nelle urne.
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