Ogni giorno nel mondo centinaia di persone si pongono in ascolto di quel figlio, di quel fratello, di quella madre che per tutti, scienza, legge, medicina, sono stati ineluttabilmente inghiottiti dal buco nero della morte, senza ritorno.
Travolti nell’oceano della disperazione, relegati in un buio infinito, ci sono genitori che lentamente hanno cominciato a intravedere uno spiraglio di luce. Poi hanno visto, hanno ascoltato, hanno provato. E “loro” hanno risposto.
Questo miracolo si chiama metafonia, ma di miracolistico ha in realtà poco, perché fior di ricercatori in ogni angolo del pianeta studiano da tempo le modalità attraverso cui onde elettromagnetiche, anche sonore, travalicano regolarmente le barriere di spazio e tempo per arrivare fino a noi.
TUTTI VIVI, il libro di Angela De Francesco appena uscito da Minerva Editrice, è la più fedele, rigorosa ed impressionante testimonianza di come tutto questo stia già accadendo da anni. E continua ad avvenire, fino a diventare un dialogo quotidiano con i nostri cari che quaggiù da noi non ci sono più.
Classe 1947, laurea in filosofia, insegnante in pensione, De Francesco è alla sua prima esperienza di scrittrice. Dopo aver perso improvvisamente, otto anni fa, la giovane e bella figlia Maria Elena, ha intrapreso un arduo cammino per cercare tracce di lei attraverso le onde radio. E da Maria Elena ha ottenuto risposte, frasi di senso compiuto che chiunque oggi può riascoltare, anche sul web, in primis sulle pagine del gruppo Metafonia: il colloquio con i nostri cari continua, riunito intorno ad Angela e costituito da centinaia di persone.
Divenuta una delle più note metafoniste d’Italia, Angela De Francesco da allora si è infatti chinata accanto al dolore di madri e padri alla ricerca dei figli, eseguendo per loro sedute metafoniche e restituendo fiducia a quelle tante famiglie: i loro figli “ci sono” e si fanno sentire.
TUTTI VIVI è il racconto di 25, lunghi contatti metaforici con altrettanti ragazzi. In primis Maria Elena. E poi Fabrizio, Simona, Dario, Silvia… e tutti gli altri, che tornano regolarmente “al Ponte” metafonico facendosi ascoltare. Una tecnica realizzata registrando onde radio provenienti da stazioni estere, per poi esportare i file su un programma denominato Audacity, attraverso il quale, sgombrato il campo da fruscii, molto spesso arrivano le loro voci, fino a formare dialoghi di senso compiuto, fino ad esprimere concetti che solo a loro potevano essere noti.
Lontanissima da ogni forma di spiritismo e di medianità, la metafonia è piuttosto la ricerca di elementi obiettivi, che possano essere verificati da tutti. E ora stanno lì a dirci che, come i ricercatori più avanzati già da tempo dimostrano, non si muore (e non si vive) una volta sola.
La prefazione di Rita Pennarola, giornalista d’inchiesta, autrice di numerosi libri anche di divulgazione scientifica, prova a gettare luce su questo impervio confine della scienza. In chiusura del libro il lettore trova poi un lungo brano di Frederik Van der Veken, ricercatore del Cern di Ginevra, che con linguaggio comprensibile anche ai non addetti ai lavori ci offre la dimensione del relativismo assoluto del mondo e della vita, così come a noi sembra di conoscerli.
Su tutto, l’emozionante scrittura della De Francesco, che riesce a far rivivere venticinque esistenze in tutta la loro bellezza. Strappate troppo presto alla vita, sì, ma capaci di darci il segno che, forse, non è ancora finita.
La sensibilità di Roberto Mugavero, editore di Minerva, e della direttrice di Collana, Piera Vitali, hanno permesso poi che questo libro potesse vedere la luce in tempi record.
Qui vi proponiamo, in esclusiva per la Voce, un ampio brano dal libro e la prefazione.
DAL CAPITOLO DEDICATO A DARIO, 13 ANNI PER SEMPRE
(…) Gli anni scolastici volarono, mentre ognuno di loro mostrava un carattere diverso e si cominciavano a delineare le personalità. Dario, ormai raggiunta la parità fisica con i fratelli, si distingueva tuttavia per il suo carattere mite, generoso, estremamente sensibile. Non gli restituivano i colori che aveva prestato? Non importava, se li sarebbe fatti ricomperare da mamma, la quale lo rimproverava di non tenere bene l’attrezzatura scolastica, fin quando non si accorse da sola di come stavano le cose, perché lui mai e poi mai avrebbe incolpato i suoi compagni. Era in prima elementare quando, proprio come un “signorino”, manifestava tutta la sua galanteria portando lo zainetto della bambina che gli aveva fatto battere il cuore: la trattava delicatamente, come un fiore prezioso ai suoi occhi, la proteggeva dalla pioggia calandole sul capo il cappuccio del giubbotto. E la bambina? Non era indifferente alla galanteria del suo compagnetto di scuola, anche lei confidava alla sua mamma che Dario era diverso da tutti gli altri bambini, e lei subiva il fascino di questo corteggiatore in erba, mentre lui fantasticava sul loro futuro: da grande l’avrebbe accompagnata al cinema e poi a mangiare una pizza, pagando tutto lui naturalmente! Un omaggio non di poco conto quello di offrire alla sua ragazza un cinema e una pizza…
Ma non ci fu né cinema né pizza nel futuro di Dario. Non ci fu proprio futuro per lui: la sua giovane età, 13 anni, fu per sempre. E tutti i sogni, le speranze, i progetti, si frantumarono in quell’ora in cui il suo giovane cuore, dopo aver accelerato i suoi battiti per qualche minuto, si fermò. A nulla valsero i tentativi di rianimazione durati un’ora, durante la quale non cambiò nulla, ma lui non capiva perché tutti avessero quella faccia scura, triste. Anzi, lui si sentiva meglio, si sentiva benissimo: il cuore aveva ripreso il suo battito regolare, tant’è che non se lo sentiva per niente, era rilassato come non mai; una grande pace dentro, il petto gonfio d’amore verso la sua famiglia, anzi sentiva di amare tutto il mondo.
Avrebbe voluto raccontare questa esperienza alla sua “bella mamma piccola”, come la chiamavano ormai i ragazzi diventati più alti di lei, ma non gli sembrava il momento adatto: la mamma veramente quella mattina non è che fosse tanto bella! Tutta spettinata, lui era l’unico in casa ad accorgersi quando la mamma era stata dal parrucchiere e quindi gli sembrò strano vederla così arruffata, ma era anche agitata, con un viso tirato che lui non le aveva mai visto. E che cosa ci facevano tutte quelle persone intorno al suo letto? Non li conosceva, di loro vedeva solo il capo rivolto in basso come se lui stesse in alto… ma stava in alto! E sul suo letto c’era ancora lui!
Non capiva come potesse stare in due posti contemporaneamente, ma stranamente non aveva paura perché intanto era apparsa in lontananza una luce radiosa, calda, molto intensa ma non abbagliante. Sembrava attirarlo e lui capì che voleva andare e farsi avvolgere da quella luce immensa d’amore. Dette un ultimo sguardo alla sua famiglia, prima li salutò uno ad uno: suo fratello Cristiano, le sorelle Ilaria e Beatrice, la mamma e il papà; poi li avvolse tutti in un abbraccio e si avviò verso la luce, ma sapeva che sarebbe tornato, molto presto: quello non era un addio, era un arrivederci.
Dario aveva cominciato a capire che quel posto era simile a quello dove aveva vissuto fino ad allora, ma molto, molto meglio: lì il cuore se lo sentiva gonfio d’amore, e poteva fare tante cose che mai avrebbe immaginato di poter fare. Poi c’era una maestrina molto gentile che gli spiegava le cose e mentre lui vedeva la sua famiglia, ogni volta che voleva, i suoi invece non lo potevano vedere. Dario ora si sentiva diverso, gli sembrava di essere più grande e più maturo: provava tanta compassione per i suoi cari che vedeva così sofferenti per la sua partenza; in particolare per la mamma e il papà che lui non aveva mai visto piangere e invece adesso, quando non c’erano i suoi fratelli, si lasciavano andare ad un pianto disperato, univano le loro lacrime, mentre quando c’erano tutti cercavano di nasconderle e tentavano di dare coraggio ai suoi fratelli. Però lui, che li vedeva sempre, capiva che avevano come una maschera sul viso, che le loro forzate parole erano intrise di lacrime.
Cosa poteva fare per loro? Si chiedeva. Erano così vicini, ma anche così lontani! Finché la maestrina gli svelò che c’era qualcosa che poteva fare e gli spiegò che, volendo, poteva imparare a parlare ai suoi famigliari, lei stessa glielo avrebbe insegnato, ma non era una cosa proprio semplicissima, sebbene, chi prima e chi dopo, tutti avevano imparato. Dario era tutt’orecchi, era una cosa che aveva a che fare con il rumore, con le onde sonore… Stava attentissimo perché voleva a tutti i costi farsi sentire dai suoi; si cominciava con qualche parolina e poi piano piano si diventava più bravi, si potevano comporre anche intere frasi, ma per quelle ci voleva ancora del tempo. La maestrina lo aveva incoraggiato a provare intanto con una o due parole. E a lui servivano proprio due parole: mamma e papà. E fu così che un giorno, mentre mamma e papà stavano in macchina, Dario, forse con la complicità del rumore del motore, riuscì a produrre esattamente quelle due parole: Mamma… papà. (…)
Angela De Francesco
LA PREFAZIONE
Siamo nati e siamo morti centinaia di volte, dondolando sospesi nell’apparente divenire di uno spazio-tempo infinito, immobile ed eterno. Una dimensione impensabile, quella che la fisica ha esplorato negli ultimi anni, fornendo ai nostri minuscoli mezzi sensoriali le prove che spazio e tempo altro non sono se non “strumenti”, concessi in dotazione a noi umani nell’attimo sensoriale del nostro passaggio terreno. E’ qui, dentro le inconcepibili fessure spaziotemporali del modello fisico corrente, che vanno a poggiarsi le ipotesi sull’infinita esistenza dell’io. Così come quelle – coltivate più per istinto che su basi scientifiche dimostrate – sulle cicliche possibilità d’incarnazione, diventate estremo rifugio per una certa parte dell’umanità, piegata a sopravvivere dentro il cono d’ombra della perdita, di un lutto tanto devastante da risultare impronunciabile.
Ad indicare una strada scientifica di possibile sopravvivenza dell’io alla morte è stato più recentemente il ricercatore statunitense Robert Lanza, direttore dell’Advanced Cell Technology Company di Los Angeles, che nel 2017 ha raccolto i risultati del suo lavoro nel libro Biocentrism: How Life and Consciousness Are the Keys to Understanding the Nature of the Universe. Vita e coscienza, nella teoria del Biocentrismo elaborata da Lanza, sono il fondamento dell’universo, tanto che è la coscienza a creare l’universo materiale in cui viviamo, non il contrario. La struttura dell’universo, le sue leggi, le sue forze e le sue costanti, risultano ottimizzate per la vita. Di qui il bios inteso come centro di tutto: l’intelligenza esisteva prima alla materia. Quanto a spazio e tempo, essi sono meri strumenti funzionali alle nostre possibilità di comprensione del reale. «Portiamo lo spazio e il tempo in giro con noi – scrive Lanza – come le tartarughe con i propri gusci». Quando il guscio si stacca, con la morte fisica, noi esistiamo ancora. Certo, perché la morte della coscienza, per Lanza, semplicemente non esiste.
Per avvicinarci a simili concetti, lo scienziato ricorre ad una illuminante metafora: il decoder. Sappiamo che gli umani sono portati naturalmente ad identificarsi con il loro corpo, di conseguenza credono che si estinguerà anche la loro coscienza quando il corpo morirà. Se invece “l’involucro” riceve la coscienza, l’io, nello stesso modo in cui un decoder riceve i segnali satellitari, allora la coscienza resterà, anche dopo la morte fisica. Per Lanza, insomma, la coscienza esiste al di fuori dei vincoli di tempo e spazio. Essa è ovunque: nel corpo umano e fuori da esso. Oscilla ciclicamente, “dondola”, la coscienza di ciascuno, negli universi multipli, in cui migra dopo la morte fisica per trovare nuove forme di incarnazione. Non qui, non ora, ma altrove, in altri mondi gemelli del nostro. E’ il concetto della “coscienza quantistica” che, dopo Lanza, si fa strada anche in altre scuole di ricerca, andando a congiungersi con diverse sperimentazioni della fisica quantistica rivolte, molto spesso, nella stessa direzione.
Gli scettici? Qualcuno prima o poi dovrà spiegare loro, ad esempio, fenomeni come quello delle particelle infinitamente piccole che deviano dalla traiettoria, prefissata miliardi di volte, ma solo in presenza di un osservatore. Di universi multipli parla anche Giuliana Conforto, per anni docente di Istituzioni di Fisica Teorica all’Università dell’Aquila, fondatrice di una disciplina denominata Fisica organica. Per Giordano Bruno, ricorda Conforto, morire è come spogliarsi di un abito. Ma non è la fine, perché la fisica c’insegna che esistono tre tipi di materia ed altrettanti di anti-materia. E la stessa materia che crediamo di conoscere, costituita da atomi, è fatta al 99% di vuoti, non di pieni. Di energia, non di massa. I nostri occhi, “ciechi” alla reale natura della fisica, ci impediscono di vedere i corpi esposti ai raggi X o ultravioletti. Il pianeta terra, come dimostrano le immagini indicate da Conforto, se esaminato alla luce degli ultravioletti non ha forma sferica, bensì quella di un embrione. Un embrione umano. Lanza, Conforto, se volete, anche il bosone di Higgs… sono altrettante prove dei nostri immanenti limiti di percezione e di conoscenza, barriere fisiche, oltre che mentali, alla possibilità reale di comprendere ed interpretare la vita. E la morte.
Così torniamo al cono d’ombra. Sì, per una qualche maligna ragione, che non conosciamo e che forse non esiste, nel corso del tempo e delle generazioni milioni di esseri umani si ritrovano addosso un destino ben più atroce di quello comune a tutti: non la propria, ineluttabile fine, ma la condanna di dover sopravvivere alla morte di se stessi. E’ il castigo universale di restare ogni giorno in vita, respirare, mangiare, camminare, in una terra dove i figli, dove lei, lui, loro, da un istante all’altro non ci sono più. Angela, Alessandra, Daniela, Rosa, Manuela, Roberta, Nadia, Viviana, Orsola… centinaia, migliaia, milioni di madri, ectoplasmi in carne ed ossa, vagano da secoli quaggiù con lo strazio che stringerà la gola fino all’ultimo respiro. Quello che per loro sembra non arrivare mai. La prima è ancora lì, ai piedi della croce, la Madonna trafitta per l’eternità dall’agonia del figlio morente. Il destino di quella madre, simbolo stesso del Cristianesimo, segna il confine fra i comuni mortali e gli ultimi fra gli ultimi: le madri e i padri che hanno visto morire il proprio figlio.
Soffocati dentro questo ergastolo esistenziale, alcuni di questi genitori hanno compreso che dovevano – e forse potevano – continuare a cercare i propri figli. Darsi una speranza che dei loro ragazzi non fosse tutto finito, ma esistesse una presenza da qualche parte, in qualsiasi forma, diventava l’unico modo per sostenere il peso di terminare la propria esistenza. “Tutti Vivi”, il libro di Angela De Francesco, rappresenta il primo racconto in presa diretta di questo cammino: un sentiero impervio, dolente, eppure vero, per certi versi oggettivo. Strabiliante. Non solo di fatti consolatori, qui si tratta, bensì di esperienze concrete, realmente accadute, supportate da evidenze scientifiche tuttora in divenire, ma già sufficientemente solide per avviare ragionamenti, confronti, metodi. La metafonia, anche definita “fenomeno delle voci elettroniche”, è l’ascolto di frasi di senso compiuto provenienti da file audio registrati, generalmente al computer, da radio straniere. Migliaia di persone nel mondo ogni giorno si mettono in ascolto, alla ricerca dei loro figli, utilizzando il programma “Audacity”, che permette di aggiungere al file audio le giuste pause, fino a captare parole che spesso suonano come risposta a precise domande. I metafonisti di più lunga esperienza sono generalmente, come Angela De Francesco, madri partite alla ricerca di un segno oggettivo, un suono, parole, frasi coerenti, sufficienti per indicare che i loro figli, anche se in dimensioni e forme a noi sconosciute, esistono ancora, ci sono, che non è stata dispersa nell’abisso del nulla la loro adorabile essenza.
Che non si tratti solo di “pseudoscienza”, come molti preferiscono definire queste pratiche, lo dimostrano i file audio – molti dei quali pubblicati in diversi canali web, in uno con le esperienze di registrazione – nonché il lavoro di ricercatori che da qualche tempo accompagnano l’attività dei più noti metafonisti. Supportati dalle recenti aperture fornite proprio in questo campo dalla fisica quantistica, gruppi di studiosi si stanno cimentando in percorsi destinati a condurci – questo l’auspicio – alla spiegazione scientifica di fenomeni che, vissuti dal vivo, lasciano letteralmente senza fiato. Diverso e di altra natura il percorso di sensitivi, spiritisti e medium, che non rientra nelle esperienze di cui si occupa questo volume. Perché qui, nel libro di Angela De Francesco, a parlare sono loro. I ragazzi. Maria Elena, Simona, Jacopo, Thomas, Danilo, Gabriele, Vanessa… Tutti “figli di Luce”, li chiamiamo così, tutti convocati al Ponte, come dicono i metafonisti. E tutti arrivati, su quel Ponte, per parlarci di loro. E di noi.
Rita Pennarola
A breve sarà pubblicato su Youtube il booktrailer di “TUTTI VIVI”.
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