20 settembre, al tribunale Roma la parola finale sull’omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.
Per l’ennesima volta, l’ennesimo gip dovrà decidere in merito all’ennesima richiesta di archiviazione avanzata dal pm Elisabetta Ceniccola e controfirmata dall’ormai ex procuratore capo Giuseppe Pignatone.
Una vergogna di Stato che va avanti da ormai oltre un quarto di secolo, a colpi di depistaggi, inchieste taroccate, false indagini.
Uno dei buchi neri più tragici della nostra storia, nel menefreghismo generale. Nessuno è mai sceso in piazza per chiedere verità e giustizia, né tantomeno si sono mai mobilitate le forze politiche: tutti allineati, i partiti, per coprire quei depistaggi. Vergogna.
La madre di Ilaria, Luciana Riccardi, è morta un anno fa dopo aver per una vita chiesto di far luce, di individuare killer e mandanti, rimasti sempre a volto coperto. Chiese alla procura di Roma di alzare quel velo che copriva responsabilità anche istituzionali. Niente. Per tutta risposta Pignatone le disse: “Mi dica chi vuole che le interroghi”. E poi il procuratore capo della procura che è stata e resta delle nebbie, ha firmato, per ben due volte, le richieste di archiviazione, del tutto campate per aria.
Per il semplice motivo che, tre anni fa, la procura di Perugia ha alzato parzialmente il velo sulla tragica farsa. Scagionando del tutto il povero somalo che aveva già scontato – da innocente – 16 anni di galera. E mettendo nero su bianco, nella sentenza, quel “depistaggio di Stato”, così definito dalle toghe perugine.
Un depistaggio che si è sostanziato nei comportamenti degli inquirenti: il teste eccellente Gelle, infatti, non ha mai verbalizzato in aula quelle farneticanti accuse, è stato protetto (sic) dalla polizia per alcuni mesi a Roma (dove Gelle ha lavorato), poi lo stesso Gelle è potuto comodamene fuggire prima in Germania e poi a Londra.
Dove lo ha scoperto l’inviata di “Chi l’ha visto” Chiara Cazzaniga: e quella testimonianza è servita a far aprire il processo di Perugia, dal quale ovviamente il giovane somalo è stato scagionato da ogni accusa.
A questo punto è un gioco da ragazzi, per la procura di Roma, proseguire in quella dettagliata pista tracciata a Perugia. E invece? Niente. La procura di Roma se ne frega, raccoglie come carta straccia quella sentenza, la appallottola e la butta nel cestino. Quell’inchiesta deve morire, il vero processo per assicurare alle patrie galere killer e mandanti (anche istituzionali) del duplice delitto non deve mai cominciare.
Ed è così che Ceniccola per due volte firma la richiesta d’archiviazione.
Adesso la parola spetta all’ultimo gip. Avrà il coraggio di valutare finalmente la sentenza perugina e istruire il processo? O saranno ancora una volta verità negate, calpestate e sepolte?
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