Quarant’anni fa il trionfo a Città del Messico di Pietro Mennea, il suo record sui 200 metri scolpito nella storia.
Non solo un grande atleta, ma soprattutto un grande uomo che, appese le scarpette da ginnastica al chiodo, decise di studiare legge, fare l’avvocato e cimentarsi in forti denunce. Soprattutto per scardinare quei patologici “equilibri” nei palazzi del potere sportivo, e non solo.
Da qui i suoi mitici libri, soprattutto sul doping nel mondo dell’atletica e sui colossali sperperi per l’organizzazione degli eventi olimpici. Fu attaccato da molti che si domandavano: perché mai uno che vinto le Olimpiadi come lui le attacca così ferocemente?
Era esattamente il contrario. Lui, Pietro, più di ogni altro difendeva quello spirito olimpico, che però man mano è venuto meno, inquinandosi nel profondo. Non solo via doping, appunto, ma anche attraverso i fiumi di danari pubblici gestiti e sperperati a favore di amici, consulenti, faccendieri e via di questo passo sul fronte dell’organizzazione di ogni Olimpiade, immancabilmente.
Ferdinando Imposimato – che era suo grande amico – lo intervistò per la Voce. E Pietro raccontò in dettaglio tutta la mole dei dati e dei documenti dei quali era entrato in possesso. Un vero lavoro investigativo, in nome di uno sport non mortificato e calpestato da affari, combine e mafie di vario tipo.
I campioni veri si riconoscono soprattutto fuori dai campi sportivi.
Nella foto la vittoria di Mennea a Città del Messico
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