La sinistra basculante

Pretesti, bastoni fra le ruote, stratagemmi machiavellici, marchingegni di sottile furbizia, trappole innescate per far scattare la tagliola a tempo, esche infilate in ami plurimi: si  prova di tutto per galleggiare nel mare turbolento della crisi aperta da Salvini. Una macchinazione, specialmente insidiosa, l’ha gettata la Lega nel mare del caos politico del Paese: “Non scherziamo, la crisi va risolta in tempi strettissimi, che i senatori alzino il culo” (dalle sdraio in riva al mare, dove il vicepremier del Carroccio ha condotto la fase terminale della campagna elettorale full time con il pargolo in sella alla moto d’acqua della polizia?)
Forse basito per ripetuti segnali di antagonismo di piazza (fischi, urla e pernacchi) in luoghi del Sud che lo ripudiano, l’aspirante dittatore valpadano  ritiene di poter  dettare i tempi della crisi, dicontrarli, per evitare l’inevitabile default finanziario generato dal buco nero del bilancio, di cui sarebbe  l’unico responsabile.
L’acciaccatissimo  5Stelle, debilitato per un terrificante ciclo di “mazzate” subite dal truce, finto, ambiguo, prevaricatore, pseudo alleato di governo, si rivolge alla prestidigitazione di Silvan, che, “sim sala bim”, estrae dal cappello a cilindro l’antidoto per sfuggire alla violenza prolungata che lo ha ridotto a deludente partitino. “Egregio vice premier, andiamo pure alle urne, ma non  prima di aver approvato il taglio dei parlamentari, sancito dal programma di governo”. Salta sulla sedia Salvini, intuisce in che guaio lo sta ficcando Di Maio, annaspa e prova a tuonare, perché si vada alle urne in gran fretta. Sa che dovesse accondiscendere alla richiesta grillina, la spada di Damocle della spinosa manovra finanziaria calerebbe inesorabilmente sulla sua testa.
L’escamotage pentastellato coinvolge direttamente e di traverso il Pd, sotto la spinta del mai desaparecido Renzi. Il Matteo della Leopolda, si è defilato dopo il tonfo del referendum costituzionale, ma solo in attesa di tornare in campo. La rentrée è favorita dall’impasse del Pd a guida Zingaretti, titubante e indefinito portabandiera del centrosinistra a dosi oscillanti tra sinistrismo e moderazione. In deficit di progetti di chiara fattibilità, il partito naviga basculando tra l’onnicomprensività calendiana, il secessionismo di frammenti post comunisti e l’equidistanza pilatesca della segreteria. Ne saltano fuori input per la tendenza a dipanare il garbuglio di un’alleanza con i 5Sstelle aborrita dall’anima intransigente del partito, che non ha mai mandato giù l’ostilità verbale di Di Maio e compagni, gli insulti, le dichiarazioni di guerra.  Intanto, la quota possibilista del Nazareno prova a scrutare con il cannocchiale del presuntuoso ottimismo della ragione uno spiraglio, da allargare quanto basterebbe per il sorpasso sulla Lega.
Ma di che parliamo? L’idea prospettica di Di Maio e associati è di ridurre a 400 il numero dei deputati (attualmente 630), che si fregiano arbitrariamente del titolo di ”onorevoli”, abolito da una legge  fascista e,  sconosciuto in ogni altra landa della Terra e a 200 (ora sono 315) i senatori. Peccato, lo racconta lo stato dell’arte di altri Paesi, che la proposta  sia di basso profilo.
Germania, 85 milioni di abitanti, 598 deputati (uno ogni 142 mila), e 69 senatori (uno ogni 1.230.000 tedeschi). Russia, 150 milioni di abitanti, 400 deputati (uno ogni 375 mila abitanti) e solo 178 consiglieri federali. Giappone, 130 milioni di abitanti e 500 deputati, 242 senatori (uno ogni 540mila abitanti). Brasile, 160 milioni di abitanti, 503 deputati, 81 senatori ( uno ogni 1.975.000 abitanti). La Cina, 1 miliardo e 400milioni di abitanti (25 volte l’Italia), ha 2.800 rappresentanti del popolo nell’Assemblea Nazionale (uno ogni 63 milioni di abitanti). USA, 350 milioni di abitanti, 440 deputati  (uno ogni 680mila abitanti ) e appena 100 senatori. In  due parole: non esiste Paese al mondo con  un Parlamento sovraffollato come l’Italia.
Ma, a prescindere: è su questo scivoloso terreno che il Pd fonda l’illusione di ricompattarsi, di cementare l’eterogeno mondo delle sinistre e consimili, di contrastare lo tsunami politico del suprematismo salviniano? È così che la zingarettopoli conta di riprendersi la  militanza attiva della classe operaia, il mondo giustamente esigente dell’Italia democratica, della giustizia sociale, dell’onestà, del bene comune,  dell’antifascismo, della legalità? Pura utopia. Il potenziale della rivoluzione ha fondamenta e sovrastrutture distanti anni luce dai pannicelli caldi con cui quel che resta della sinistra si illude di costruire il suo futuro di competitore  vincente  del salvinismo.

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