E’ stata fissata per il 20 settembre l’udienza clou nell’eterna inchiesta per l’omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovantin avvenuto a Mogadiscio 25 anni.
Il gip del tribunale di Roma, infatti, si dovrà pronunciare sulla ennesima richiesta di archiviazione avanzata dal pm della procura capitolina, Elisabetta Ceniccola e controfirmata dall’ex procuratore capo Giuseppe Pignatone.
MANIFESTAZIONI O INCHIESTE?
Pronti alla mobilitazione tutti gli organismi sindacali e di categoria dei giornalisti. Per il 19 settembre alla Fondazione Paolo Murialdi si svolgerà una conferenza stampa finalizzata alla raccolta fondi per la creazione di un archivio che raccolga tutti gli scritti e i documenti di Ilaria.
Per il 20, invece, Fnsi, Usigrai, Articolo 21, Libera Informazione e il comitato di redazione del Tg3 effettueranno un presidio davanti alla procura di Roma proprio in attesa della decisione del gip, che sancirà l’ esito definitivo di un’inchiesta infinita e fino ad oggi popolata di clamorosi depistaggi.
Sarà l’occasione – sottolineano gli organismi sindacali – per ribadire “Noi Non Archiviamo Ilaria Alpi e Miran Hrovatin”.
Sorge spontanea la domanda. Come mai aspettare l’ultimo giorno per un presidio a questo punto unicamente simbolico? Non sarebbe invece il caso di mobilitare tutti i giornalisti per far in modo che in questo mese e mezzo su tutti gli organi d’informazione compaiano articoli e inchieste sul tragico caso di Ilaria e Miran, sulla giustizia negata per un quarto di secolo, sul vergognoso depistaggio?
Per far sì che tutti gli italiani vengano a conoscenze delle vergogne della giustizia di casa nostra?
Basta con parate, paratine e manifestazioncelle. Diamo le notizie, rendiamo consapevoli su fatti & misteri per molti ancora ignoti e avvolti nei pesanti veli (e veline) di Stato.
Facciamo l’esempio più lampante. Due anni fa il tribunale di Perugia ha pronunciato una sentenza storica, di cui la Voce ha scritto più volte (potete trovarne traccia nel nostro archivio cliccando sui nomi di riferimento Ilaria Alpi e Miran Hrovatin).
L’INCHIESTA DI PERUGIA, FINO A OGGI CALPESTATA
Cosa è successo? Perugia ha riaperto il caso con riferimento alla posizione del somalo accusato del duplice omicidio a Mogadiscio e che aveva già trascorso 16 anni di galera. Il caso viene riaperto grazie ad una intervista esplosiva effettuata dalla giornalista di “Chi l’ha visto” Chiara Cazzaniga, che è stata capace, dopo svariate ricerche, di rintracciare a Londra il super testimone “Gelle”. Il quale ha totalmente ribaltato, nell’intervista, quanto dichiarato al primo pm che lo ha interrogato, Franco Ionta, sulla colpevolezza del somalo.
Quel somalo non c’entra niente – ha detto Gelle a Chiara Cazzaniga – è stato tutto inventato, tutta una messa in scena. Ed è ricostruito per filo e per segno come inquirenti e polizia lo abbiamo letteralmente addestrato per la sua deposizione (come è successo con il pentito taroccato Vincenzo Scarantino nell’inchiesta Borsellino).
Per poi farlo “sparire”, Gelle, affinchè non dovesse affrontare il normale dibattimento processuale. Lo hanno fatto lavorare in un’officina meccanica a Roma per un paio di mesi, accompagnando perfino al lavoro e andandolo a riprendere (un perfetto “servizio”), fino a farlo tranquillamente fuggire prima in Germania e poi in Inghilterra, dove è rimasto in quel di Londra felice e beato.
Fino a che, senza poi grosse difficoltà, lo ha trovato l’inviata di “Chi l’ha visto”. Secondo le nostre forze dell’ordine, invece, era ormai “impossibile” trovarne le tracce. Come mai ci riesce, con i pochi mezzi a disposizione, una pur brava giornalista, e non ci riescono le nostre poderose intelligence e i servizi perfetti con tutti i mezzi e le risorse che hanno? Mistero.
E così la minuziosa ed “esplosiva” sentenza perugina ha il modo di ricostruire dettaglio per dettaglio, sequenza per sequenza, protagonista per protagonista quel clamoroso depistaggio, il più gigantesco della nostra storia di trame & misteri, pari a quello ordito per la strage di via D’Amelio dove sono stati massacrati Paolo Borsellino e la sua scorta.
A questo punto per la procura di Roma diventa un gioco da ragazzi. Prendere la sentenza di Perugia, studiarla per bene, effettuare una serie di interrogatori mirati e ulteriori ricerche sulla base proprio di quella sentenza e voilà, il caso eterno del duplice omicidio di Mogadiscio può finalmente andare a processo. E sarà la sede dibattimentale a chiarire gli ultimi dubbi.
QUELLE NEBBIE NON FINISCONO MAI
E invece cosa succede? L’incredibile. Il pm Ceniccola se ne frega della sentenza perugina, la liquida in poche battute, demolisce anche le ultime notizie pervenute dalla procura di Firenze che aveva fatto giungere con enorme ritardo le intercettazioni telefoniche di alcuni somali che parlavano anche della strage di Mogadiscio. E non tiene in alcun conto le ponderose memorie dei legali della famiglia Alpi, gli avvocati Domenico e Antonio D’Amati, e l’avvocato Carlo Palermo (l’ex giudice che in Sicilia subì attentati dinamitardi negli anni ’80 perché stava scoprendo le connection mafia-politica).
Cosa fa allora Ceniccola? Chiede l’archiviazione al gip, controfirmata da Pignatone. Il gip, Andrea Fanelli, chiede ulteriori indagini al pm. Che in pochi mesi se la sbriga, ovviamente non trova nulla di nuovo e parte ancora alla carica con la richiesta bis di archiviazione, regolarmente firmata dal solerte Pignatone, prima di andare in dorata pensione e appena prima che si scatenasse lo tsunami del caso Palamara, che vede al centro proprio la poltronissima di capo della procura romana, lo storico porto delle nebbie.
Torniamo a ripetere. Invece che sventolar bandierine e striscioncini il 20 settembre, perchè non usare il mese di agosto e i primi 20 giorni di settembre per far conoscere a tutti i cittadini e lettori la gigantesca, tragica sceneggiata? Per rendere nota a tutti la sentenza di Perugia che fa abbondante luce sul giallo? Per far aprire agli italiani gli occhi sulle nebbie ancora dense che pesano sulla procura capitolina?
ALFANO, TRA ARCHIVIAZIONI & REVISIONI
Da un’archiviazione all’altra il passo non è poi così lungo. E ci ritroviamo avvolti da altre nebbie, quelle che riguardano l’omicidio di un altro giornalista, e sempre un quarto di secolo fa, Beppe Alfano. Un’altra storia ai confini della realtà e che sta facendo registrare – nel solito quasi totale silenzio mediatico – delle grosse novità, sulle quale torneremo nei prossimi giorni con maggiori dettagli.
Due le novità di rilievo. Restando, appunto, in tema di archiviazioni, il pm della procura di Messina, Vito Di Giorgio, chiede l’archiviazione dell’inchiesta denominata “Alfano ter”, giudicando “poco concreta in termini di rilevanza probatoria” la pista nata dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Carmelo D’Amico. La richiesta è stata controfirmata dal procuratore Maurizio De Luca.
Viene precisato: “La pista investigativa che si è concentrata su Stefano Genovese e Basilio Condipodero si è dimostrata poco concreta in termini di rilevanza probatoria: al di là delle dichiarazioni rese da Carmelo D’Amico, nessun altro elemento di riscontro è stato acquisito a sostegno del coinvolgimento dei due indagati”.
Di Giorgio parla anche del movente e osserva che “gli accertamenti finalizzati a dimostrare un collegamento tra l’omicidio del giornalista Beppe Alfano e la latitanza di Nitto Santapaola nel barcellonese (l’area intorno a Barcellona Pozzo di Gotto, ndr) hanno messo in luce punti di contatto tra i due aspetti (effettivamente l’Alfano stava compiendo indagini giornalistiche su detta latitanza), ma “non è possibile affermare con certezza che quelle indagini siano state la causa della sua morte”.
Le solite nebbie giudiziarie dove tutto converge, ma poi tutto sparisce.
Fino ad oggi per l’uccisione di Beppe Alfano sono stati condannati in via definitiva Giuseppe Gullotti, all’ergastolo, come mandante e Giuseppe Merlino, a 21 anni e 6 mesi, quale autore materiale.
Ma eccoci al secondo, ancor più clamoroso, colpo di scena. I legali di Gullotti hanno appena presentato un’istanza di revisione del processo. La motivazione? “Comportamenti equivoci del pm” all’epoca dei fatti. Circostanze che evidentemente potranno chiarire nella loro istanza. Istanza presentata alla Corte d’Appello di Reggio Calabria, che a quanto pare senza pensarci su troppo ha subito dato disco verde all’istanza, fissando già la data per la prima udienza del processo di revisione per il 6 ottobre. Quando la giustizia ha tempi lampo!
Si terrà presso la prima sezione penale della Corte d’Appello di Reggio, presieduta da Filippo Leonardo.
Sorge spontanea una domanda. L’Alfano ter, volto ad accertare altre responsabilità, a quanto pare va a farsi benedire, tramite le solite prassi di archiviazione.
E adesso viene riaperto addirittura il processo base che aveva accertato mandante ed esecutore. Ottimo e abbondante!
E alla fine cosa ci ritroveremo tra le mani? Beppe Alfano s’è ucciso da solo? Così come Ilaria Alpi e Miran Hrovatin si sono sparati a vicenda?
E’ la giustizia di casa (e cosa) nostra, bellezze!
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