L’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare del Gran Sasso sotto accusa.
Da tempo infatti è stata avviata un’inchiesta della procura di Teramo sulle immissioni di sostanze pericolose nell’ambiente, ora arrivano anche i primi rinvivi a giudizio. Sotto i riflettori anche la gestione idrica del territorio e quella di alcune arterie autostradali.
I rinvii a giudizio riguardano il presidente dell’Istituto Fernando Ferroni; il direttore dei laboratori nazionali Stefano Ragazzi; il responsabile del servizio ambiente Raffaele Adinolfi Falcone; il presidente del cda della Strada dei Parchi Lelio Scopa; l’amministratore delegato della Strada dei Parchi Cesare Ramadori; il direttore generale di esercizio Igino Lai; il consigliere ed ex presidente di Ruzzo Reti (gestore del sistema idrico nella provincia di Teramo) Antonio Forlini; l’ex responsabile dell’area tecnica di Ruzzo Reti Domenico Giambuzzi; il responsabile dell’area operativa di esercizio Ezio Napolitani; il responsabile del servizio acquedotto Maurizio Faragalli.
La realizzazione delle opere – vale a dire delle autostrade di collegamento e del Laboratorio – ha provocato la morte di ben 11 operai per una serie di incidenti, il più grave dei quali causato da un crollo per la pressione dell’acqua intercettata durante gli scavi.
Ecco qualche cenno storico. Ai primi 2000 il governo Berlusconi finanziò la costruzione di un terzo traforo di servizio e l’ampliamento dei laboratori. Progetti che hanno provocato nuovi danni al sistema acquifero, contrastati dai movimenti ambientalisti, che resero pubblico un elenco di sostanze pericolose stoccate nel Laboratorio, diversi incidenti successi durante alcuni esperimenti e l’immissione di sostanze a rischio in uno degli affluenti del Vomano.
Un momento di svolta nel 2003, quando entra in scena la Cricca. La presidenza del Consiglio, infatti, nomina come commissario straordinario per la messa in sicurezza del sistema idrico Angelo Balducci, al quale poi si affiancherà addirittura Fabio De Sanctis: tanto per ricomporre a pieno titolo quella Cricca che per anni ha dettato legge nel mondo degli appalti pubblici. Al tandem – tanto per gradire – si aggiunge un terzo elemento: Raniero Fabrizi, un dirigente del ministero delle Infrastrutture, abituèe nelle cene a casa De Sanctis.
Nel 2017 la situazione precipita, il sistema idrico diventa permeabile a non poche infiltrazioni pericolose, nonostante tutti i soldi che sarebbero stati nel frattempo investiti, circa 80 milioni di euro. Ma che fine hanno fatto – si chiedono le sigle ambientaliste del teramano – quei fondi pubblici?
Solo a inizio di quest’anno la giunta regionale approva una delibera che individua le attività urgenti per la gestione del rischio nel sistema idrico del Gran Sasso. Un anno e mezzo per arrivare ad avere dei progetti da parte di Strada dei Parchi e Istituto di Fisica che poi dovranno essere valutati e finanziati per ulteriori 170 milioni di euro.
Altri soldi che volano, ma la certezza (sic) che non verranno più portati avanti esperimenti con l’utilizzo di sostanze pericolose non si potrà avere – se tutto va bene – se non ai primi del 2021.
Intanto si è aperta l’inchiesta della procura di Teramo, che ha ordinato una perizia tecnica da cui dovrebbero saltar fuori tutte le sostanze inquinanti utilizzate in questi anni e drammaticamente venute a contatto con le falde acquifere e quindi con l’acqua potabile, mettendo a repentaglio la salute dei cittadini.
Gli indagati dell’Istituto, della Strada dei Parchi e di Ruzzo Reti, “ciascuno tenendo conto nei rispettivi ambiti di competenza, abusivamente cagionavano o comunque non impedivano, e in ogni caso, contribuivano a cagionare o non impedire, un permanente pericolo di inquinamento ambientale e, segnatamente, il pericolo di compromissione o deterioramento significativo e misurabile delle acque sotterranee e del massiccio del Gran Sasso”. Ecco il pesante capo d’accusa.
In prima fila per documentare la story, nel corso di questi anni, la testata giornalistica Primadanoi.
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