5 Stelle lascia (metà dei voti) sul campo, Lega raddoppia. Rinasce (apparentemente) il Pd, Forza Italia agonizza, fa le capriole (per pochi suffragi in più) Giorgia Meloni.
Ma cominciamo a radiografare il voto, puntando i riflettori non tanto sulle percentuali – ingannevoli – ma sul voto reale espresso dagli italiani. E vedrete che le sorprese non mancano.
Ecco il quadro che esce dal confronto tra il voto del 4 marzo 2018 per le politiche, e quello europeo di oggi.
Lega aumenta di 3 milioni 441 voti.
Fratelli d’Italia aumentano di 292 mila voti.
5 Stelle perdono 6 milioni 189 mila voti.
Forza Italia perde 2 milioni 258 mila voti.
Pd perde 121 mila voti.
Questi i numeri.
Passiamo al raffronto in modo più analitico, comparando sempre i dati di oltre un anno fa con quelli odierni.
La Lega passa da 5,7 milioni a 9,1 milioni.
I 5 Stelle passano da 10,7 milioni a 4 milioni.
Forza Italia passa da 4,6 milioni a 2,3 milioni.
Il Pd passa da 6,1 milioni a 6 milioni.
Più chiari di così non si può. Percentuali, proporzioni e altre acrobazie aritmetiche a parte.
Balzano quindi di tutta evidenza agli occhi i crolli verticali – ossia un letterale dimezzamento – per i 5 Stelle e Forza Italia, prosciugati fino all’osso. Un dimagrimento della metà in una dozzina di mesi è davvero da Guinness dei primati.
Così come l’incredibile balzo della Lega, un salto triplo/quadruplo che da un originario 5 per cento di pochi anni fa ora la proietta a livelli stratosferici, da vecchia Dc o Pci (a parte il bluff renziano del 40 per cento alle ultime europee).
Eccoci all’anomalia del Pd, che vede la sua percentuale indubbiamente crescere rispetto ad un anno fa. Ma i voti reali, addirittura, diminuiscono di oltre 100 mila unità. La percentuale, comunque, basta a far esultare il fresco segretario Nicola Zingaretti e ad indurlo a parlare di neo bipolarismo (destra Lega contro centrosinistra Pd).
Questa una primissima analisi dei numeri, quelli reali.
Nelle prossime ore aggiorneremo sia i numeri (soprattutto a livelli locali), per poi cominciare ad abbozzare delle analisi.
Nella foto di apertura, da sinistra, Nicola Zingaretti, Luigi Di Maio e Matteo Salvini.
ANDREA CINQUEGRANI
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Finché c’è vita, c’è…
5 Stelle schiacciati dal peso della mala giustizia
C’è un grande assente nei risultati elettorali del 26 maggio, un convitato di pietra prudentemente eluso dagli sconfitti. E’ la giustizia italiana. Anzi, l’ingiustizia, quella mannaia che si abbatte ogni giorno su milioni di italiani: cittadini, imprese, famiglie, flagellati nelle sedi civili da sentenze pilotate, massacrati da inspiegabili fallimenti che radono a zero occupazione ed economia, condotti in custodie cautelari, privati del lavoro, degli affetti, della dignità, sulla base di provvedimenti che poi la stessa magistratura considererà anni dopo carta straccia.
Dalla parte di chi stia, questa componente dispotica della magistratura italiana, lo si è capito nell’ultimo scorcio della campagna elettorale, quando le toghe sono scese ancora una volta in campo a gamba tesa, cercando di erodere quel gap che già si profilava netto nei sondaggi fra i due partiti di governo: quei 5 Stelle, dietro il cui sipario si stagliano da sempre le figure di uomini come Antonio Di Pietro o Piercamillo Davigo, e la Lega di Mattero Salvini, letteralmente bombardata di subitanei provvedimenti giudiziari destinati a gettare fango sulla sua credibilità, dal caso Siri a Legnano, e non solo.
Qualcuno si è domandato quanto abbiano pesato, sul trionfo della Lega, le agghiaccianti statistiche sulla giustizia marcia riportate da programmi tv come Sono innocente, Chi l’ha visto?, Quarto Grado, o da siti divenuti popolarissimi, come come Fino a prova contraria, errorigiudiziari.com?
Ve lo diciamo noi. Benché sulle reti televisive vengano quasi “regolarmente” censurati i nomi dei magistrati artefici degli scempi, nella mente degli italiani continuano a gridare vendetta casi come quello di Marco Vannini, di Stefano Cucchi, di quelle vittime di uno strapotere giudiziario, impunito, pletorico ed opulento, al quale oggi milioni di italiani col voto del 26 maggio dicono una sola parola: basta. Gli elettori lo hanno ormai chiaro: i politici, per impresentabili che siano, è possibile mandarli a casa, punirli nell’urna. I magistrati che sbagliano, quelli no. Ce li dobbiamo tenere, con buona pace di una sovranità popolare, costituzionalmente garantita, che nei fatti è andata a farsi benedire.
E bene ha fatto, il ministro Bonafede, a disertare la conferenza stampa delle 15 al MISE con Di Maio. Prima annunciato, poi scomparso dai radar, il Guardasigilli farebbe bene a riflettere su quanto la linea del suo partito sulla cosiddetta giustizia abbia contribuito al tracollo. E a dire al cittadino italiano una parola di chiarezza, una sola: scusa.
FURIO LO FORTE
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