Napoli nel sangue. Ferite da guerra quelle della piccola Noemi, commentano i medici del Santobono.
Una guerra che da decenni insanguina la città, le lotte tra i clan per la coca, le stese quotidiane, il territorio controllato palmo palmo, per molti cittadini una libertà ormai ridotta al lumicino, mentre l’economia e il commercio sono in stato comatoso.
Solo il turismo tira: “dobbiamo dire grazie all’Isis”, commentano non pochi con amarezza, “vengono qui non più per la pizza e i mandolini ma perché a Parigi e Londra non si può andare per paura degli attentati”.
Napoli come Baghdad, titolava anni fa la Voce. Napoli come l’Afghanistan, dice oggi il capo Regione Vincenzo De Luca.
Passa al volo durante il suo tour elettorale lo Sceriffo Matteo Salvini, in visita serale al Santobono: “non voglio più vedere queste scene”, il lapidario commento.
Poche ore dopo in città per un annuale meeting sulla “innovazione” coi re di Spagna e Portogallo il capo stato Sergio Mattarella, prevista una visita lampo al capezzale di Noemi.
GUERRA ALLE ARMI. ALTRO CHE MITRA…
Fotografa lo stato comatoso della città padre Alex Zanotelli, il missionario comboniano che ha vissuto tra gli ultimi delle periferie africane e da una dozzina d’anni ha deciso di vivere in una ancora più estrema, Napoli.
Osserva: “Mi meraviglio quando dicono che Napoli è cambiata. Io continuo a dire che nelle periferie lo Stato non c’è. Il nostro ruolo, come Chiesa, nel Paese è di fondamentale importanza per legare fede e vita, come dice Papa Francesco. Qui a Napoli è proprio questione di vita. E’ grave quello che è successo, siamo veramente alla follia”.
Centra il problema il filosofo Aldo Masullo, che punta l’obiettivo sulla necessità di “disarmare”, altro che incentivare la circolazione di armi.
“Questa – commenta – è una criminalità che definirei minore, perché quella organizzata si sta trasformando, si serve di borghesi colti, molto capaci nelle transazioni finanziarie. Questi sono residui, pericolosissimi per le persone, che lo Stato dovrebbe affrontare in maniera molto semplice: dichiarando guerra alle armi”.
Continua Masullo: “Servirebbero leggi molto severe, per rastrellare quelle vietate e per ridurre il numero di quelle detenute legalmente. Disarmare deve essere il principio fondamentale da applicare. Purtroppo, con la legittima difesa mi pare si stia andando nella direzione diametralmente opposta. Se poi pensiamo un momento al ministro dell’Interno che si fa fotografare con un mitra, l’effetto diventa esilarante. O forse raccapricciante”.
Trent’anni fa “pittava” il Bronx napoletano per la Voce Peppe Lanzetta. Scrisse per anni un racconto al mese: il dolore delle madri per i figli che si bucano, per i figli ammazzati dalla polvere bianca e nei regolamenti di conti. Una periferia che trasuda lacrime e sangue da ogni muro scalcinato e zampilla dai tombini, una Napoli sfregiata ogni giorno, martoriata nelle sue viscere, sfigurata da mani assassine, stuprata da politici e camorristi.
IL DOLORE DI ELEONORA ALBANESE E IACOPO FO
E tredici anni fa, a maggio 2006, la Voce pubblica un testo di Iacopo Fo, “Napoli nel sangue”. Tragico spunto la morte del padre della compagna Eleonora, l’ingegner Emilio Albanese, napoletano.
Un piccolo grande uomo, un cittadino esemplare scippato, trascinato e ammazzato in pieno centro cittadino, piazza Dante.
Avevamo conosciuto Iacopo alcuni anni prima, inizio 2000, in occasione di uno straordinario, affollatissimo dibattito che si era svolto a Bologna in occasione di una Festa dell’Unità. Si parlava di controinformazione e di informazione negata.
Quando sapemmo della notizia fu per noi una pugnalata al cuore. E così, dopo alcuni mesi, trovammo le forze per pubblicare lo sfogo di Eleonora e Iacopo, pagine di profonda umanità, ma anche di lucida denuncia sulle metastasi che stavano devastando Napoli.
Ecco il testo dell’ultima di copertina.
“Napoli brucia, non ce la fa più. Il ritmo frenetico delle aggressioni dà alla testa e strangola l’economia. Le discariche abusive fanno di alcune zone territori da evacuare con il 35 in più di tumori e una mortalità tra le più alte d’Italia. Diossina ad Acerra. Più che a Seveso quando arrivarono gli uomini con le tute bianche e tutti fuggirono. Ma la gente resta lì a morire”.
Poi: “Un fiume speso dalle amministrazioni locali, immense risorse inutilizzate: il porto, ad esempio, rifiuta il 95 per cento delle domande di attracco…”.
Ancora: “Un fiume di danaro buttato via in una città tra le più povere d’Italia. Con un sindaco che ha nel suo ufficio 17 punti luce con lampadine a incandescenza. Le spiego che esistono lampade che durano 15 mila ore e fanno risparmiare l’80 per cento dell’energia elettrica. Ogni lampadina sostituita garantisce, nell’arco della sua durata, un risparmio di 150 euro. Il sindaco mi guarda interdetto. Continuo. Sostituendo soltanto le lampadine dell’ufficio del sindaco, Napoli potrebbe risparmiare 2.550 euro. Moltiplica questo assurdo per tutta Napoli e vedi perché questa città ha ammazzato Pulcinella”.
All’epoca primo cittadino di Napoli era Rosa Russo Iervolino, già pezzo forte della Dc, prima ministro degli Interni, gavianea di ferro. Una persona onesta – si diceva all’epoca – non ruba, ma totalmente incapace di governare una città come Napoli. Per la quale ci vorrebbe “solo uno Stalin incazzato”, aggiungevano non in pochi.
E bisogna tornare alla prima amministrazione rossa di una grande città, una delle giunte comuniste di metà anni ’70, per vedere gli unici slanci e passioni civili in un deserto continuo. L’esecutivo di Maurizio Valenzi, anni di lavoro incessante, di partecipazione. Poi quella spinta si è progressivamente arenata con il consociativismo post terremoto.
Non resta – nella desolante agenda politica partenopea – che il primo anno della giunta guidata da Antonio Bassolino un quarto di secolo fa, così come i primi dodici mesi dell’attuale sindaco arancione Luigi de Magistris.
Due esperienze nate sotto i migliori auspici, nel segno del profondo cambiamento: ben presto floppate. Con i risultati che i cittadini sono costretti a vivere ogni giorno nel più totale degrado sociale e civile, nella disamministrazione di un territorio massacrato, nella desertificazione dei servizi pubblici. E anche nel sangue.
Ma torniamo al libro di Iacopo Fo, nel quale sono contenute anche alcune vignette di Eleonora Albanese. Ecco l’incipit.
TUTTO OK, NESSUNA EMERGENZA
“Dalla morte di Emilio ci troviamo a discutere su cosa sia possibile realizzare per Napoli.
Vorremmo che la sua morte fosse onorata da un impegno collettivo capace di cambiare la situazione di Napoli, dove si verificano quasi il doppio degli omicidi dell’intero Canada, e il 30 per cento delle rapine di tutta Italia, dieci volte più che a Palermo.
Io, Eleonora, Ernesto e Giuseppe Albanese abbiamo discusso di questo con il sindaco Rosa Russo Iervolino.
Essa, pur ammettendo la gravità della situazione, valuta che non vi sia una vera emergenza.
Ci ha detto che anche la cronaca di Milano del Corriere della Sera è piena di notizie di crimini. E ci ha parlato delle due rapine subite dalla figlia a Genova.
Sostanzialmente il sindaco, pur rendendosi conto della gravità della situazione, è convinta di poter affrontare questa crisi con i mezzi che ha a disposizione.
E ci ha elencato tutti i risultati positivi ottenuti dalla sua amministrazione: il taglio drastico del numero dei dipendenti pubblici, le iniziative per la legalità nelle scuole, le iniziative culturali, i corsi di cucina di Nisida, dove ragazzi a rischio e giovani imparano a diventare abili cuochi. E poi ci sono gli aiuti economici distribuiti con l’assegno di cittadinanza, il rafforzamento della vigilanza sul territorio…
Certamente la signora Iervolino ha ragione nel dire che senza queste iniziative la criminalità sarebbe ben più alta.
Ma noi crediamo che serva un intervento con mezzi straordinari perché la situazione è, ormai, esplosa.
Il numero delle rapine a Napoli corrisponde al dato di Milano, Roma e Torino messe assieme.
Il sindaco sostiene però che non ha senso proporre un’immagine disastrosa di Napoli. Sarebbe un danno per il turismo che creerebbe altra povertà e un conseguente aumento della criminalità”.
E’ cambiata la situazione in questi 13 anni? Certo non in meglio.
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