‘O PUORCO & ‘O CAPOGRUPPO / 30 ANNI FA, QUELLA CONVERSAZIONE BOLLENTE

Diritto di cronaca contro privacy. Diritto-Dovere di informare i cittadini sugli abusi del potere politico oppure insabbiamento. E la contestatissima divulgazione delle conversazioni, dei contenuti di telefonate bollenti, di colloqui imbarazzanti e penalmente rilevanti.

Una battaglia sempre più calda in questi anni, tra leggi e leggine sempre ambigue, reiterate minacce di bavaglio all’informazione, media comunque sempre più appiattiti & omologati per non disturbare i manovratori, gli inquilini dei Palazzi. Lorsignori.

Trent’anni fa esatti la Voce fu protagonista di uno scoop che fece parlare tutta la città di Napoli e non solo. Si scatenò un putiferio perché avevamo diffuso il contenuto di un colloquio telefonico intercorso tra due pezzi da novanta della allora DC: balzava in tutta evidenza un vero e proprio mercato delle vacche, nel segno del potere più arrogante e di quel voto di scambio che emergerà in tutta la sua virulenza solo qualche anno più tardi.

Ma ricostruiamo i fatti, tappa per tappa.

 

‘O CAPOGRUPPO CHI SE LO PIGLIA?

Marzo 1989. Alla Regione Campania, tanto per cambiare, infuria una delle solite crisi. I partiti sono in fibrillazione. Le combine si intrecciano. Tutti a caccia di poltrone, assessorati e postazioni di potere in vista della formazione del nuovo esecutivo di palazzo Santa Lucia.

Alla redazione della Voce (allora si chiamava “La Voce della Campania”), in piazza Mercato, arriva un plico anonimo, una busta gialla contenente una audiocassetta. La ascoltiamo, il contenuto ci pare subito molto interessante: da un capo del telefono la voce di un politico che ci sembra inconfondibile, dall’altra una voce molto più ruspante che non è semplice identificare.
Ma i fatti di cui parlano i due sono davvero inquietanti: io mi piglio questo assessore, tu quello, io mi piglio l’avellinese, tu il salernitano. Insomma, la “cosa pubblica” trattata come qualsiasi merce di scambio, nessuno rispetto per le istituzioni, calpestate come un tappetino, le correnti dei partiti ovviamente a farla da padrone. Vomitevole.

Paolo Cirino Pomicino (qui con Ciriaco De Mita) in una foto dell’epoca

Facciamo esaminare la cassetta da un esperto. Dopo un attento studio ne conferma l’autenticità, nel senso che non è una fake news, una bufala come si direbbe oggi; non è “pezzottata”, insomma non è truccata, artefatta oppure costruita a tavolino. E’ autentica. Ad inviarcela qualcuno – forse un lettore della Voce – che per puro caso l’ha captata e registrata. L’esperto ci spiega che uno dei due interlocutori parla da un telefono fisso e l’altro da un telefono installato in auto: dal momento che allora i cellulari non esistevano ancora.

A questo punto decidiamo di pubblicare nel numero seguente (aprile) la sbobinatura del nastro, con un breve commento, ma senza rivelare l’identità dei due personaggi. E facciamo un piccolo concorso: al primo che ci risponderà in modo giusto, manderemo 10 copie della Voce in abbonamento omaggio.

Non solo, ma decidiamo di cellofanare con le 10 mila copie che solitamente mandiamo nelle edicole di tutta la Campania, la cassetta dei misteri.

Non passano nemmeno 24 ore e subito il premio viene aggiudicato. Anzi due. Perché i due interlocutori non perdono un attimo per autodenunciarsi, dal momento che fanno un ricorso d’urgenza – un articolo 700 – chiedendo il sequestro urgente della cassetta.

In poche ore succede una vera sceneggiata alla napoletana: forze dell’ordine e fiamme gialle inviate in tutte le edicole della regione per togliere il cellophane, sequestrare le cassette e lasciare agli sbigottiti edicolanti la copia della Voce!

Ma chi erano mai i vincitori del concorso? Uno l’allora ministro per la Funzione Pubblica Paolo Cirino Pomicino, che dopo un anno passa al Bilancio ed al quale la Voce dedicherà due anni dopo, nel ’91, il volume ‘O Ministro. In precedenza era stato al vertice della strategica Commissione Finanze alla Camera, soprannominata Commissione Sportello, per il via vai continuo d’amici, parenti & C. a caccia di danari pubblici.

Aldo Boffa

L’altro, l’ex portaborse del pluriministro DC Enzo Scotti, ossia Aldo Boffa, il quale nell’esecutivo regionale che nascerà da quelle “trattative” verrà premiato con una significativa poltrona, quella di assessore ai Lavori pubblici, Acque e acquedotti. Il nome di Boffa, qualche anno prima, era balzato agli onori delle cronache giudiziarie per un’altra conversazione, con tale Vincenzo Agizza, cognato e socio di Luigi Romano, ras con la Bitum Beton del calcestruzzo di area Nuvoletta, allora il più potente clan di camorra, quartier generale a Marano di Napoli.

 

DIRITTO DI CRONACA O (NEANCHE) PRIVACY?

Di cosa si dolgono Pomicino e Boffa? Di aver violato la loro privacy e, quindi, calpestato il loro onore. Non ci accusano, cioè, di intercettazione o altro, ma di aver diffuso il contenuto della loro “privata” conversazione.

Replichiamo: non si tratta di alcuna violazione della privacy per il semplice fatto che al centro della conversazione non ci sono vicende personali o familiari, ma i destini della Regione, della “cosa pubblica”: che invece loro trattano senza rispetto, proprio come in un mercato delle vacche. Quindi non si tratta neanche di prevalenza del diritto di cronaca sulla privacy, ma del diritto-dovere di cronaca puro e semplice.

La sentenza pronunciata dal tribunale penale di Napoli ci dà ampiamente ragione, perché mette nero su bianco la assoluta prevalenza dell’interesse pubblico a sapere, a conoscere quei fatti, rispetto ad una neanche invocabile privacy.

Scorriamo in rapida carrellata alcuni passaggi di quella imbarazzante conversazione.

“E due assessori a voi…”

“E allora se lui vuole fare questo s’ha da scurdà ‘o presidente e la questione è: se voi avete bisogno di un assessore, voi, e allora non ci sta niente da fare, noi ci pigliamo il segretario regionale e due assessori, uno a voi. I basisti si pigliano il presidente, pare Fantini, con due assessori e un capogruppo”

Vincenzo Scotti negli anni 90 (qui col plenipotenziario della DC Evangelisti)

“Siccome non vogliono il casertano, io non voglio il beneventano”

“E’ chiaro…”.

“E allora, nun aggio capito, allora, ci tiene…”.

“Non so se rendo l’idea, e allora ci dice, resta Fantini e allora diciamo: tre e mezzo e tre e mezzo, non so se rendo l’idea”

“A proposito, tu sai quella… di Vincenzo…”

“No, nun saccio proprio niente…”

“Non ti ha telefonato?”

“Nooo, quello è un porco”

“Ma che disgraziato… anzi volevo un attimo chiarire…”

L’inchiesta della Voce sull’Icla “acchiappatutto”

ICLA, L’ACCHIAPPATUTTO

In quello stesso numero di aprile 1989 la Voce pubblica anche la sua prima inchiesta sull’ICLA, la società del “cuore” di ‘O Ministro, la vera regina del dopo terremoto e su tutto il lungo fronte dei lavori pubblici non solo in Campania, ma man mano in tutta Italia.

Titolo della cover story “L’Acchiappatutto”, sottotitolo: “Un’impresa rivitalizzata dal sisma dell’80, l’Icla, rastrella appalti in ogni settore – case, strade, acquedotti – vedendo crescere vertiginosamente fatturato e utili. A controllarla è una finanziaria, Pa.fi., che è a sua volta presente in numerose sigle, compresa una banca, la Popolare di Pescopagano”.

Il nome dell’Icla salirà agli onori delle cronache solo un anno più tardi. Farà infatti più volte capolino nella maxi relazione Scalfaro sui business del dopo terremoto. In prima linea, infatti, i due timonieri di Icla, Agostino Di Falco, alias Napoleone, e Massimo Buonanno, alias “compagnia bella”, per via della cantilena continua parlando davanti ai commissari di varianti, revisioni prezzi, sorprese geologiche e… compagnia bella.

In contemporanea, novembre ’91, esce anche il libro “Grazie Sisma – Dieci anni di potere e terremoto”, pubblicato dalla stessa Voce.

Riceviamo altre querele penali e citazioni civili da Pomicino, Boffa e la amata Icla.

Incredibili gli iter giudiziari. Tanto per rammentare, ‘O Ministro ci cita in via civile per un risarcimento da 11 miliardi di lire, tanto per gradire.

Ancor più rocambolesca la vicenda processuale con l’Icla. Lavoriamo circa un mese per raccogliere i materiali che illustrano tutto quel che avevamo scritto, e alleghiamo tra gli atti i volumoni della relazione Scalfaro. Ma cosa succede il giorno dell’udienza? Spariscono tutti i nostri materiali e quindi veniamo condannati per non esserci difesi. Di tutta evidenza qualche “manina” li aveva fatti volar via: d’altro canto il vecchio palazzo di Giustizia era un vero porto di mare, chiunque poteva entrare e uscire con un fascicolo sotto braccio.

Per il secondo grado (che ovviamente vinciamo) siamo costretti ad uno sforzo non da poco: riprodurre tutti i materiali, comprese i due maxi tomi della relazione firmata dall’ex capo dello Stato Luigi Scalfaro.

Di seguito, potete leggere il testo di quella istruttiva “conversazione”.

 

LE PAGINE DELLA “CONVERSAZIONE”


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