Usare a ragion veduta il termine “pacchia”, sprecato sulla bocca di Salvini a proposito di respingimento dei migranti), agevola chi esercita la professione del giornalismo esercitando il diritto di critica sullo s-governo gialloverde. Dunque pacchia per lo sfaldamento in corso del cosiddetto Movimento, capitanato dal grullino Di Maio, che assiste inerme al dissenso sostanziato da contestazioni e defezioni. La senatrice Fattori: “Di Maio dovrebbe lasciare, sarebbe opportuno. Siamo nati come movimento ‘uno vale uno’ e siamo diventati ‘uno vale tutti’” Roberta Lombardi: “Di Maio non è Mandrake. Non mi piace l’idea di trasformare il Movimento in partito, ‘io decido, voi eseguite’, un tempo si partiva dal basso”.
Ed ecco una stridente contraddizione. Il Di Maio despota solitario, o tutt’al più decisionista in tandem con Salvini e il Di Maio pilatesco sul sì al processo dell’alleato Salvini e per non tradire l’ideologia a 5Stelle del giustizialismo erga omnes, scarica sulla base l’onere di votare on line sull’autorizzazione a procedere. Sullo sfondo, piaccia o no a Salvini, aleggia il sospetto degli opinionisti che il titubare di Di Maio nasconda il patto, ovviamente non esplicito, di un classico do ut des, ovvero, del no al processo del vice premier leghista compensato dal no, caro ai grullini del Tav. In termini calcistici è pareggio, con il punteggio di 1 a 1.
In tema di ‘è finita la pacchia’, il dissenso Paola Nugnes: “Non è una delle cose da chiedere al Paese con una consultazione online. La democrazia diretta è un’altra cosa, non è chiedere una ratifica su questioni di interesse generale, e comunque non su una piattaforma privata (la Rousseau, ndr). Sarebbe illegittimo. È una decisione che non riguarda la linea politica e deve essere presa dai parlamentari che rappresentano la nazione, non il partito”.
La perfidia del presupposto che ha generato la Lega, ovvero la secessione, accantonata strumentalmente per non alienarsi del tutto il Sud, uscita dalla porta dell’opportunismo elettorale, rientra dalla finestra e anche se non è ancora tempo di Carnevale, si maschera con la meno ostica definizione di autonomia regionale. Seppure con qualche distinguo, alla testa del secessionismo, non a caso propugnato da Lombardia e Veneto, si accoda sorprendentemente l’Emilia, altra regione in buona salute economica e culla storica della sinistra. In chiaro: cosa spinge il ricco Nord a gestire in proprio maggiori risorse finanziarie e qualità del sociale? Di là dalle chiacchiere? L’esasperazione dell’egoismo. Per capire. E’ come se un padre di famiglia (lo Stato) privilegiasse un figlio a scapito dell’altro (le regioni). Come se non distribuisse in egual misura il reddito familiare all’uno e all’altro, nel rispetto di esigenze e condizioni diverse.
A fronte di un’evidente provocazione, la Campania risponde con la provocazione del suo presidente. De Luca dichiara di aver inviato a Conte la richiesta di autonomia differenziata anche per la sua regione: “La linea scelta per l’autonomia differenziata porta a spezzare l’unità del Paese, a marginalizzare la realtà del Sud e immette l’Italia su un cammino che può diventare drammatico. Se qualcuno immagina che il residuo fiscale debba rimanere al Nord e i servizi sociali debbano essere rapportati alla ricchezza del singoli territori, credo abbia in testa un’idea fuori dalla Costituzione. Prefigura una società’ che va verso l’imbarbarimento. Sull’autonomia accettiamo qualunque sfida se abbiamo le stesse risorse delle altre regioni. Presenteremo una nostra proposta su scuola e formazione, caposaldi basilari, ma si scordino che i residui fiscali restino al Nord perché così si spaccherebbe il Paese. La Campania non chiederà l’autonomia scolastica perché nei processi formativi la scuola è uno degli elementi di costruzione e mantenimento dell’unità della patria. L’autonomia pregiudica la tenuta unitaria del sistema nazionale. Veneto e Lombardia chiedono infatti la competenza non solo sull’organizzazione scolastica, ma anche sulle norme generali sull’istruzione”.
Il governatore della Sicilia, Nello Musumeci, ha chiesto al premier Giuseppe Conte di garantire ‘il principio di solidarietà’ tra le Regioni. Preoccupazione nel mondo della scuola, dei Comuni, che temono il centralismo delle Regioni a loro danno. A tutti si è rivolta la ministra per gli Affari regionali Stefani: “Allarmismo infondato. Non ci saranno cittadini di serie A e cittadini di serie B”, ma il timore è formulato anche in un dossier dei parlamentari pentastellati. Preoccupazione esprimono il sindaco di Milano Sala, il Pd Zingaretti, l’Anci, Associazione dei comuni italiani. Altro che pacchia.
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