PROCESSO SANGUE INFETTO / PER IL PM “IL FATTO NON SUSSISTE”. TUTTI ASSOLTI E SANTI SUBITO

Tutti assolti. Il fatto non sussiste.

Con queste parole è terminata la requisitoria del pm, Lucio Giugliano, al processo per le morti da sangue infetto in corso da quasi tre anni davanti alla sesta sezione penale del tribunale di Napoli, presieduta da Antonio Palumbo.

Un processo “storico”, iniziato 27 anni fa a Trento e che vede alla sbarra ex dirigenti, funzionari e addetti delle aziende del gruppo Marcucci, all’epoca oligopolista nel settore degli emoderivati in Italia e ancor oggi al vertice con la nuova corazzata Kedrion. Alla sbarra anche l’ex direttore del settore farmaci al ministero della Sanità Duilio Poggiolini.

Nove le parti civili che si sono costituite, rappresentate dai familiari delle vittime, più parecchie associazioni nate nel corso degli anni a tutela della salute dei malati di emofilia e non solo. Come dato “storico”, comunque, è bene sapere che la questione “sangue infetto” ha riguardato e riguarda migliaia e migliaia di cittadini, infettati nel corso del tempo, a partire dagli anni ’70: e molti altri casi potranno manifestarsi ancora, perchè il periodo di “incubazione” dell’infezione può arrivare a superare i vent’anni (un po’ come per i roghi tossici nella Terra dei Fuochi). Stragi impunite.

Duilio Poggiolini a un’udienza del processo. Nel montaggio di apertura l’ingresso del tribunale di Napoli

Va sottolineato che l’odierno processo per le morti da sangue infetto è stato totalmente silenziato dai media, sia locali che nazionali (tratte il Fatto). Meglio scrivere di pizza & bombe carta.

Riavvolgiamo adesso il nastro delle tre ore di requisitoria per analizzarla nei suoi vari aspetti.

Il pm ha voluto subito far chiarezza e così ha esordito: “Sono sicuro che le mie parole di assoluzione nei confronti degli imputati potranno causare dolore e delusione nei familiari dei pazienti deceduti. Testimonio la vicinanza mia e dell’ufficio ai loro sacrifici e alle loro sofferenze”.

Ciò detto, ha tracciato una breve storia del processo ed ha rimarcato fin dall’inizio che anche il processo odierno si deve basare sostanzialmente sui materiali probatori raccolti nelle fasi investigative di Trento: materiali insufficienti – ha  subito precisato – per individuare quel fondamentale nesso di causalità tra l’assunzione dei farmaci e l’insorgenza delle patologie (e quindi, in molti casi, la morte). Carenti quindi le indagini trentine e per questo il processo è presto finito con l’archiviazione ed è passato per competenza a Napoli, dove anche stavolta non ha avuto lunga vita perchè è stato di nuovo impossibile trovare ogni nesso causale e risalire al primo contagio.

Quel secondo processo partenopeo, però, a parere del pm, si è concluso con un provvedimento definito “tecnicamente abnorme” preso dal gip: ossia riprendere da capo, con un nuovo processo, basandosi su un diverso capo d’accusa, “omicidio colposo plurimo”. In pratica una “imputazione coatta” che a parere di Giugliano non stava né in cielo né in terra.

Ma eccoci al processo di oggi, che si è aperto ad aprile 2016.

NESSUNA PROVA, SOLO INDIZI  

Chiarisce il pm: “nei faldoni non ci sono prove, ma solo cartelle cliniche. Per questo ho ordinato subito in questo processo una perizia tecnica, che sulla base di quelle cartelle cliniche potesse portare a qualche chiarimento circa il nesso causale”

Giugliano ha quindi passato in rassegna le posizioni dei singoli malati: stando alla perizia per tre di essi non è possibile risalire a niente, in cinque casi c’è la possibilità di arrivare a un nesso (il nono è nel frattempo deceduto). Ma ecco un altro ostacolo. In tutti i casi, tranne uno, le cure sono quasi sempre  in seguito avvenute a domicilio: e in quei casi si può reperire  un piccolo diario domestico, alcuni appunti, nella migliore delle ipotesi. E c’è un’altra circostanza sfavorevole: quando anche si abbia una qualche traccia precisa dell’assunzione di emoderivati, praticamente mai si riesce a sapere di quale casa farmaceutica siano. Insomma una autentica giungla.

L’elemento fondamentale, ha spiegato Giugliano, rifacendosi soprattutto alla perizia, è sapere la data del contagio, della prima somministrazione alla base di tutta la patologia. Connessa è la causa, ossia il farmaco, quindi la ditta produttrice. E di tutto ciò non v’è chiarezza né alcuna certezza né alcun elemento probatorio. Niente.

Dopo aver effettuato varie ricognizioni temporali, il pm individua la fascia ‘incriminata’ in tutti gli anni ’70 e i primi ’80: di sicuro tutti gli ammalati i cui nomi sono presenti al processo (tranne uno) hanno contratto l’infezione in quel decennio ’70, solo nel caso di uno dei fratelli Scalvenzi quella data è possibile collocarla negli ’80, fino all’87.  Ciò permette – secondo il pm – di escludere le responsabilità di molte aziende, soprattutto del gruppo Marcucci.

Ancora. Un altro motivo che finisce per minimizzare le responsabilità delle aziende italiane è il fatto che in quegli anni il mercato era praticamente in mano alla case farmaceutiche straniere, che nel campo degli emoderivati avevano una fascia compresa tra il 5 e il 10 per cento (per molti anni non hanno superato la soglia del 5 per cento).

Piermannuccio Mannucci

Il pm ha poi effettuato una lunga dissertazione sul tema di “re-infezioni” e “sovra-infezioni|”, oggetto di una seconda consulenza svolta dai tre periti. In sostanza, i pareri nel mondo scientifico non sono unanimi, ma ciò non sposta più di tanto il problema centrale: ossia, la questione non serve a far chiarezza sul dilemma del nesso di causalità né contribuisce a conoscere quale sia stato il primo contagio, la prima infusione che ha provocato l’insorgere della patologia.

Eccoci ai nodi centrali. Ossia il ruolo del gruppo Marcucci e quello di Poggiolini.

QUELLE AZIENDE IMMACOLATE

Soprattutto in questa circostanza (ma anche in altre) il pm si rifà alla prima testimonianza resa a questo processo, quella dell’ematologo milanese Piermannuccio Mannucci. Tenuto conto che gli emoderivati arrivavano dall’estero e che il principale paese dal quale importavamo erano gli Usa, secondo la letteratura scientifica dell’epoca quel sangue era particolarmente affidabile, testato, sicuro, anche perché c’erano i rigidi controlli esercitati dalla Food and Drug Administration.

“Non risulta che le aziende del gruppo Marcucci abbiano mai violato le leggi, le normative sanitarie in materia. Tutto risulta fatto in modo corretto, sono state rispettate le procedure. Non sono state dimostrate nel corso del processo colpe o responsabilità di alcun tipo”.

Tutti da assolvere quindi gli ex dipendenti del gruppo Marcucci. Anche i vertici aziendali come Enzo Bucci e Giovanni Rinadi, rispettivamente direttore tecnico e responsabile del marketing. “Non è stata dimostrata alcuna loro responsabilità. Del resto, quali potevano mai averne? Potevano fra l’altro mai essere responsabili della qualità dei prodotti che venivano importati con tutte le certificazioni del caso?”.

Ed eccoci ad un altro passaggio fondamentale, la posizione di Duilio Poggiolini. Del quale il pm ha tracciato un profilo, elencandone tutti i ruoli strategici ricoperti a livello di ministero della Sanità durante un ventennio, dal 1973 al 1993.

“Il sospetto non basta, ci vogliono prove, e nel caso di Poggiolini non ci sono”, ha subito chiarito il pm.

Così prosegue la requisitoria sull’ex re mida della sanità.

POGGIOLINI, SANTO SUBITO

“Di cosa lo si può accusare? Quali sono i reati che avrebbe commesso, le norme che avrebbe infranto, le leggi che non avrebbe rispettato? Nel corso del dibattimento non è emerso niente. Almeno in quel periodo base, tra il 173 e il 1978,  di cosa mai si sarebbe macchiato? Poteva mai evitare qualunque di quei tragici eventi nei vari ruoli che ricopriva? Non sono emersi, nel corso di questo processo, elementi probatori a suo carico, neanche uno. In questi anni si è semplificato, si è voluto addossare ogni responsabilità sulle spalle di un solo soggetto, colpevole di ogni reato. Si può imputare ad un solo vertice della sanità le colpe di una politica sbagliata o insufficiente? E’ stata proprio la mancanza, in Italia, di una politica lungimirante nel campo degli emoderivati la fonte prima di tutti i problemi. Perché non è stato fatto da noi come in molti altri paesi soprattutto del nord e dell’est europeo? Vale a dire far in modo di non dover dipendere così tanto, fino al 95 per cento, dalle importazioni, ma di avere una vera ‘politica del sangue’ nella più totale sicurezza e qualità dei prodotti? Come si possono imputare a Poggiolini queste cose, tutte le falle della nostra politica per anni?”.

Qualche piccola nota di riflessione sulla requisitoria del pm.

In larghissima parte prende spunto e trova linfa nelle due perizie svolte dai tre consulenti tecnici, tutti esperti del settore: si tratta di Raffaele Pempinello, infettivolgo, Pasquale Madonna, ematogo e Pierluigi Zangani, medico legale.

Di particolare pregnanza, evidentemente, la prima perizia,  ordinata dal pm fin dalla prima udienza (in cui fra l’altro chiedeva subito il proscioglimento di tre imputati ex gruppo Marcucci). I periti hanno chiesto diverse proroghe e alla fine hanno partorito il loro lavoro, una trentina di pagine dattiloscritte. Non proprio una gran fatica, di cui non pochi addetti ai lavori hanno notato le gravi carenze e lacune scientifiche.

Fatto sta che nella bibliografia della perizia predomina su tutti un nome (una decina di citazioni sul totale di una ventina): quello di Piermannuccio Mannucci, il primo teste sentito al processo, circa due anni e mezzo fa.

UN TESTE IN PALESE CONFLITTO D’INTERESSE

Un teste, come ha più volte sottolineato la Voce, in palese conflitto d’interessi, circostanza mai venuta alla ribalta a livello processuale né ha tantomeno ha fatto capolino nella requisitoria del pm (soltanto l’avvocato delle parti civili Stefano Bertone ha vi ha fatto cenno).

L’avvocato Stefano Bertone

Mannucci, infatti, è stato per anni consulente di Kedrion, la corazzata di casa Marcucci, ricevendone evidentemente dei compensi. Ha avuto anche un ‘indirizzo scientifico’ proprio presso il principale stabilimento toscano dei Marcucci, ed ha preso parte, regolarmente gettonato, a svariati simposi nazionali e internazionali organizzati da Kedrion. Che, val la pena di rammentarlo, viaggia oggi col vento sempre più in poppa, espandendo i suoi mercati internazionali sotto la guida di Paolo Marcucci (figlio del patriarca Guelfo, imputato in questo processo ma deceduto alcuni mesi prima dell’avvio), fratello di Andrea Marcucci, capogruppo del Pd al Senato e formatosi alla scuola di Sua Sanità Francesco De Lorenzo, tanto che sotto i vessilli del Pli venne eletto per la prima volta in Parlamento nel ’91.

Tornando a Mannucci, nel corso della sua “storica” verbalizzazione, circa la provenienza di quegli emoderivati, così disse: “quando ho chiesto alla dirigenza del gruppo Marcucci qualche informazione circa la provenienza di quel sangue, ho ricevuto tutte le rassicurazioni possibili. Mi dissero che era sicuro, testato e che arrivava dai campus degli studenti universatari e dalle casalinghe americane”. Boom.

Nessun cenno da parte di Mannucci ad altre provenienze poco raccomandabili di cui già si parlava all’epoca. Come nel caso delle carceri a stelle e strisce, in particolare quelle dell’Arkansas. “Non ne ho mai sentito parlare, neanche per sogno”, confermò dopo quell’udienza alla Voce.

Tra i testi principali delle parti civili, ha verbalizzato il regista statunitense Kelly Duda, autore nel 2007 di uno choccante docufilm, “Fattore VIII”, in cui vengono illustrati in modo drammatico i traffici di sangue per anni in corso tra le galere a stelle e strisce, sotto il vigile sguardo delle autorità americane (anche la Bbc ha documentato i traffici dei “vampiri” di casa nostra). Immagini da brivido, di cui ha parlato nella sua testimonianza, confermando per filo e per segno quanto noto a molti, anche nella comunità scientifica dell’epoca, e invece clamorosamente ignorato da Mannucci.

Un’udienza turbolenta, quella in cui ha parlato Duda. Conclusasi con una querela – con tanto di minacciato arresto seduta stante – proprio da parte del pm Giugliano, stizzito per alcune parole pronunciate in inglese dal regisita al termine dell’udienza. Coda di paglia o che? Quanto meno un forte pregiudizio – e un clima certo non idilliaco – nei confronti di quel teste base delle parti civili.

PICCOLI INTERROGATIVI CRESCONO

Come mai quella verbalizzazione bollente non è stata citata neanche en passant nella lunga requisitoria del pm? Un fatto “sostanziale”, nel caso da smontare: invece neanche un cenno, non una parola, mentre lunghe sono state le dissertazioni parascientifiche.

Come mai neanche un cenno a quelle carceri dell’Arkansas, tanto per dire che si trattava di  fake news ante litteram?

Ancora. Come mai nella sempre lunga requisitoria non è stato fatto il nome, neanche per caso, di Sua Sanità De Lorenzo, storicamente grande amico sia di Poggiolini che di Guelfo Marcucci e della sua dinasty? Perchè non è stato fornito alcun ragguaglio circa gli stretti rapporti intercorsi?

Come mai nessuna parola sui conflitti d’interesse, tanti, del super ematologo Mannucci?

Una manifestazione di protesta degli ammalati per sangue infetto

Come mai nessun cenno specifico (se non un criptico passaggio) al processo per la Farmatruffa che ha visto la condanna prima penale e poi civile sia di De Lorenzo che di Poggiolini ad un maxi risarcimento da 5 milioni di euro a testa?

Come mai  nessun cenno alle conclamate carenze della perizia, che invece è stata alla base della requisitoria stessa?

Come mai nessun cenno a quella letteratura scientifica e a quei ricercatori che spiegano i nessi di causa ed effetto? Nè agli altri processi internazionali per la stragi da sangue infetto? Nemmeno una parola sulle vittime senza giustizia? Nè alla fresca commissione d’inchiesta decisa perfino in Inghilterra?

Tanti, troppi buchi neri, per una giustizia che ancora una volta viene calpestata. Compresa la memoria di tante vittime, pur omaggiate (quelle del processo) dalle parole iniziali del pm.

Una prima conclusione però c’è. I legali di tutti gli imputati (in prima fila i big del foro Massimo Di Noia e Alfonso Stile) potranno risparmire tutte le fatiche in vista delle loro arringhe: basta e avanza la requisitoria del pm.

Comunque il processo è aggiornato all’11 febbraio, quando prenderanno la parola tutte le parti civili, tranne quelle rappresentate da Stefano Bertone ed Ermanno Zancla, previsti per le due udienze successive. La sentenza è stata fissata dal giudice Palumbo per il 25 marzo.

 

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