Le pessime suggestioni dell’autarchia

E’ facile immaginare che mondo sarebbe se se ogni Paese decidesse di risolvere la crisi del proprio apparato industriale adottando il modello Trump. Un esempio: finiscono in rosso i conti della più importante fabbrica chimica indiana e Nuova Dehli impone un dazio del 30 percento sulle importazioni di prodotti chimici. Sarebbe un mondo di autarchia, con conseguenze disastrose per l’economia globale. Succede che negli Stati Uniti del boom, che tiene a galla l’incredibile Trump “infastidito” dalla crisi della General Motors, storica fabbrica americana di auto, la mega industria automobilistica annunci il licenziamento di 15mila lavoratori e la chiusura di cinque fabbriche. Anziché misurarsi sulle cause del dissesto, Trump tira fuori dal cappello a cilindro la soluzione e propone nuove, più alte tariffe sull’importazione di auto straniere. Il tycoon, in poche parole, perde il pelo, che sostituisce con il parrucchino color carota pallido, non il vizio dell’autarchia, inaugurata con i dazi sull’acciaio e altri prodotti della Cina, ma non solo del suo più forte concorrente, che per ripicca risponde con uguali misure di protezionismo. Alle minacce erga omnes, l’Italia ha replicato che avrebbe ordinato lo stop all’importazione delle moto Harley Davidson, gioiello americano e di altri prodotti made in Usa. Di questo passo, l’Italia potrebbe imporre dazi anti importazione per i prodotti di industrie che hanno trasferito la produzione in Paesi, dove il costo del lavoro è molto inferiore al nostro e la catena di sant’Antonio dei dispetti a livello internazionale ridurrebbe la Terra a un coacervo di nazionalismi anacronistici. Ecco le nobili intenzioni di Trump, che rivolto al Congresso lo ha invitato a farsi furbo: “Il motivo per cui il settore dei furgoni negli Usa è florido è perché, per molti anni, ci sono state tariffe del 25% su quelli che entravano nel nostro Paese. Se facessimo lo stesso con le auto, molte più auto verrebbero costruite qui e la General Motors non chiuderebbe le sue fabbriche in Ohio, Michigan e Maryland”. Questi è il grande stratega che gli americani hanno scelto per essere governati.

Il commento del Fondo Monetario Internazionale non si fa attendere: “Così la crescita globale è a rischio”, secondo la direttrice Christine Lagarde “sappiamo che le crescenti barriere commerciali sono controproducenti per tutti i soggetti coinvolti”. Di qui la richiesta ai Paesi del G20 di invertire la rotta sui dazi. “Abbiamo un’opportunità unica per migliorare il sistema del commercio globale”. La ricerca del Fmi suggerisce che la liberalizzazione degli scambi di servizi potrebbe a lungo termine aumentare dello 0,5% per cento, ovvero di 350 miliardi di dollari, il Pil del G20. Allo stesso tempo le azioni dei singoli paesi rafforzerebbero le economie e si ridurrebbero gli squilibri globali. Un esempio. La Germania “Potrebbe usare il suo spazio fiscale per rafforzare il potenziale di crescita, aumentando gli investimenti e incentivando la partecipazione della forza lavoro, gli Stati Uniti potrebbero abbassare il loro deficit fiscale e la Cina accelererebbe il proprio equilibrio economico”.

Il problema? Mister Trump su questi temi dimostra di aver seri disturbi dell’udito e che uguale menomazione sembrano accusare i suoi sostenitori, non solo repubblicani.


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