I ricchi se ne fregano, ma gli altri?

Nessun problema, è quasi ovvio il disinteresse dell’èlite sociale per le crisi socio-finanziarie di ogni ciclo dell’economia globale. Chi molto possiede, assiste con distacco all’esito della partita di finale che vede la cocciutaggine del governo gialloverde mettere in campo l’ottusità della manovra di bilancio che l’Europa antagonista rispedisce al mittente con una duplice bocciatura. I ricchi se ne fregano, per dirla alla Salvini. Le loro laute risorse navigano con il vento in poppa, in sincrono con l’aumento delle povertà.    Gli economisti politicamente indipendenti dal potere autenticano questo paradigma della diseguaglianza globale in crescendo di cui soffre il mondo.

Assolutamente incomprensibile è l’inerzia nell’appropriarsi del tema che condiziona la qualità della vita di quanti, con le più varie motivazioni, affidano a leghismo e grullismo, la protesta contro la difficile e in larga misura impossibile condizione sociale ed economica.

Come non capire che la cocciutaggine del letale binomio Di Maio-Salvini nell’imporre una manovra suicida di bilancio potrebbe essere punita con un balzo in su dello spread fino ai 400 punti base? A quel livello di pericolosità pre-fallimentare, lo certificano gli economisti, le grandi agenzie mondiali di rating e la conoscenza elementare della finanza, il governo che ci s-governa sarebbe costretto a prelevare risorse dai risparmi degli italiani (patrimoniale) e certamente non dai tesori dei ricchi, che già in questi momenti di insicurezza rifugiano ingenti capitali all’estero.

Il rischio così descritto, purtroppo non impressiona il popolo degli arrabbiati che il 4 marzo hanno creduto nell’utopia del voto di protesta e l’accredito agli incapaci di occupare palazzo Chigi. È lecita l’indifferenza continuamente confermata dal consenso a Salvini e in parte a Di Maio, per le conseguenze del provvedimento d’infrazione che ci finirà addosso, ovvero la multa oscillante tra lo 0,2 allo 0,5 percento del Pil, già di suo in stato di precarietà, la sospensione dei fondi Ue, cioè decine di miliardi e di altri miliardi dei finanziamenti della Banca europea?

Di pericolo in pericolo. Prende corpo l’ipotesi che la litigiosità tra gialli e verdi, sempre più cruenta e coperta con lo smog di false dichiarazioni di concordia, possa esondare dalla reciproca sopportazione, per esplodere in rissa e divorzio finale. Crede in questo esito, un italiano su due e il tempo della crisi è individuato nella prossima primavera. Elemento deflagrante sarebbe la sperequazione di consensi a favore della Lega, avallati dai sondaggi. Il Movimento 5Stelle potrebbe smarcarsi dall’accordo di governo per recuperare il terreno che perde per incompatibilità con il suo dna politico di partenza. Salvini è consapevole della vulnerabilità dell’alleato e fa la voce grossa, punta i piedi per terra, lo sfida su territori sensibili. Di Maio ha dovuto clamorosamente arrendersi al diktat del leghista e dire sì al gasdotto Asia-Puglia. Ora rischia di ingoiare anche il rospo Tav, che Salvini vuol realizzare per mettere in cassaforte il favore delle grandi imprese del Nord. Ha già dovuto subire la ribellione di venti suoi deputati, contrari al decreto sicurezza preteso da Salvini.

Se si crede all’attendibilità dei sondaggi, solo il 32% degli elettori ritiene che il governo durerà fino a fine legislatura. Per il 52% gli italiani credono che entro i prossimi otto mesi potrebbe avvenire la separazione, non consensuale di Lega e 5Stelle. Lo pensano in prevalenza i leghisti, non a caso. Della ritrovata condizione di single profitterebbero per un patto di centro destra con Forza Italia e la Meloni, che si fingono acerrimi oppositori della maggioranza di governo attuale per decretarne la fine e subentrare ai 5Stelle.

La sinistra sta a guardare, in pieno garbuglio di candidature plurime, primarie, schegge impazzite e oggettiva assenza di un leader carismatico in grado di incollare i frammenti del Pd.


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