GIALLO CACCIA / CLAMOROSA AVOCAZIONE AL TRIBUNALE DI MILANO

Scontro frontale al tribunale di Milano tra procura della repubblica e procura generale. Quest’ultima, infatti, ha avocato a sé un importante filone processuale relativo al giallo della morte di Bruno Caccia, ucciso 34 anni fa.

Un giallo mai del tutto risolto, perchè se sulla carta sono stati assicurati alle galere i mandanti e un paio di killer, resterebbero ancora a piede libero i calibri più grossi, cioè quelli riconducibili al vero movente dell’omicidio dell’allora procuratore capo di Torino, il quale per la prima volta in Italia, e in totale solitudine, stava indagando sulle pesanti infiltrazioni delle mafie nei Casinò del Nord, in particolare quello di Saint Vincent (appena fallito). Fu il primo, Caccia, ad intuire la portata fondamentale dei Casinò – dove ogni giorno circola un’ingentissima quantità di liquidi – nelle operazioni dei riciclaggi mafiosi.

Aveva capito troppo. Si stava avvicinando alla meta. Per questo “doveva morire”.

E per questo la procura generale ha avocato a sé le indagini, perchè ha ravvisato troppe lacune in quelle della procura della repubblica.

Al centro della bagarre la richiesta di archiviazione della posizione del boss Francesco D’Onofrio, secondo i legali della famiglia Caccia pesantemente coinvolto nella vicenda.

La Procura Generale ritiene che il ruolo di D’Onofrio non sia stato attentamente valutato: “è mancata – viene sostenuto – una reale attività di indagine nei suoi confronti”. Così come la procura generale rimprovera ai colleghi di “non aver mai ascoltato i familiari di Caccia”, come invece da essi più volte richiesto.

E’ la seconda volta nel corso degli ultimi hanni che si verifica un clamoroso caso di avocazione: il precedente illustre è quello dell’inchiesta sull’Expo di Milano, che aveva provocato il forte j’accuse del pm Alfredo Robledo nei confronti dell’allora capo Edmondo Bruti Liberati.

 

Nella foto Bruno Caccia


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