Per le vittime del Ponte giustizia lumaca. Arresti istantanei per chi osa criticare le toghe

Giustizia italiana sempre più “orba”. Un occhio lo chiude per non vedere. Con l’altro, però, ci vede benissimo. Il metodo dei due pesi e due misure, che ormai da tempo segna la giustizia nel nostro Paese, gli italiani hanno imparato a conoscerlo, quasi sempre sulla loro pelle. Condotto salvatutti per artefici delle stragi, indagini lumaca, grand commis di Stato che arrivano con tutta calma agli interrogatori in lumousine, circondati da stuoli di penalisti di grido. Dall’altra parte, provvedimenti cautelari istantanei, con privazione della libertà o dei mezzi economici di sostentamento, per chi abbia osato puntare il dito contro le aberrazioni del sistema giudiziario, contro l’insopportabile intoccabilità dei magistrati, contro una Casta che fonda il suo predominio assoluto su un’impunità pari a quella che gli umani hanno finora concesso solo a Dio (quello vero).

Sono trascorsi oltre tre mesi dal disastro che ha stroncato la vita di 43 innocenti sul ponte Morando di Genova, senza che gli inquirenti abbiano avvertito l’esigenza di emettere anche un solo provvedimento cautelare. Opulenti manager e facoltosi tecnici degli organi che avrebbero avuto il dovere di controllare, sono ancora tutti lì, liberi a casa loro. Quei 20 indagati di rango, prima che la notizia finisca inghiottita dal “diritto all’oblio”, li vedremo ancora per molto sfilare all’ingresso della Procura per essere ascoltati. Sono molto “sereni”, dichiarano alle telecamere i loro difensori.

Il moncone del Ponte Morandi. In apertura la Procura di Genova

Certo che sono sereni. All’ergastolo non ci stanno loro, ci sono altri. Fine pena mai, ma solo per i genitori di Matteo Bertonati, Giovanni Battiloro, Gerardo Esposito e Antonio Stanzione, i quattro ragazzi di Torre del Greco la cui vita si è schiantata lassù il 14 agosto. Per quei genitori, la dannazione aggiuntiva di vedersi beffati da una giustizia lenta, burocratizzata, che appare sempre più allineata con analoghi ceti privilegiati, indifferente e sorda alla disperazione gli ultimi della terra: quelle madri e quei padri, cui non resta che scendere in piazza per alzare il loro lamento al Cielo, verso quella Giustizia divina che, forse, un domani punirà quelli che sulla terra l’hanno pervicacemente negata.

Dall’altro lato ci sono blitz, scampanellate alle 5 del mattino con quattro pantere a sirene spiegate, ci sono imprenditori, giornalisti, professionisti, un giorno sì e l’altro pure tirati giù dal letto, ci sono arresti e perquisizioni di massa. Cos’hanno sulla coscienza? Hanno sterminato 43 vite umane perché sapevano che il ponte sarebbe crollato, avevano il dovere il vigilare, ma non sono intervenuti?

Sempre più spesso, la motivazione delle misure cautelari ha a che vedere con reati fiscali. E non è un caso se i sequestri da milioni di euro ai danni delle imprese sono “utilissime” per fare numero nei dati da presentare a Bruxelles sulla “lotta all’evasione fiscale”, che farà crescere il Pil (e pazienza se mettono a rischio centinaia di lavoratori e le loro famiglie). Una escalation, quella degli ultimi mesi, che ci riporta al braccio di ferro tra Governo italiano ed Unione Europea sulla manovra finanziaria. All’Italia servono numeri, occorre ridare fiducia dimostrando – poco importa se con operazioni di giustizia sommaria – che la lotta all’evasione funziona.

Alberto Sordi nel film di Nanni Loy Detenuto in attesa di giudizio

Quanto ai giornalisti, basta leggere certe ordinanze, da cui trasuda tutta l’insofferenza di molti magistrati contro quella parte dell’informazione che raccoglie e documenta le denunce dei cittadini contro errori ed orrori della giustizia italiana, rendendo in molti casi l’opinione pubblica sempre più consapevole, avvertita, capace di difendersi. Un rischio di “contagio” che l’apparato giudiziario non può correre, se intende mantenere intatte onnipotenza e privilegi connessi alla sua funzione, quelle garanzie che rendono il nostro Sistema Giustizia un “unicum” nel mondo, con protezioni che in Italia, a differenza di tutti gli altri Paesi, vedono totalmente avulsa l’amministrazione della Giustizia da qualsiasi controllo della sovranità popolare, in spregio all’equilibrio fra poteri previsto dalla Costituzione.

Che la Giustizia non sia stata sempre quella di oggi, ce lo ricorda la trama di un film di Nanni Loy del 1971, Detenuto in attesa di giudizio. Racconta il calvario del geometra romano Giuseppe Di Noi, arrestato per il crollo di un viadotto da lui progettato, nel quale aveva perso la vita un ragazzo di nazionalità tedesca.

Peccato che la Rai non lo abbia mandato in onda dopo il crollo del ponte Morando. Un’occasione persa per riflettere. Piuttosto, la tv preferisce ossequiare la casta togata, proponendoci quasi ogni sera i sermoni di pm o giudici che si auto-giudicano e si auto-confermano infallibili.

Gerardo Mazziotti

«I magistrati vanno eletti!», dichiara Gerardo Mazziotti, intellettuale di razza, premio internazionale di Giornalismo civile. E parte dalla pagina di un grande giallista americano: «John Grisham ha scritto nel 2006 “Innocente, una storia vera”, pubblicato da Mondadori, nel quale narra una vicenda giudiziaria accaduta nella cittadina di Ada in Oklahoma e che appassionò l’intero paese perché lo sfortunato protagonista, condannato ingiustamente a morte, era un popolare giocatore di baseball. A pagina 331 si legge: “Sulle prime il giudice Frank Seay, rieletto per la terza volta, era riluttante a parlare del suo lavoro; ritiene che il proprio ruolo imponga di stare lontani dalle luci della ribalta. Alla fine, però, ha acconsentito a parlarmi a condizione di non rendere pubblica la nostra conversazione”».

«Mi viene da pensare – osserva Mazziotti – a certi magistrati italiani, pubblici ministeri e giudici, che vanno in televisione a parlare delle proprie indagini giudiziarie e ai comizi dei partiti per dichiarare le proprie simpatie politiche. E che vanno in Parlamento per poi tornare nell’ordine giudiziario. Chissà che non sia il caso di eleggerli anche da noi come fanno da oltre due secoli in America, culla della democrazia».


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