CONSULTA / MAGISTRATI DA DESTITUIRE SE ACCETTANO FAVORI. E ORA, DOTTOR DI PIETRO?

Sentenza storica della Corte Costituzionale, la numero 197 depositata il 12 novembre. Riguarda i comportamenti tenuti da alcuni magistrati che accettano favori dai loro imputati. La Corte Suprema stabilisce in modo categorico che “è legittimo destituire il magistrato che accetta favori da imputati in processi pendenti nella propria sede giudiziaria”.

E’ quanto successe, per fare solo un esempio eclatante, ad Antonio Di Pietro quando era toga di punta del pool di Mani pulite a Milano. Di Pietro, per tanti favori ricevuti dai suoi imputati, venne processato a Brescia. Ma uscì assolto perchè “si tratta di comportamenti non penalmente rilevanti”, venne scritto nelle motivazioni, anche se censurabili sotto tutti i profili: morale, deontologico, professionale. Fu, in quel caso, un’assoluzione ‘pesantissima’.

Pier Francesco Pacini Battaglia. In apertura Antonio Di Pietro

Di quella brutta storia fornirono tutti i dettagli Ferdinando Imposimato e Sandro Provvisionato nel loro profetico “Corruzione ad Alta Velcità”, scritto esattamente venti anni fa. Nel quale dettagliarono anche l’insabbiamento del troncone milanese delle inchieste sull’Alta Velocità, imperniate sulla figura del super faccendiere Francesco Pacini Battaglia, l’“uomo a un passo da Dio”, come lo definiva Di Pietro. Il quale però nei suoi confronti usò stranamente il guanto di velluto, invece del solito pugno di ferro. Forse perchè a patrocinare le sorti giudiziarie del suo imputato c’era l’avvocato Giuseppe Lucibello, grande amico del pm e Super Eroe del pool?

Ma torniamo alla sentenza della Corte. Meglio di ogni altra cosa dare la parola all’Ansa che scrive un dettagliato report.

“E’ legittimo destituire il magistrato che accetta favori da imputati in processi pendenti nella propria sede giudiziaria. Lo ha deciso la Corte Costituzionale stabilendo che, in questo caso, la rimozione automatica del magistrato non è contraria alla Costituzione. Le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Sezione disciplinare del Csm sono state giudicate non fondate. La destituzione è la massima sanzione disciplinare prevista dall’ordinamento dei magistrati”.

Continua l’Ansa: “La decisione è contenuta nella sentenza numero 197 depositata oggi (redattore Francesco Viganò) ed è relativa alle questioni sollevate dal Csm nell’ambito di due procedimenti concernenti magistrati incolpati di aver ricevuto benefici di varia natura da imputati in procedimenti penali pendenti presso le rispettive sedi giudiziarie. Secondo la Corte, la norma che prevede la sanzione disciplinare della rimozione non lede il principio di eguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione, poiché non determina alcuna irragionevole discriminazione in danno del magistrato autore dell’illecito disciplinare in questione, rispetto a chi abbia commesso atti illeciti disciplinari per i quali non è prevista la sanzione dell’automatica rimozione. La norma – spiega la Suprema Corte – non può d’altra parte ritenersi intrinsecamente irragionevole in ragione dell’automatismo nell’irrogazione della massima sanzione disciplinare prevista dall’ordinamento per i magistrati”.

Il libro di Ferdinando Imposimato e Sandro Provvisionato

E ancora: “La Corte ha sottolineato, in proposito, che ai magistrati è ‘affidata in ultima istanza la tutela dei diritti di ogni consociato’ e che proprio per tale ragione ‘sono tenuti – più di ogni altra categoria di funzionari pubblici – non solo a conformare oggettivamente la propria condotta ai più rigorosi standard di imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo ed equilibrio nell’esercizio delle funzioni, ma anche ad apparire indipendenti ed imparziali agli occhi della collettività, evitando di esporsi a qualsiasi sospetto di perseguire interessi di parte nell’adempimento delle proprie funzioni. E ciò per evitare di minare, con la propria condotta, la fiducia dei consociati nel sistema giudiziario, che è valore essenziale per il funzionamento dello Stato di diritto’”.

“Condotte come quelle in considerazione – conclude la Corte Costituzionale – creano un oggettivo pericolo di distorsione dell’attività giurisdizionale in favore del soggetto che ha corrisposto prestiti o agevolazioni al magistrato, e comunque scuotono la fiducia della collettività nell’indipendenza e imparzialità dello stesso ordine giudiziario”.

Vero, Di Pietro? Parole che pesano come macigni e che ogni magistrato dovrebbe ripetere a memoria prima di entrare in aula e parlare “in nome del popolo italiano”.

 

P.S. A tutti va consigliata la lettura di “Corruzione ad Alta Velocità”. Una vera lezione di vita, per tutte le toghe.

 

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