“Segnali di svolta nei primi nove mesi del 2018”. Così esulta l’amministratore delegato di Saipem, Stefano Cao, nell’illustrare i dati di bilancio e valutare le prospettive e breve e medio termine.
Nonostante il bilancio presenti un rosso da 357 milioni di euro, l’ad parla di “crescita”. E cita altri numeri: ricavi per 6 miliardi, il portafoglio ordini supera i 6 miliardi con una lievitazione di 2 miliardi rispetto all’anno precedente, il debito si attesta a poco più di 12 miliardi, in calo.
Sul fronte dei progetti, tanto bolle in pentola, sia sul fronte nazionale che estero.
A casa nostra, Saipem intende puntare decisa ai lavori per l’Alta Velocità e al settore delle energie rinnovabili. Una forte diversificazione, rispetto allo storico ambito delle infrastrutture petrolifere.
Sul fronte estero, Cao vede nell’Iraq “un mercato importante che offre grandi potenzialità di sviluppo futuro”.
Settimane fa, comunque, ha stipulato due grossi contratti in Thailandia: uno per l’ampliamento della raffineria di Sriracha, l’altro per la realizzazione di un rigassificatore.
Buone news, ottime per medicare le ferite giudiziarie cumulate negli ultimi mesi. In particolare per inchieste e processi portati avanti dalla procura e dal tribunale di Milano, per “corruzione internazionale” nell’aggiudicazione di appalti in Africa. Ma la rogna più grossa riguarda l’inchiesta “Lava Jato” in Brasile, per gli appalti Petrobras e la mazzetta del secolo, 5 miliardi di dollari accertati (una ventina il totale previsto).
Impelagati nell’inchiesta della procura carioca (ma anche a Milano, sempre per corruzione internazionale), oltre a Saipem, la “madre” Eni (ora in partecipazione con la Cassa Depositi e Prestiti nel controllo di Saipem) e Techint che fa capo al gruppo guidato da Gianfelice Rocca.
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