#FameZero: è stato questo il tema della Giornata Mondiale dell’Alimentazione – istituita dalla FAO nell’anniversario della propria fondazione (16 ottobre 1945), che si è celebrato nei giorni scorsi. Un obbiettivo ambizioso che si propone di annientare la fame nel Mondo entro il 2030 per raggiungere il quale, afferma la FAO “dobbiamo adottare uno stile di vita più sostenibile”.
Per far ciò è fondamentale ripensare il modello di produzione del cibo. Oggi, infatti, il 50% dei cereali e il 90% della soia prodotti a livello globale servono a nutrire gli animali degli allevamenti, e con l’acqua che si consuma per produrre un kg di carne di manzo (15.500 litri) potrebbero essere prodotti 4,5 kg di riso, quasi 12 kg di grano, 86 kg di pomodori, 52 litri di latte di soia. La capacità di sfamare di un ettaro utilizzato per la produzione di uova, latte o carne è di 5-10 persone contro le 20-30 che mangerebbero con la stessa estensione di terreno coltivata con verdura, frutta, cereali o grassi vegetali.
Il tema della nutrizione è anche al centro di una nuova ricerca dell’Università di Oxford, pubblicata sulla rivista Nature (https://go.nature.com/2Eir1wa), che sostiene che nutrire 9,7 miliardi di persone nel 2050 sarà possibile solo cambiando il modo in cui mangiamo e il metodo in cui produciamo il cibo.
Lo studio incrocia dati, provenienti da innumerevoli Paesi, relativi alla valutazione sull’impatto della produzione alimentare sull’ambiente globale e si concentra anche sull’individuazione di sistemi per fermare l’incombente crisi alimentare.
I ricercatori di Oxford hanno rilevato che, anche solo per mantenere il riscaldamento globale sotto i 2°C, il cittadino mondiale medio deve mangiare il 75% in meno di manzo, il 90% in meno di maiale e metà del numero di uova, triplicare il consumo di legumi e quadruplicare i semi oleosi (noci, ecc.). Nei Paesi occidentali, come Regno Unito e USA, il consumo di carne bovina deve diminuire del 90% ed essere sostituito da cinque volte il quantitativo di legumi attualmente consumati.
Lo studio dell’Università di Oxford segue a breve il rapporto IPCC (https://www.lav.it/news/allarme-clima-ipcc) diffuso la scorsa settimana, nel quale gli esperti dell’ONU avvertono che abbiamo solo 12 anni per mantenere il riscaldamento globale al di sotto di 1,5°C, poiché anche mezzo grado in più peggiorerebbe significativamente i rischi di siccità, inondazioni e temperature estreme.
“Appare ancora una volta evidente che per rispondere alla necessità di nutrire in modo adeguato la popolazione mondiale, così come a quella di contenere il riscaldamento globale, la scelta non possa essere che dare una decisa svolta ‘verde’, al settore alimentare, in termini di consumo e di produzione. È l’unica alternativa al divorare il Pianeta, distruggendoci – afferma la LAV – Chiediamo quindi che sia garantito il facile accesso a menu vegan bilanciati e vari anche fuori casa (ristorazione scolastica e pubblica), di ridurre le aliquote IVA sui “latti” vegetali, di sostenere le produzioni 100% veg, per tutelare le generazioni attuali e quelle che seguiranno e per salvare animali, ambiente e risorse”.
E un primo passo, esclusivamente transitorio ma non per questo di minor importanza, è rappresentato dal superamento degli allevamenti intensivi, oggetto dell’iniziativa #EndTheCageAge lanciata al Parlamento europeo lo scorso 25 settembre, a Bruxelles, dalla più grande coalizione europea di ONG mai vista finora: più di 100 associazioni in 24 Paesi riuniti per chiedere la fine dell’uso di ogni tipo di gabbia per allevare animali a scopo alimentare.
Firma la petizione per chiedere un’#EuropaSenzaGabbie: https://lav.endthecageage.eu/
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