Anni settanta, un forte partito comunista, L’Unità la sua voce quotidiana, molta stampa collaterale. A Napoli nasce la Voce della Campania, periodico d’informazione, giornalismo d’inchiesta. Si stampa a Salerno, nella tipografia del compagno Orazio Boccia. E chi è Orazio? Nasce da una famiglia di origini modeste, orfano di padre a 11 anni, lotta ogni giorno per la sopravvivenza, rinchiuso in un orfanotrofio detto “il serraglio”. Il riscatto: da piccolo artigiano, crea un impero nel mondo dell’industria grafica, le Arti Grafiche Boccia.
La Voce della Campania, testata fiancheggiatrice del Pci, la stampa lui, Orazio, con la passione della militanza e la qualità che gli consentirà di espandersi e diventare industria. Vincenzo, suo figlio, brucia le tappe della scalata al potere: è il nuovo presidente di Confindustria. Boccia junior esemplifica perfettamente la vocazione tutta italiana di saltare sul carro del vincitore, di sposare l’abiura di ideali e ideologie, di cancellare con un colpo di spugna significative storie personali a favore di stridenti incoerenze. Nella fase immediatamente post elettorale il figlio di cotanto padre è sembrato oppositore del grullismo, in combutta con la Lega. Nessuna meraviglia, per occupare il soglio di re degli industriali bisogna avere una folta peluria sul cuore. Morto un re, viva il re, ovvero la disponibilità ad assoggettarsi all’aria che tira, ovvero al potere. Il repentino mutamento di campo è da choc. Vincenzo Boccia applaude a Salvini, al decreto di economia e finanza, si dichiara apertamente a favore della Lega, anzi legisti, lui e i confindustriali (gesto mai verificatosi in Confindustria). Calenda, ex dell’esecutivo Gentiloni: “Mai un presidente aveva fatto un endorsement così a un partito politico. Vergognoso”. Sepolto dalle critiche Boccia fa marcia indietro. “Nessun appoggio alla Lega, nessun endorsement, anzi, una provocazione” (???).
Orazio, il padre, ieri era virtualmente nella piazza del Popolo a scandire con i settantamila “Unità, unità. Chissà se il messaggio ha raggiunto il figlio, impegnato a condividere limiti e difetti del decreto che rischia di disastrare il Paese.
Nel fondo di la Repubblica Stefano Cappellini esordisce con un nota che ha questo incipit: “Il Pci sembrava morto e invece, forse, era solo svenuto”. L’illusione di un brusco e salutare risveglio è alimenta dai toni a mille decibel di Martina, segretario tappabuchi dopo l’uscita dal palcoscenico di Renzi.
Nel migliore dei casi, l’exploit di chi ha risposto presente all’invito di piazza per puntare alla rifondazione della sinistra, non garantisce il ritorno all’ovile dei milioni di esondati dal Pd disillusi per la perdita d’identità di massa del partito. I combattivi slogan di ieri sono un’ottimistica dichiarazione d’intenti, ma velleitaria senza una scossa d’intensità tsunami e il superamento di dinastie di partito responsabili del disastro, da estromettere per favorire l’esordio di nuovi soggetti. Con tutto il rispetto dei settantamila per il grido “Unità, unità”, la dura realtà dei sondaggi vede crescere il consenso a Salvini, la stabilità dei grullini, e giacere nei posti di retroguardia i dem. Su tutti svetta Mattarella, con il suo monito “attenti ai conti pubblici”, seguito da Conte (che mattacchioni questi italiani!) che precede Salvini, Di Miao (miao non è un errore) e Gentiloni.
Per l’Incompiuto Di Miao lo spread va su (bruciati in un giorno venti miliardi) e la borsa presenta dati negativi per colpa della stampa e di molti complici di un complotto terroristico. Fosse così devasttante il nostro potere di giornalisti, Di Miaoe il Ce l’ho duro valpadano sarebbero ridotti a elemosinare il reddito di cittadinanza.
Frasi dal diario della politica. Dall’Europa (Germania), sul decreto: “Misure sciocche”. Altre. Pace fiscale?” Balle, è il solito condono”. I dem di piazza del Popolo: “Paura dei balconi, non dei barconi”. “Più cultura, meno paura”. Sulla maglietta di un manifestante “Noi siamo somma, non divisione” Martina: “Abbiamo capito la lezione”. Martina: “Governo nazionalista e di destra “Ladri di futuro”, “evasori condonati, giovani indebitati”.
Le più eclatanti si devono al super remunerato portavoce di Conte che esterna e si adopera perché i suoi tweet arrivino alle orecchie in agguato dei giornalisti. L’ultimo audio va collocato a ridosso della tragedia del ponte crollato di Genova, 43 morti). Casalino si lamentava delle molte telefonate dei cronisti: “Mi è saltato Ferragosto, anch’io ho diritto a due giorni” (di vacanza, ndr). Le opposizioni si chiedono: “Cosa si aspetta per mandarlo a casa? Renzi: “Vergogna”. Salvini: “No comment”.
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