Colaninno junior, al secolo Matteo, conta come il due di briscola nel Pd ? Non è in grado di esprimere un parere politico, o quella rarissima volta che riesce a farlo dice solo schiocchezze?
Ma chissenefrega, è già da 6 anni onorevole di palazzo Chigi, superstipendiato (senza fare una cosa che serva per la collettività, una di numero), eletto tra le fila del Pd nel 2013 e, ovviamente, riconfermato nell’ultima tornata di quest’anno, quella della maxi debacle.
Ma lui non muove un ciglio, è il bravo scolaro che la mattina impara a memoria un foglietto sul fatto del giorno, se gli capiterà mai qualche giornalista agli angoli del parlamento. E se no chissenegrega: tanto lo stipendio è sempre garantito.
IL DECOLLO DI COLANINNO SENIOR AD IVREA
E, soprattutto, a rimpinguare le casse provvedono le floride imprese di famiglia. Fu l’imprenditore letteralmente inventato da Massimo D’Alema, Colaninno senior, al secolo Roberto, un quasi signor nessuno dell’Olivetti griffata De Benedetti che improvvisamente diventò una star. Fu anche tra i protagonisti della super fallimentare impresa per risollevare Alitalia, soldi buttati al vento per un progetto che anche un cieco avrebbe subito visto avviarsi al crac.
Le new parlano di grandi successi, soprattutto all’estero, dopo un periodo con qualche nuvola. Repubblica Economia, come al solito genuflessa davanti ai Big e soprattutto a una certa ‘sinistra’ sic) d’impresa, dedica un paginone tutto rose e fiori al grande imprenditore che riesce a farsi strada da solo, nelle impervie vie dei mercati internazionali.
Torna quindi a splendere il sole sulla cassaforte di famiglia, Omniaholding, attraverso le ottime performance delle due sigle quotate a piazza Affari, Immsi e Piaggio.
E’ soprattutto l’indicatore dell’utile netto a lasciar sbalorditi: più 26,2 pr cento rispetto allo stesso periodo del 2017. Il segreto? Boh. Repubblica cerca di spiegarlo così.
Omniaholding ha diversificato in tre settori: navale, industriale e immobiliare. Sono i primi due – al contrario di quanto si possa pensare – a tirare i bilanci in netto rialzo.
Imbarchiamoci a bordo di Intermarine, cui ha dato una forte mano la supercomessa arrivata dalla Divisione difesa. Sfiora i 100 milioni ed è rappresentata da unità navali ordinate dalla Guardia di Finanza. Ma anche l’Asia – come vedremo poi più ampiamente – fa la sua parte, avendo commissionato una piattaforma navigante da 45 milioni di dollari. Non male.
Passiamo alla Divisione Fast Ferries& yatcht che è riuscita in un autentico miracolo, da vero Guinness dei primati: decuplicare le proprie vendite – avete letto bene – passando da valori da 2,1 milioni di imbarcazioni vendute a ben 12,2 milioni. Ma chi cavolo le avrà mai comprate? Come si spiega il prodigio? Anche stavolta c’è lo zampino dello Stato, una commessa della Marina Militare per due unità ad alta velocità. Così come un quarto di secolo fa erano i treni ad Alta Velocità a far impennare i bilanci aziendali, adesso ci sono anche i mezzi navali. Passano i tempi, cambiano le modalità.
Le cifre del mercato navale, del resto, parlano più chiaro che mai: il margine operativo è cresciuto anno dopo anno, passando da 2,6 a 20,5 milioni.
Eccoci finalmente alla storica Piaggio, un marchio che non tradisce mai e riesce sempre ad uscire da tutte le crisi. Stavolta è il mercato asiatico a tirare la volata, con cifre che parlano da sole.
In Cina, Piaggio ha firmato un accordo con il colosso cinese Foton per la produzione di veicoli leggeri a quattro ruote che verranno realizzati nei nostri stabilimenti di Pontedera. Il prodotto verrà lanciato sul mercato tra un paio d’anni, al massimo a fine 2020.
Forte incremento sul fronte del mercato indiano, addirittura più che triplicate le vendite con un eloquente 36,4 per cento di incremento nel 2018 rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente. Crescite anche nell’Area del Pacifico, con un aumento del 19 per cento.
Più contenuti quelli nei paesi occidentali, con un 15 per cento, cui però fa seguito un’impennata nel segmento scooter che fa segnare una crescita del 23,6 per cento.
Aumenti meno sensibili negli Stati Uniti, con un 13 per cento in più sempre nei primi tre mesi del 2018 rispetto a quelli del 2017. Comunque, tutte cifre ragguardevoli.
Meno positive quelle sul fronte mattonaro, dove sono impegnate tre sigle, Is Molas, Ism Investimenti e Pietra Ligure. La prima sta ultimando la realizzazione di un gruppo di villette in Sardegna, mentre la terza ha appena depositato nell’omonimo comune un progetto di urbanizzazione.
UN PASSATO SOTTO LO STELLONE DI D’ALEMA
Va comunque rammentato almeno qualche scampolo del burrascoso passato di Colaninno senior.
Nasce in CIR, sotto l’ombrello di Carlo De Benedetti, è uno dei cavalli su cui punta subito Massimo D’Alema. Tanto che nel 1996 diventa nientemeno che amministratore delegato di Olivetti. La sua sua gestione è del tutto fallimentare: riesce sì a vendere le attività in perdita, ma non riesce nell’operazione di risanamento E vende anche Omnitel, all’epoca il secondo gestore di telefonia in Italia che poi passerà sotto il controllo di Vodafone.
Nel 1999 decide il grande lancio: via all’OPA su Telecom Italia, lui a bordo di IMMSI, gli altri amici imprenditori radunati sotto l’ombrello di HOPA e capitanati dal bresciano Emilio Gnutti, protagonista di altre acrobazie finanziarie. E’ la più grossa operazione finanziaria italiana fino a quel momento mai effettuata nel ramo del “leveraged buyout”: cioè compro qualcosa senza aver investito un soldo, fidando tutto nel mercato e sulle banche amiche. Anni prima fece un’operazione analoga il palazzinaro romano Alfio Marchini, che così riuscì ad assicurarsi senza sborsare una lira la storica Società per il Risanamento di Napoli: ed anche allora ci fu uno sponsor politico d’eccezione, il solito Massimo D’Alema.
Nel frattempo, però, l’indebitamento di Olivetti e Telecom cresce. Nel 2001 Colaninno si dimette perchè in contrasto con uno dei soci, Bell: il conflitto ha un motivo ben preciso, se vendere o non vendere Telecom a Marco Tronchetti Provera. Colaninno non è d’accordo e lascia la sua poltrona.
E Telecom, nel suo futuro, continuerà a trascinarsi una non indifferente palla al piede, i 38 miliardi di debito comulati sotto la gestione di Mago Colaninno.
Il quale, però, non ha problemi di liquidità per sé e i suoi cari, tanto meno per il futuro della dinasty. L’Olivetti non manca certo di generosità: su un piatto d’argento gli offre la liquidazione da 17 miliardi e mezzo di euro, e in aggiunta acquista le azioni che lo stesso Colaninno possedeva ad un “prezzo molto alto”. Ammette Colaninno: “La circostanza, devo ammetterlo, mi ha reso molto ricco”.
Non basta. Perchè Colaninno avvia un contenzioso sul fronte Telecom, con i vecchi soci come Gnutti & C.. E anche stavolta fa Bingo, perchè viene premiato con una transazione da 10 milioni di euro.
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