Rush finale alla procura di Torino. Entro un paio di settimane il pm Marco Gianoglio scioglierà la riserva sul maxi caso Unipol-Sai, che va ormai avanti da quasi quattro anni. A fine giugno, infatti, deciderà se archiviare il fascicolo oppure notificare agli imputati l’avviso di “chiusura indagini”, il passo preliminare che poi porta alla richiesta di rinvio a giudizio.
I rumors che filtrano da palazzo di giustizia sono decisamente a favore della richiesta di rinvio, vista la mole di elementi probatori e la massa di documenti raccolti da Gianoglio in questi anni (compresi due anni e mezzo di intercettazioni telefoniche, dal 2014 a metà 2016), e vista anche la ponderosa perizia redatta da due consulenti tecnici, Enrico Stati e Fabrizio Dezani, protrattasi per quasi due anni e da un paio di mesi al vaglio del pm.
Pesante il capo d’accusa – aggiotaggio – a carico del numero uno di Unipol-Sai, Carlo Cimbri, e di una decina di altri indagati, tra i quali Roberto Giay, all’epoca amministratore delegato di Premafin Finanziaria; Fabio Cerchiai, ex presidente del consiglio d’amministrazione di Milano Assicurazioni (la controllata di Fondiaria Sai), Vanes Galanti, ex vertice del cda di Unipol Assicurazioni.
Al centro dell’inchiesta la più che sospetta fusione tra l’allora colosso delle polizze che faceva capo alla famiglia Ligresti e la rampante compagnia rossa (sic): un’operazione da Guinness dei primati visto che le dimensioni di Fondiaria Sai erano di 5 volte maggiori rispetto ad Unipol: come se una rana inghiottisse una gallina.
In quel frangente il gruppo Ligresti navigava in cattive acque, con un forte indebitamento verso le banche. E forse proprio per questo i colossi del credito, a cominciare da Mediobanca passando per Unicredit, hanno visto di buon occhio il matrimonio.
Ma sotto la lente degli inquirenti sono finiti tutti i momenti del complesso e ‘pericoloso’ passaggio. Il perno sul quale si basano le ipotesi accusatorie è quello di “aver falsato il valore di concambio delle azioni a favore di Unipol”, in questo modo alterando pesantemente il mercato e ingannato chi investiva in Borsa.
A questo punto i riflettori si accendono anche sulle banche che hanno chiuso gli occhi, ma soprattutto su coloro i quali sono istituzionalmente preposti a vigilare sulla trasparenza di simili manovre, Consb e Isvap, ossia gli organismi creati apposta per accendere i riflettori sulle operazioni in campo finanziario e assicurativo. Sia Consob che Isvap, invece, hanno dormito sonni più che profondi.
Commenta un avvocato torinese: “Se si apriranno le porte del processo, dopo la richiesta di rinvio a giudizio e l’accoglimento da parte del gup, ne vedremo delle belle, con un dibattimento al quale prenderà parte la crema dei banchieri e dei cosiddetti controllori. Forse anche qualche politico. Si preannuncia un autunno di fuoco”.
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