Dieci anni dalla morte del cardiochirurgo Carlo Marcelletti. Un giallo mai risolto, l’ennesimo buco nero nella martoriata storia del nostro Paese.
“Arresto cardiaco”, fu il referto ufficiale. Difficile dar torto, visto che ogni mortale termina i suoi giorni per un arresto cardiaco.
Tutto ok per la procura di Roma, che archiviò in pochi giorni il caso, rubricandolo come ‘suicidio’. Per l’assunzione – veniva assicurato – di una forte dose di digitale: chi meglio di lui poteva conoscere bene il modo per togliersi la vita?
Detto fatto, la procura calò subito il sipario. Poi l’oblio.
Le cose, invece, non andarono proprio così. Non mancano, ancor oggi, pesanti sospetti di una ‘forzata’ assunzione di digitale, vale a dire un omicidio in piena regola. Commenta un avvocato romano: “Lo stesso copione che fa da sfondo alla vicenda del campione di ciclismo Marco Pantani. Fu costretto ad inghiottire un grossa dose di polvere bianca, un pallina di pane e coca, che gli provocò evidentemente un arresto cardiaco. Anche allora una procura, quella di Forlì, ha archiviato la pratica come ‘suicidio’ e la Cassazione ha confermato. Ma in entrambi i casi c’erano abbondanti elementi per corroborare la pista del suicidio forzato, ovvero dell’omicidio”.
Nella vicenda di Pantani c’era il concreto timore di ciò che avrebbe potuto rivelare su quel Giro d’Italia del 1999 taroccato dalla camorra, la quale aveva scommesso miliardi di lire sulla sua sconfitta: c’è ancora un brandello d’inchiesta alla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, ma speranze ridottissime per far luce sulla combine.
Nel giallo Marcelletti esisteva il concreto timore che potesse far luce sugli affari mafiosi nel ricco panorama della sanità in Sicilia. Stava infatti completando un libro-denuncia sulle palate da milioni di euro controllati dai colletti bianchi (e spesso in camice bianco) e i clan mafiosi: anche il cronista napoletano Giancarlo Siani, prima d’essere ammazzato, stava per pubblicare un libro choc sulle connection politica-camorra-imprese. Un pericolo pubblico, dunque, Marcelletti, perchè avrebbe potuto svelare trame, affari & connection in quello sporco mondo.
Rammentiamo, en passant, una cover story della Voce fine anni ’90 su “Mafia, Medici, Massoni”, ambientata proprio nelle ovattate stanze dorate della sanità siciliana.
Forse non è bastata la macchina del fango per eliminare un uomo ‘pericoloso’ come Marcelletti: visto che era stato messo sotto accusa dalla procura di Palermo per mazzette da poche migliaia di euro incassate – secondo le ipotesi accusatorie – per accelerare operazioni dei sui piccoli pazienti.
E non era bastata, quell’accusa, per stroncarne la resistenza. E neanche un’altra a base di pedofilia, per via d’un paio di messaggini con la figlia di una sua assistita.
Tanto sarebbe stato sufficiente per fermare il cuore di un toro. Ma lui aveva resistito per mesi, respinto le accuse ed era passato al contrattacco. Cominciando a denunciare chi aveva cercato di delegittimarlo e intanto continuava a razzolare pacioso nei ricchi pascoli della sanità collusa con le cosche.
Per questo “doveva morire”.
E arrivò cadavere all’ospedale San Carlo di Nancy a Roma. Lo avevano trovato morto per strada. A quanto pare dopo atroci dolori, provocati da una dose letale di digitale.
Possibile che un esperto del suo rango abbia potuto mai organizzarsi una fine tanto penosa? Poco credibile. Eppure la procura di Roma ha subito abboccato ed ha archiviato il caso senza muovere un dito.
Quando si dice il porto delle nebbie…
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27 ottobre 2015
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