La svendita di Gramsci tra lampadari e bottiglie di vino. E’ il malinconico destino dell’Unità, che fra tra pochi giorni va all’asta per i debiti cumulati nelle ultime, fallimentari gestioni.
La prima tornata per l’aggiudicazione si apre infatti il 21 e prosegue fino al 24 maggio, come ha deciso la terza sezione civile del tribunale di Roma. Il prezzo base d’asta è stato fissato in 300 mila euro: tanto è stato valutata la testata da un consulente tecnico d’ufficio nominato dal tribunale. Nel prezzo non è compreso l’archivio, di gran valore non solo giornalistico, ma anche storico e culturale: resta di proprietà – chissà come e perchè – dei Pessina, il gruppo che a metà 2015 aveva rilevato il quotidiano, sotto il vigile controllo di Matteo Renzi.
Solo due anni di vita, per l’Unità, e di lavoro per una trentina tra giornalisti e poligrafici. Poi la chiusura a giugno dello scorso anno. In seguito, la consueta sequela di carte bollate e istanze: non avendo ottenuto gli ultimi stipendi e la liquidazione, i dipendenti hanno attivato decreti ingiuntivi, quindi chiesto e ottenuto, lo scorso Natale, il pignoramento della testata. Fino all’udienza del 18 aprile, in cui la terza sezione ha deciso la messa all’asta, ordinando nel contempo la perizia per la valutazione, arrivata il 7 maggio. Quindi la rituale pubblicazione a cura dell’Istituto vendite giudiziarie di Roma, sul cui sito fa capolino, tra videocamere, lampadari, bottiglie di vino e una vecchia berlina a soli 2 mila euro, anche la testata fondata da Antonio Gramsci.
Hanno annunciato di voler evitare la procedura, i Pessina: “nella giornata di ieri (il 10 maggio, ndr), in accoglimento dell’istanza depositata da Unità srl, sono state convocate le parti per la settimana prossima quando verrà esaminata la richiesta, già avanzata nei giorni scorsi, di sospensione della procedura di vendita della testata e definizione del contenzioso”.
Fumo negli occhi o cosa?
Tecnicamente l’eventuale procedura attivabile in corner si definisce “istanza di conversione dell’asta”. La normativa, infatti, stabilisce che il debitore possa chiedere la sospensione della procedura esecutiva se versa una cauzione pari al 20 per cento del totale del suo debito, e rateizza la restante parte spalmandola su un massimo di 36 mesi. A questo punto, se poi anche una sola rata non viene versata nei tempi e nei modi previsti, il debitore perde la cauzione e automaticamente tutto ritorna come prima, cioè l’asta riprende il suo corso.
Ma c’è un punto: il 7 giugno la testata decade, se non viene pubblicato un numero del quotidiano, come prevede la normativa sulla stampa (una pubblicazione deve uscire almeno una volta all’anno perchè non si perda il diritto alla testata). Questa “variabile” complica il tutto: sia l’accoglimento dell’istanza dei Pessina (potrebbero decidere di perdere la caparra, fare un numero per evitare l’asta e prender tempo), sia le possibili volontà degli acquirenti. Ma soprattutto può implicare una ulteriore penalizzazione per il valore della testata e difficoltà ancor più grosse per i dipendenti di rientrare nelle loro spettanze e di tutti i creditori (fornitori, banche eccetera).
E resta soprattutto la pena di vedere come è stata ridotta a brandelli dai lanzichenecchi renziani quella mitica Unità di Gramsci.
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20 dicembre 2017
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