DOPING / UNO STUDIO OLANDESE ATTACCA IL “METODO WADA”

Uno studio di alcuni ricercatori olandesi pubblicato sull’autorevole British Journal of Clinical Pharmacology mette in dubbio la validità dei metodi di controllo adottati dalla Wada, la potente agenzia internazionale antidoping.

In particolare, l’equipe guidata dal professor Jules Heuberger della Leiden University ha effettuato una serie di ricerche sugli effetti del “salbutamolo”, la sostanza che ha portato alla condanna, decisa dalla Wada, del campione di ciclismo Chris Froome. Per interdersi, il salbutamolo è contenuto nel Ventolin, il noto farmaco che molti prendono per dispnee e lievi forme asmatiche. 

Eloquente il titolo dell’articolo pubblicato dalla rivista britannica, “Inefficacia dell’attuale controllo antidoping sul salbutamolo”. 

Ecco cosa dichiara Heuberger: “Sgomberiamo subito il campo da fraintendimenti, il nostro è uno studio indipendente, non abbiamo mai avuto a che fare con Froome e i suoi avvocati. Semplicemente, partendo dalla notizia della positività del ciclista, ci siamo interrogati sull’efficacia del metodo utilizzato dalla Wada”.

Continua il ricercatore olandese: “Ebbene, abbiamo vagliato mille profili di atleti e fatto esperimenti di laboratorio su cani per capire il comportamento del salbutamolo entro un’ora dall’assunzione, e in una significativa percentuale dei casi ci siamo trovati di fronte a positivi che non lo erano. Abbiamo dimostrato scientificamente che la procedura utilizzata per rintracciare la sostanza non è affidabile e non dà la certezza assoluta che l’uso del Ventolin sia stato finalizzato a migliorare le prestazioni”. Più chiari di così…

Alex Schwazer

Commenta uno scienziato italiano che si occupa di sostanze dopanti: “Colleghi inglesi mi ha riferito dello studio, dal quale emerge che i metodi utilizzati dalla Wada non portano ad alcuna certezza, ma sono del tutto aleatori. In questo caso, infatti, nel 15 per cento dei casi analizzati, l’uso di salbutamolo entro i limiti consentiti produce nelle urine una forte concentrazione della stessa sostanza: ciò può portare evidentemente a dei risultati falsati. Questo si verifica in presenza di altri fattori, come stress, forte sforzo fisico, scarsa idratazione”.

Il team legale di Froome, del resto, punta proprio a dimostrare la scarsa attendibilità dei metodi di ricerca adottati da Wada. E lo studio olandese può contribuire non poco a corroborare la linea difensiva del campione britannico, e di attacco, appunto, al colosso Wada. 

Una Wada che si mostra assai poco propensa a veder messi in discussione i suoi “metodi”. Lo dimostra tutta la vicenda di Alex Schwazer, che ha avuto il coraggio, nel corso di un’udienza del processo che si svolse a Bolzano, di accendere i riflettori sui metodi utilizzati sia dalla Wada che dalla Iaaf, la federazione internazionale di atletica. E guarda caso, a 15 giorni esatti da quella verbalizzazione, il 1 gennaio 2016, venne effettuato il famigerato prelievo di urine oggi al centro della super perizia da parte del Ris di Parma, con una conclusione attesa a giorni. Nel mezzo, una lunghissima battaglia legale che solo pochi mesi fa ha portato alla consegna del campione di urine da parte del laboratorio di Colonia, accreditato dalla Wada.

Sorge spontanea la domanda. E se venisse fatto uno studio a più ampio spettro, andando oltre il salbutamolo, cosa potrebbe saltar fuori? Quale ‘diagnosi’ potrebbe scaturire sui ‘metodi Wada’?

 

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