Il vizietto delle compagnie di assicurazioni di camuffare spacciando per polizze vita, (la “polizza” è l’investimento che fa assumere alla compagnia l’assunzione del rischio di performance e la protezione del capitale), rischiosi prodotti finanziari di investimenti ordinari, che non garantiscono la restituzione del capitale “investito”, è stato scoperto e smontato dalla Suprema Corte di Cassazione con la sentenza 10333/2018 (pubblicata il 30 aprile 2018), a conferma di una pronuncia della Corte di Appello di Milano.
Ne dà notizia l’avvocato Antonio Tanza, presidente ADUSBEF.
La differenza tra polizze assicurative e contratti di investimento sta nella salvaguardia dell’integrità del capitale investito, che non può essere messo a rischio ed addossato all’investitore: se viene a mancare la garanzia della conservazione del capitale alla scadenza, il prodotto oggetto dell’intermediazione – dice la Cassazione – deve essere considerato un vero e proprio investimento finanziario da parte degli assicurati e non una polizza assicurativa sulla vita.
La Suprema Corte, richiamando la sentenza 6061/2012, con la sentenza 10333/2018 ha stabilito che, al di là del nome che le viene dato, la polizza assicurativa sulla vita, deve essere identificata come quella in cui il rischio dell’assicurato – cioè l’evento relativo alla sua esistenza – è assunto dall’assicuratore, mentre si tratta di un contratto di investimento finanziario quando il rischio di performance viene completamento assunto dall’assicurato.
Richiamando le comunicazioni Consob (DI/98086703 del 4 novembre 1998 e DIN/6022348 del 10 marzo 2006) relative alla possibilità per le società fiduciarie, alle quali è consentito, come previsto dalla legge n.1966 del 1939, di rendersi intestatarie di contratti di investimento e di contratti di negoziazione e raccolta ordini per conto dei propri fiducianti, Cassazione ha ribadito che l’intermediario è obbligato a fornire con chiarezza, tutte le informazioni adeguate sulla natura, i rischi e le implicazioni delle operazioni o del servizio la cui conoscenza è necessaria per effettuare consapevoli scelte d’investimento o disinvestimento.
La segnalazione dell’eventuale inadeguatezza dell’operazione deve essere indirizzata al cliente-fiduciante, la cui omessa informativa al cliente comporta la risoluzione del contratto con l’assicurazione, con la restituzione del capitale versato e il relativo risarcimento dei danni.
Poiché lo scorso anno i premi raccolti tramite polizze di ramo III sono stati di circa 28 miliardi di euro, in crescita del 33% sul 2016, contro un calo del 18% per le polizze tradizionali (cosiddetto ramo I) a 50 miliardi di euro, moltissimi assicurati che hanno subito perdite potenziali, o coloro che hanno polizze in scadenza, hanno l’opportunità – con l’assistenza legale di Adusbef- di impugnare i contratti e pretendere la restituzione del capitale integrale oltre ad un congruo risarcimento dei danni.
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