Agente provocatore, il mondo della giustizia si spacca a metà. O quasi. Toghe divise sull’utilizzo dell’infiltrato ‘speciale’ per le inchieste della magistratura e, ovviamente, ancor di più per quelle portate avanti dai media. Serve o no? E’ legale o no? Quali i confini da non oltrepassare?
Il primo utilizzo che ne venne fatto dalla procura di Napoli vent’anni per accendere i riflettori sui lavori dell’Alta velocità, comunque, fu un vero flop: non solo perchè non fu incastrato alcun politico, ma perchè vennero inizialmente indagate persone che non solo non c’entravano niente con quel gigantesco malaffare, ma addirittura lo avevano denunciato.
IL GRANDE AFFARE DELL’ALTA VELOCITA’
Cominciamo proprio procedendo a ritroso, tornando a quella storia andata in scena (o in drammatica sceneggiata) alla procura partenopea. Protagonista il pool anticamorra, nel quale primeggiavano le figure di Federico Cafiero de Raho, oggi al vertice della Direzione Nazionale Antimafia, e Paolo Mancuso, allora alla guida di quel pool e da alcuni anni al timone di una delle procure di frontiera nel contrasto alla camorra, quella di Nola, un tempo feudo del super clan Alfieri.
C’erano già avvisaglie sul fronte dei lavori per l’alta velocità, il grande affare degli anni ’90 sul quale – come la Voce ha più volte documentato – per primi avevano indagato Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, forse in questo modo sacrificando le loro vite. Storie di mega riciclaggi, di patti tra imprese private ma anche pubbliche con quelle di mafia, accordi miliardari, appalti e subappalti che più sporchi non si può, fiumi di danari pubblici: si comincerà con 27 mila miliardi di vecchie lire per oltrepassare quota 150 mila a fine anni ’90 e oggi non si tiene più il conto.
Il pool anticamorra partenopeo vuol vederci chiaro. E così pensa bene di utilizzare, come strumento operativo, un ‘agente provocatore’, un infiltrato. La scelta cade su un ufficiale del Ros dei carabinieri, all’epoca guidato dal colonnello Mario Mori, che sarà poi processato (uscendone immacolato) per la mancata perquisizione del covo di Totò Riina e l’altrettanto rocambolesca mancata cattura di Bernardo Provenzano: si tratta del tenente colonnello Vincenzo Varricchio, che per l’occasione – e cioè l’indagine sulla Tav – si traveste da imprenditore a caccia di appalti.
Proprio come oggi fa l’agente speciale Nunzio Perrella.
Ricostruisce quella vicenda Mancuso, intervistato da Repubblica (che chiama lo 007 Vincenzo Paticchio, e non Varricchio): “noi ci avvalemmo di un ufficiale dei carabinieri e agivamo sulla base di reati che erano già stati commessi, l’associazione camorristica e le estorsioni ai cantieri. Per questo la Cassazione accolse la definizione di ‘agente sotto copertura’, non di infiltrato. Varricchio fu molto coraggioso e lo fummo anche noi, ci muovevamo su un terreno non battuto, era come camminare sulle sabbie mobili”.
Un percorso pericoloso, un thriller in piena regola. Anche corse in auto e incidenti simulati, da perfetto copione americano. Ma il risultato finale è ok solo a metà: alcune condanne di camorristi ma i politici, come al solito, assolti da ogni imputazione.
DERAGLIAMENTI PERICOLOSI
Gli strascichi, però, non mancano. Un caso su tutti. Quello di Ferdinando Imposimato, il magistrato-coraggio antiterrorismo e antimafia che viene addirittura indagato. Gli inquirenti puntano i riflettori su presunte amicizie con esponenti delle cooperative rosse, a loro volta in presunti rapporti con esponenti dei clan. Atroci sospetti e pesanti schizzi di fango. Una immenso dolore, in quei mesi, per chi, esattamente al contrario, dava la sua vita per la lotta a tutte le illegalità e a tutte le mafie: come testimonia il libro scritto qualche anno dopo, nel 1999, con Sandro Provvisionato, sull’affaire della Tav, “Corruzione ad alta velocità”.
Ai confini della realtà: indagato chi indagava sulle connection camorra-imprese-politica!
Oggi Cafiero de Raho, da pochi mesi numero uno della DNA, non ha peli sulla lingua nel denunciare l’uso a suo parere del tutto distorto, anzi quasi illegale, dell’agente provocatore Perrella nella monnezza story denunciata da Fanpage. “L’agente provocatore appartiene il più delle volte alle forze dell’ordine e svolge un’attività investigativa. Nel caso De Luca e dell’inchiesta Fanpage – sottolinea de Raho – non parlerei però di agente provocatore, qui si va molto in là, si finisce per deviare totalmente l’acquisizione corretta di un elemento investigativo: nel caso di Fanpage si tratta quasi di un’azione fraudolenta”.
Di diverso avviso il suo predecessore al vertice della Dna, Franco Roberti e soprattutto la toga ovunque, Piercamillo Davigo, ex ‘mente’ del pool di Mani pulite, ex numero uno dell’Associazione nazionale magistrati e oggi presidente di sezione alla Cassazione. “Di Napoli non parlo – proclama – perchè l’inchiesta è ancora in corso. Ma sulle operazioni sotto copertura non ho dubbi. Se l’Italia vuole uscire dalla corruzione deve ammetterle anche per questi reati”. Vale a dire non solo per le indagini sui traffici di stupefacenti, ma anche per reati di corruzione e turbativa d’asta.
E per chi non ha capito precisa: “per combattere seriamente la corruzione servono due cose: le operazioni sotto copertura e un diritto premiale forte, cioè riduzioni di pena per chi collabora, arrivo a dire fino all’impunità. Perchè chi collabora realmente diventa onesto per necessità”.
Anche novello Freud, Davigo.
LA CREDIBILITA’ DELL’INVIATO SPECIALE
E allora vediamo lo spessore del nostro ‘infiltrato speciale’, l’attendibilità e la credibilità dell’ex camorrista che ha fatto la sua fortuna con i traffici di monnezza: Nunzio Perrella.
Ecco le sue parole: “Ho proposto allo Stato di infiltrarmi di nuovo nell’ambiente. Nessuno mi ha voluto aiutare”. Un mancato eroe.
Vediamo cosa dice il 13 settembre 2017 davanti alla Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti Sandro Raimondi, per anni procuratore aggiunto a Brescia (e autore di svariate inchieste proprio sui traffici di rifiuti) e ora procuratore a Trento: “Gli accertamenti fatti sulle sue parole non hanno dato esito nel senso della credibilità del medesimo”. La Commissione, infatti, l’anno scorso voleva verificare il tasso di attendibilità del super esperto di traffici, visto che tanto smaniava per ‘collaborare’ con la giustizia.
Aggiunge Raimondi su Perrella: “non ha mai fornito elementi validi perchè possano essere giustificate spese processuali, di mezzi e di tempo”. Chiaro?
Aggiunge un altro magistrato, Roberto Pennisi, coordinatore della sezione sui reati ambientali alla Direzione Nazionale Antimafia: “Condivido in pieno il giudizio di Raimondi. E alla luce di queste ultime vicende campane, mi sembra ancora più fondato. Mi sono bastati cinque minuti per capirlo: una raccolta di fake news”. Più espliciti di così.
E ancora. Alessandro Bratti, ex presidente della Commissione sul ciclo dei rifiuti e oggi al vertice dell’Ispra, commenta a proposito dell’infiltrato Perrella: “Avevo detto che lo avremmo ascoltato, ma prima mi doveva dare delle indicazioni precise: non sono mai arrivate”. E aggiunge: “su di lui risultanze negative. Nè ha mai fornito indicazioni su personaggi, luoghi, circostanze. E fece anche degli errori, Perrella: perchè ad esempio parlò di cantieri sulla Bre.be.mi (la bretella autostradale Brescia-Bergamo-Milano, ndr) prima ancora che fossero stati aperti”.
Viene citato un altro episodio emblematico. “Durante un interrogatorio viene chiesto a Perrella: vuole diventare un collaboratore di giusitizia? Dopo di che gli furono sommariamente illustrate le condizioni. E lui rispose: ‘no, assolutamente no, per carità’”.
Meglio fare l’infiltrato speciale.
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