Parte con un piccolo deposito di medicine a Napoli e diventa il numero uno al mondo per la commercializzazione e vendita di farmaci, inghiottendo, uno dopo l’altro, i big del settore. E ora mette a segno l’ultimo colpo inglobando il colosso Usa AmerisourceBergen, lasciando a bocca aperta tutti gli operatori di Wall street. Ma quale segreto ci sarà mai nelle prodezze globali di mister Stefano Pessina, pescarese di nascita, partenopeo di adozione, monegasco per la residenza e ormai americanizzato per le sue acrobatiche e colossali imprese?
PESSINA CONTRO I COLOSSI, A PARTIRE DA AMAZON
Imprese tanto mirabolanti da allertare non solo il rivale storico, primo nel States ma secondo nel mondo dopo la Walgreens targata Pessina, e cioè il gruppo CSV Health, ma addirittura capace di far germogliare una possibile intesa fra tre pezzi da novanta dell’economia a stelle e strisce, a quanto pare decisi a entrare nel business della straricca distribuzione di pillone e non solo: stiamo parlando di Jeff Bezos a bordo di Amazon, del mega investitore Warren Buffett e di Jamie Dimon al timone della banca d’affari Jp Morgan: pronti a una storica partnership per fronteggiare l’inarrestabile Pessina.
Amazon, dal canto suo, si sta già muovendo, con una fitta rete di contatti per possibili grossi accordi con alcuni produttori di farmaci generici, come la divisione svizzera di Novartis (ossia Sandoz) e la statunitense Mylan. E, soprattutto, con l’accordo già trovato con la Berkshire Hathway dello stesso Buffett che ha fatto commentare quest’ultimo: “i costi enormi della sanità agiscono come un verme solitario affamato sull’economia americana”.
Ma il nostro Pessina già prevede: “credo che Bezos non metterà piede in un un’industria così complicata come la nostra, penso che alla fine userà la sua tecnologia in modo diverso”. Incredibile ma vero: l’ex titolare di una farmacia a Chiavari con la socia e compagna (nella vita) Ornella Barra, mette ora tutti in riga e “avverte” l’uomo più ricco del mondo, il numero uno che ha scavalcato anche Bill Gates, proprio Jeff Bezos.
Miracoli di un prodigioso San Gennaro sbarcato negli Usa?
Un inarrestabile shopping internazionale, quello messo a segno dalla invincibile coppia Pessina-Barra negli ultimi anni. Il primo magic moment è nel 2007, con l’acquisto della storica catena britannica Boots, incorporata nella loro Alliance, 22 miliardi di dollari il costo. Poi la maxi incorporazione della altrettanto storica catena a stelle e strisce, Walgreens, e al seguito gli 8000 negozi e punti commerciali sparsi in tutti gli States: d’ora in poi la corazzata si chiamerà Walgreens Boots Alliance, ramificata in undici paesi del mondo e in fase di penetrazione spinta nello sterminato mercato cinese, dopo aver stipulato un accordo con la Najing Pharmaceutical. Ma il costo di quella maxi operazione rimarrà sempre coperto dalla ‘privacy’: un fitto mistero a tantissimi zeri.
L’ULTIMA CONQUISTA
Cosa significa, ora, l’operazione AmerisourceBergen? Walgreens ne possedeva già il 26 per cento e ora ne ha acquistata un’altra consistente fetta. Di quali proporzioni? Anche stavolta un mistero.
Sentono puzza di bruciato non pochi operatori di Wall strett. “Non hanno paura di varcate certi confini”, è un commento raccolto da CNBC. “Una fusione molto inusuale (“unusual” nel testo, ndr), secondo gli esperti, ma Pessina e i suoi amano le situazioni complesse”. Secondo altri analisti si tratterebbe di un passo più lungo della gamba, e in particolare capace di irritare la suscettibilità di Jeff Bezos che, come visto, sta facendo il suo ingresso nel mercato dorato della distribuzione farmaceutica, tanto per aggiungere una perla al suo impero.
Da noi suona la fanfara Repubblica, che al Re in pillole di casa nostra dedica una fitta pagina nell’ultimo numero di Economia e Finanza firmato da Alberto Flores d’Arcais, che così pennella: “Una mossa, quella di Pessina, che sembra aver convinto gli operatori di Wall street”, anche se, come visto, sembra proprio il contrario.
Così prosegue: “L’imprenditore italiano-monegasco ha del resto dato ampie prove di affidabilità in passato (sia recente che più remoto)”. Sarebbe interessante conoscere quali, dal fiducioso corrispondente di Repubblica da New York, che va avanti nel suo rassicurante quadretto a stelle e strisce: “Oggi settantaseienne, l’ingegnere nucleare abruzzese è riuscito a trasformare un distributore locale di farmaci in uno dei giganti mondiali del settore”.
E sull’ultima conquista: “AmerisourceBergen ha una capitalizzazione di mercato di 19,6 miliardi di dollari (quella di Walgreens è di quasi 68 miliardi) e l’acquisizione potrebbe consentire a Pessina non solo di migliorare la redditività del gruppo ma soprattutto di metterlo al riparo dai nuovi rischi di un settore – come quello della sanità – sempre più competitivo. AmerisourceBergen – continua Alberto Flores d’Arcais – è uno dei maggiori distributori di farmaci negli Stati Uniti e gode di ottima salute; nell’anno fiscale ha avuto profitti per 364,5 milioni di dollari su un giro d’affari di 153 miliardi”.
Ma come nasce tanta ricchezza e tanto smisurato potere? Se lo chiedevano, tanti anni fa, i suoi concorrenti italiani e la domanda si rincorreva, fin dai primi anni ’90, tra operatori del settore e non pochi farmacisti. Il nodo – un po’ come nel caso di Silvio Berlusconi, un poveraccio al confronto di mister Pessina – è sempre negli esordi, nel propellente inziale, nel capitale di partenza. Da dove è mai arrivato?
COME NASCE LA RICCHEZZA
E’ di settembre 1992 un’inchiesta della Voce che ricostruiva quei primi passi. Così spiegava un distributore trentino, Palo Bertoldi, titolare della Unifarm: “occorre un grosso impegno di soldi per sfondare. Le scorte di magazzino, per un’azienda di medie dimensioni, non possono essere al di sotto dei 20 miliardi di lire”.
Un interrogativo simile se lo poneva la rivista specializzata “Tema Farmacia” che cercava di scoprire i segreti del suo successo e poneva la domanda proprio all’allora rampante ingegnere: “i farmacisti spesso si chiedono dove lei abbia preso i soldi per creare tutto questo. I benevoli parlano di crediti agevolati, i più malevoli addirittura di capitali di provenienza illecita. Qualcuno è anche convinto che lei sia un’emanazione di Farmindustria. Cosa ci dice?”.
E lui, l’emergente star, commentava: “si è parlato molto di ciò e si sono dette le più grandi sciocchezze. I capitali che servono – iniziava la lezioncina di economia – sono soprattutto quelli di giro: dobbiamo finanziare le forniture ai clienti, tutti seri e solidi. Quindi non c’è nessuna difficoltà a smobilizzare, a cedere i crediti vantati nei loro confronti e ciò alimenta l’espansione: anzi, più fatturiamo più disponibilità abbiamo”. Elementare, Watson, scriveva la Voce.
E nella nostra inchiesta dettagliavamo i primissimi passi e i partner di allora. Star a Napoli, con un deposito di farmaci e l’amicizia con due piccole dinasty di farmacisti, i Prototipo e i Cozzolino (tra i bip partenopei anche oggi, questi ultimi).
Ma è soprattutto con la famiglia catanese degli Zappalà che gli affari allora decollano: una famiglia, quella dei Zappalà, la quale avendo messo su una grossa fortuna con mattoni, calcestruzzo, immobiliari e finanziarie – una ventina di dinamiche sigle – decide un bel giorno di diversificare con le pillole.
Rilevano quindi una società, la SAFARM, in buona salute – all’epoca terza in Italia sul fronte della distribuzione intermedia farmaceutica – e al quarantenne Pessina affidano una piccola quota societaria e la consulenza per una ristrutturazione e un ulteriore lancio di Safarm in Italia.
Quello il trampolino che porterà mister Pessina a diventare il re delle pillole negli Stati Uniti e nel mondo. Ma chi era Cristoforo Colombo?
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