Quando la politica calpesta regole & leggi, trasparenza & sentenze. Un esempio lampante arriva fresco fresco dalla Campania, dove la Regione ha deciso di ostacolare in tutti i modi la nomina legittima del Difensore civico, fregandosene di tre sentenze precedenti del Consiglio di Stato.
Una vicenda che la Voce ha più volte dettagliato (potete leggere i link in basso), una sceneggiata recitata ormai da 6 anni, che hanno visto altrettante (6) sentenze del Tar e del Conislgio di Stato rimaste lettera morta. Perchè la Campania è cosa nostra, la nostra politica detta legge e le leggi – quelle vere – le rispediamo al mittente. Buttando nella monnezza, è il caso di dirlo, meriti, competenze e tutto quanto dovrebbe caratterizzare una sana amministrazione della cosa pubblica.
Andiamo subito all’ultimo atto. Dopo il blitz di una decina di giorni fa che ha ri-nominato Difensore civico il già bocciato (dalle sentenze) Francesco Eriberto D’Ippolito, ora la decisione finale spetta ancora una volta al Consiglio di Stato, chiamato ad esprimersi il 22 febbraio su una serie di ricorsi e controricorsi. Era già stata molto chiara, del resto, la sentenza dello stesso Consiglio di appena due mesi e mezzo fa, 5 dicembre 2017, che, sulla base del pregresso, aveva imposto alla Regione la valutazione del curriculum di Giuseppe Fortunato e, all’esito favorevole nominare Giuseppe Fortunato, pena l’invio di un commissario ad acta per provvedervi.
Ma qual è l’ultima linea difensiva messa in campo dal Consiglio regionale? La possiamo leggere in un documento appena redatto dalla Direzione generale, Ufficio Attività legislativa, inviato al Consiglio di Stato in vista dell’udienza del 22 febbraio.
Balza in tutta evidenza – attraverso il documento – l’arroganza della politica, che travalica ogni argine. In merito all’ultimo voto dell’assemblea regionale, viene rimarcato che “la maggioranza qualificata e il voto segreto confermano la natura fiduciaria del rapporto. Ciò pone in evidenza che la nomina costituisce un atto latamente politico dell’intera Assemblea”.
Hanno la faccia tosta – quel blitz immotivato che neanche esiste nelle dittature centroamericane – di chiamarlo come “espressione latamente politica”!
Ancora: “L’atto di nomina non è sindacabile, se non sotto il profilo dell’irrazionalità e della falsità dei presupporti”.
Non si tratta, vien fatto notare, “di una procedura concorsuale, ma di una scelta del Consiglio regionale”. Un scelta, of course, politica. Nella più perfetta logica lottizzatoria e clientelare.
Per chi non abbia ancora capito: “l’atto di nomina è riconducibile alla categoria degli atti di natura discrezionale”. “Discende che l’amministrazione gode di discrezionalità sulla nomina”. “Si pone l’accento sulla natura fiduciaria della nomina”. Più chiari di così…
E che fine hanno fatto i requisiti e la comparazione disposti da legge e Consiglio di Stato?
Ultima chicca. Nel curriculum del due volte nominato abusivo, Francesco Eriberto D’Ippolito, fa capolino la presenza come membro del Corecom, il comitato regionale di controllo sull’erogazione dei fondi al sistema radiotelevisivo regionale. Tutto ok, secondo il parere dei legali di palazzo Santa Lucia, perchè “il Corecom è un organo funzionale dell’Agcom (ossia l’Autorità garante per le telecomunicazioni, ndr) e quindi indipendente nei confronti della Regione”.
Non è così. Perchè il Corecom è soprattutto, secondo la sua disciplina, un organo di “consulenza della Giunta e del Consiglio regionale in materia di comunicazione”.
Nella foto, al centro, la presidente del consiglio regionale Rosa D’Amelio e al suo fianco Eriberto d’Ippolito
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