LIBERTA’ DI INFORMAZIONE / MA TUTTO QUESTO MARCO MINNITI NON LO SA….

Forse il ministro degli Interni, Marco Minniti, non lo sa. Ma in Italia, da oltre dieci anni, esiste un’associazione che, nel più perfetto volontariato, si occupa e preoccupa di tutelare i giornalisti minacciati dalle mafie. Si chiama “Ossigeno per l’informazione”, fondata e animata da Alberto Spampinato, fratello del giornalista dell’Ora di Palermo ammazzato dalle lupare, Giovanni.

Nel corso della conferenza stampa che si è tenuta all’Ordine dei giornalisti, a Roma, per affrontare il caso Ostia, il titolare del Viminale ha parlato della fondamentale importanza della libertà di stampa, del ruolo base ricoperto dal giornalismo d’inchiesta. Parole.

Alberto Spampinato. Sopra il ministro Marco Minniti

Alberto Spampinato. Sopra il ministro Marco Minniti

E ha sottolineato, Minniti, la necessità di dar vita ad un organismo costituito ad hoc, a tutela dei giornalisti minacciati.

Quanto da anni sta facendo, con i fatti e non con le parole, Ossigeno, che tra l’altro stila un report continuamente aggiornato su tutti i giornalisti minacciati, non solo per mano mafiosa, ma anche per vie ‘legali’ – sic – ossia attraverso querele e citazioni milionarie.

Di pochi giorni fa una duplice iniziativa, promossa e organizzata da OssigenoEnd Impunity, in concomitanza con la Giornata mondiale contro le violenze ai giornalisti, di cui la Voce ha da poco scritto (potete leggere cliccando sul link in basso).

PEGGIO DI UN REVOLVER, LE CITAZIONI MILIONARIE

Sono proprio le citazioni milionarie – di cui né Minniti né altri politici nè le istituzioni parlano, neanche una volta una – la vera minaccia per quel poco che resta della libertà d’informazione.

Lo sanno anche le pietre, ormai, che le mafie non premono più il grilletto, non spargono più sangue, ma intimidiscono in ben altro modo. Che i colletti bianchi preferiscono chiedere palate di euro come danni piuttosto che ammazzare. Che i veri padroni del vapore sono ben felici di spararti una richiesta milionaria di risarcimento piuttosto che mandarti i killer sotto casa. Tanto, lorsignori non hanno problemi di liquidità per pagare i legali di turno, dal canto loro scodinzolanti di fronte a parcelle a molti zeri.

Di richieste risarcitorie ne sapeva qualcosa Sandro Provvisionato, scomparso pochi giorni fa, una firma unica nel panorama giornalistico nazionale. Penna di razza, l’inchiesta nelle vene, una smisurata capicità di indagine e di analisi, uno scrupolo professionale d’altri tempi: e anche lui colpito da querele e citazioni pazze che gli hanno rovinato la vita.

Citazioni che si traducono in tempo praticamente reale in condanne pecuniarie esecutive, con l’ufficiale giudiziario che bussa alla porta. Spesso e volentieri alla porta di free lance che non hanno neanche gli occhi per piangere o il becco di un quattrino. Ma tant’è, se hai scritto la verità e hai anche le pezze d’appoggio per documentarlo, sei fregato lo stesso: caso mai per il tono, per la lesa maestà che si traduce in 20 mila o 30 mila euro cash. Un revolver puntato alla tempia dal mafioso di turno ottiene certo meno risultati. Alla faccia della libertà d’informazione, di quel giornalismo d’inchiesta glorificato da Minniti. Solo a parole.

IL CASO LIMITI

Stefania Limiti

Stefania Limiti

Un fresco caso di assalto all’informazione è rappresentato dalla querela che ha dovuto subire un’altra giornalista di razza, Stefania Limiti, che tre anni fa ha firmato, proprio insieme a Provvisionato, un libro fondamentale per capire i meccanismi delle mafie istituzionali, “Complici – Il caso Moro – Il patto segreto tra DC e BR”.

Suo anche il volume successivo, “Doppio livello”, il cui senso è decodificabile anche dal titolo, a significare quel doppio livello che nessuno, mai, è in grado di vedere, tanto meno sul versante giudiziario: per stragi e delitti eccellenti da un lato la mano mafiosa, il momento esecutivo, dall’altro il Potere, i mandanti sempre a volto coperto.

La questione è appena rimbalzata fra le cronache per un misteriosa, doppia presenza sulla scena della strage di via Capaci e un test del Dna che può risultare utile per far luce sulla clamorosa circostanza. Come altre presenze c’erano sicuramente in ‘alto’, per sovrintendere alle operazioni di via D’Amelio: forse localizzate in quel misterioso – ma non poi tanto per chi voglia indagare e capire – Castel Utveggio, quartier generale all’epoca di strane entità.

Torniamo a ‘Doppio Livello’. Ecco il resoconto che fornisce proprio Ossigeno per l’Informazione, che segue da vicino la vicenda, non solo sotto il profilo giornalistico, ma anche legale.

Così scrive Ossigeno: “Il processo penale a carico di Stefania Limiti, rinviata a giudizio dalla procura di Roma per non aver rivelato l’identità di una fonte confidenziale citata nel libro ‘Doppio Livello’, è stato rinviato al 12 gennaio 2018. Alla prima udienza il dottor Iulia, della quarta sezione del tribunale di Roma, ha ritenuti fondati alcuni vizi del capo di imputazione eccepiti dai difensori, avvocato Valerio Vartolo e dall’avvocato Andrea Di Pietro, che affianca Vartolo in rappresentanza dell’Ufficio di Assistenza Legale di Ossigeno per l’Informazione. Insieme a Media Legal Defence Initiative, Ossigeno ha deciso di sostenere la difesa di Stefania Limiti giudicando il valore strategico del processo a suo carico, per mettere in luce prassi giudiziarie che sottovalutano il valore della libertà di stampa, le norme di legge che la tutelano, la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti Umani”.

Così prosegue il report di Ossigeno: “Nel suo libro-inchiesta sui retroscena della strage di Capaci, Stefania Limiti espone tra l’altro la tesi che tra gli autori e i mandanti dell’attentato non ci sarebbero solo esponenti di Cosa Nostra, ma anche un cosiddetto livello superiore, oscuro, comunque legato ad apparati dello Stato. Questa ipotesi è avanzata da una persona intervistata senza rivelarne il nome. Alla giornalista è stato contestato l’articolo 371 bis del codice di procedura penale, ossia false informazioni al pm, in quanto ha rifiutato di rivelare l’identità della fonte, avvalendosi del segreto professionale nonostante l’ordine del giudice a rompere il vincolo della riservatezza. In caso di condanna Stefania Limiti rischia fino a 4 anni di carcere”.

Evviva il giornalismo d’inchiesta, e cin cin per quanto viene tutelato. Vero ministro Minniti?


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