“Menarini Farmaceutica orgoglio Italia”.
Ecco il titolo a tutta pagina di un articolo pubblicato dal supplemento L’Economia del Corriere della Sera: un vero inno alla grande dinasty delle pillole.
Pare uscito su Marte, quell’articolone. Ma forse anche i marziani sanno che un anno fa, nel processo di primo grado che si è tenuto a Firenze, i rampolli oggi al timone del gruppo, Lucia e Alberto Aleotti, hanno subito una pesantissima condanna per frode fiscale. Per la precisione la bellezza di 10 anni e mezzo sono stati appioppati a lady Lucia e 7 e mezzo al fratello Alberto.
Pigola mammola Lucia: “Chiariamo, l’azienda è assolutamente estranea e la centralità dell’Italia nella nostra politica è dimostrata dal fatto che il gruppo realizza qui il 27 per cento del proprio fatturato ma qui paga il 60 per cento di tutte le sue tasse, 2 miliardi negli ultimi due anni”.
Oggi siamo – colorisce orgogliosa – “una delle mete in assoluto più attrattive, per i colossi mondiali”.
Si tratta di “una multinazionale – dipinge Raffaella Polato – da 3,5 miliardi di fatturato che esporta il 73 per cento di quello che produce, dà lavoro a poco meno di 17 mila persone, gioca da top player in Europa e su scala globale”.
Il processo di settembre 2016 ha stabilito anche la confisca agli imputati di 1 miliardo di euro, non proprio noccioline. Ecco un report di agenzia: “La condanna è arrivata per frode fiscale, relativa a somme all’estero ‘fatte oggetto di scudi’ e sanatorie dal patron di Menarini, Alberto Sergio Aleotti, scomparso due anni fa. I fratelli Aleotti sono stati interdetti per sempre dai pubblci uffici e la sola Lucia dall’intrattenere rapporti con la pubblica amministrazione”.
Eppure, oggi Lucia racconta al Corsera: “Pur se il dialogo con la pubblica amministrazione resta sempre difficile, negli ultimi anni sono stati fatti grossi passi avanti”.
Hanno evitato, comunque, guai anche più grossi. Perchè i pm contestavano all’azienda anche la truffa, attraverso la creazione di società off shore al solo scopo di maggiorare il prezzo delle materie prime per poi giustificare davanti alle autorità sanitarie i costi ‘gonfiati’ e commercializzare medicinali a prezzi più alti, con un presunto danno calcolato da circa 850 milioni in vent’anni. Questo capo d’accusa è però caduto in primo grado e i giudici fiorentini hanno, su questo fronte, assolto gli imputati: la vecchia ‘insufficienza di prove’.
Dicono i legali degli Aleotti: “L’ipotesi della truffa ai danni del sistema sanitario nazionale è risultata insussistente. Per l’appello stiamo producendo la documentazione che ci permetterà di escludere la frode fiscale”.
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